Attivismo
Ambiente, quei sei ragazzi portoghesi che hanno messo alla sbarra 33 Stati europei
Diritto a un ambiente sano: un gruppo di bambini e ragazzi ha portato 33 Stati di fronte alla Corte europea dei diritti dell'uomo. Save the Children, terza parte nel processo, ricorda che un bambino nato nel 2020 vedrà, nella sua vita, quasi sette volte più ondate di calore rispetto ai suoi nonni. Ma per gli Stati la Corte non è la sede adatta e la Commissione Ue ricorda che l'Europa è la regione più avanzata nella lotta al cambiamento climatico. La sentenza il prossimo anno
«Signora Presidente, membri della Corte, i giovani che rappresento qui oggi chiedono, a tutela dei loro diritti umani fondamentali e sulla base delle verità incontrovertibili affermate dagli scienziati: che ruolo avrà questa Corte nel garantire che l’era del riscaldamento globale diventi invece l’era della grande ambizione in difesa del clima? Voi avete la risposta», così l’avvocata Amy Sander si è rivolta ai giudici della Grande Camera della Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo, durante l’udienza del caso Duarte Agostinho, lo scorso 27 settembre (l’udienza, durata quasi cinque ore, si può vedere integralmente qui).
Sei bambini e giovani, tutti di nazionalità portoghese, tra gli 11 e i 24 anni, hanno deciso di farsi sentire dopo i gravi incendi che dal 2017 colpiscono ripetutamente il loro Paese (foto qui sotto/pexels-pixabay), influenzando in modo pesante le loro vite, la loro salute fisica e mentale, la loro stessa fiducia nel futuro. Per questo hanno portato davanti alla Corte europea 33 Stati per il mancato rispetto degli impegni sul clima assunti nell’ambito dell’Accordo di Parigi, per mantenere l’aumento del riscaldamento globale al di sotto della soglia di + 1,5°C. L’inazione dei governi, sostengono, è responsabile delle conseguenze negative sull’ambiente di cui pagheranno il prezzo soprattutto le giovani generazioni. Il loro diritto alla vita e a un ambiente sano e protetto è minacciato.
Tra gli altri, si è costituita parte civile Save the Children, organizzazione internazionale che da oltre un secolo lotta per salvare i bambini e le bambine e garantire loro un futuro. «Da sempre supportiamo l’attivismo dei giovani: la loro richiesta di vivere in un ambiente sano, pulito e sicuro è fondamentale per poter assicurare anche gli altri diritti», spiega Chiara Damen, che si occupa di politiche e advocacy internazionale a Save the Children Italia. «Come terza parte nel processo, abbiamo portato dati sulla vulnerabilità specifica dei bambini agli effetti della crisi climatica, che mette in pericolo il loro diritto alla sicurezza, alla salute, all’istruzione e a un futuro prospero. In base a uno studio realizzato con l’Università di Bruxelles, ad esempio, un bambino nato nel 2020 sperimenterà in media quasi sette volte più ondate di calore nel corso della sua vita rispetto alla generazione dei suoi nonni. Ecco perché la lotta al cambiamento climatico è anche un tema di giustizia intergenerazionale».
Anche se la Convenzione europea dei diritti dell’uomo non contiene in modo esplicito il diritto a un ambiente sano, la Corte è spesso chiamata a esprimersi in casi che riguardano anche questioni ecologiche, perché alcuni diritti stabiliti nella Convenzione possono essere compromessi nel caso di danno o rischio ambientale. Per la prima volta nel 2020, il caso Duarte ha portato davanti al tribunale europeo un’istanza riguardante il clima, chiamando in causa un elevato numero di Stati. In seguito, nel 2021, si sono aggiunte altre due cause, una riguardante la Svizzera, da parte di un’associazione di donne anziane, l’altra relativa alla Francia. La Corte non si è ancora pronunciata in nessuno dei tre casi.
I rappresentanti degli Stati, lo scorso 27 settembre, hanno esposto le ragioni per cui la Corte europea non sarebbe la sede adatta per il processo e i ricorrenti non risponderebbero alla definizione di “vittima” come formulata dalla Convenzione. «Ma portare il caso singolarmente davanti a ciascuno Stato sarebbe impossibile per un gruppo di giovani, oltre a risultare inefficace», ha ribattuto l’avvocata Alison Macdonald parlando, assieme a Sander (foto in apertura), a nome dei ricorrenti. Più volte è stata sottolineata l’estrema vulnerabilità del Portogallo alla crisi climatica e il fatto che questa non dipenda da un singolo Stato: le emissioni di gas serra non si fermano al confine tra un Paese e l’altro. È intervenuta come terza parte anche la Commissione europea, sottolineando che l’Ue è la regione al mondo che più sta assumendo impegni vincolanti per ciascuno degli Stati membri nella riduzione delle emissioni. La causa, quindi, non avrebbe fondamento per i Paesi dell’Unione.
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La sentenza della Corte è attesa per il prossimo anno. Ma, intanto, il protagonismo giovanile per il clima nell’ambito delle istituzioni e dei negoziati internazionali si sviluppa in diversi altri modi e sedi. «Stiamo lavorando per vedere riconosciuta, anche nella fase negoziale delle Conferenze per il clima, le Cop, la presenza ufficiale di un rappresentante dei bambini e dei ragazzi nelle delegazioni degli Stati», continua Damen, ricordando: «Il diritto alla partecipazione è sancito all’articolo 12 della Convenzione dell’Onu sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza e i governi dovrebbero poterlo garantire. I bambini sono agenti di diritto e attori di cambiamento. Sulle questioni climatiche sono i più impattati ed è fondamentale coinvolgerli». Alcuni passi avanti sono stati fatti, anche grazie all’iniziativa dell’Italia, che in occasione della Cop26 di Glasgow nel 2021 ha avviato la piattaforma per la partecipazione dei giovani Youth for Climate.
Foto tratta dal video pubblico dell’udienza
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