Sostenibilità
Ambiente: nubi su Johannesburg
Alla vigilia del World Summit on Sustainable Development di Johannesburg (26 agosto - 4 settembre), poche aspettative
di Redazione
Sono passati dieci anni dallo storico Earth Summit di Rio de Janeiro, cinque da quello di Kyoto, ma pochi sono stati i provvedimenti attuati per la riduzione delle emissioni inquinanti. Alla vigilia del World Summit on Sustainable Development di Johannesburg (26 agosto – 4 settembre), “è chiaro che la politica sostenuta dagli Stati Uniti, quella che si basa sulla buona volontà di ogni singolo Paese di abbassare il livello d’inquinamento, non ha dato i frutti sperati”, ammonisce Seth Dunn nel libro “Reading the Weathervane: Climate Policy from Rio to Johannesburg” edito dal Worldwatch Institute. Ma in Sudafrica basterebbero le firme di Russia e Polonia, o di Canada e della stessa Russia, per ottenere l’entrata in vigore del protocollo Kyoto. E a quel punto il cambiamento climatico balzerebbe al primo posto nell’agenda dei negoziati internazionali fra le grandi potenze. Ma gli incontri preliminari – l’ultimo avvenuto a Bali all’inizio di giugno scorso – non hanno fatto registrare alcun passo avanti nell’approvazione del documento congiunto. In tutto il testo, che affronta anche i temi della povertà, dell’accesso all’acqua, e in generale dello sviluppo sostenibile, fioccano le parentesi quadre, segno che su quel punto non si è raggiunto l’accordo fra le parti: il capitolo dedicato alle risorse finanziarie figura per l’80 per cento in questa forma.
In Brasile, i Paesi industrializzati insieme a quelli ex-Sovietici avevano preso un impegno, sebbene su base volontaria: entro il 2000 le emissioni inquinanti sarebbero dovute essere uguali a quelle emesse nel 1990. Nel decennio successivo, invece, le emissioni di anidride carbonica, prima fra le sostanze che rendono l’aria irrespirabile, sono aumentate del 10,2 per cento. In particolare il libro di Dunn mette in evidenza come, sebbene in Germania siano diminuite del 17,1 per cento e in Gran Bretagna del 4,1 per cento, la media europea di decremento sia solo dello 0,2 per cento. E che in Giappone, nonostante si registri il miglior rapporto fra emissioni inquinanti e prodotto economico l’aumento è stato del 10,8 per cento. Inoltre Australia, Stati Uniti e Canada hanno disatteso tutte le buone intenzioni aumentando le loro emissioni rispettivamente del 32,3, del 15,7 e dell’11,5 per cento. Mentre l’unica vera riduzione è stata quella della Russia, con un abbattimento che ha superato i 30 punti percentuali, ma la causa non è una migliore politica ambientale quanto piuttosto un tracollo dell’economia.
Il problema principale sembra essere l’assenza di una vera leadership internazionale. “Su oltre un quarto del documento uscito dalla riunione preparatoria di Bali non c’è consenso tra i Paesi”, spiega Paolo Lombardi del Wwf. “Non viene indicato quale istituzione internazionale debba occuparsi dei vari problemi e non vengono indicate date per il raggiungimento degli obiettivi. Insomma, la sensazione è che invece di avanzare si voglia fare retromarcia sugli impegni per lo sviluppo sostenibile”. Un esempio è quello dell’acqua: “Si parla di accesso e non di diritto, il che apre la strada al commercio della risorsa idrica, senza considerarla invece un diritto primario dei popoli”, ha spiegato Luisa Arezzo di Legambiente. A Johannesburg si affronteranno tre blocchi: quello formato da Usa, Canada, Australia, Canada e Giappone, che non vuole che siano messi per iscritto né impegni precisi né date; ci sono poi i Paesi in via di sviluppo (il cosiddetto G77) al cui interno si fanno registrare però delle divergenze; infine c’è l’Unione europea, che nonostante le dichiarazioni d’intenti non riesce ad assumere la leadership del negoziato. L’ammissione è venuta dallo stesso commissario europeo per gli aiuti allo sviluppo, Poul Nielson, al margine della riunione informale dei ministri europei dell’ambiente: “Non c’è alcuna garanzia che l’Europa possa salvare la conferenza sull’ambiente di Johannesburg, perché la distanza tra Stati Uniti e Paesi in via di sviluppo è troppo grande”.
La Danimarca, come presidente di turno dell’Unione, si è impegnata a portare in Sudafrica una posizione ferma e unitaria. L’obiettivo è portare al 15 per cento il contributo delle energie rinnovabili entro il 2010, dimezzare entro il 2015 il numero delle persone che non hanno accesso all’acqua potabile, eliminare entro il 2020 l’uso di prodotti tossici che danneggiano l’ambiente. Un programma ambizioso che riassume gli obiettivi dell’Agenda 21, il documento di Rio, e i Millenium Goals stabiliti dall’Onu alla fine del 2000. Ma che difficilmente troverà il consenso di tutte le 174 delegazioni attese a Johannesburg. Gli organizzatori sperano almeno di ottenere una dichiarazione in cui i capi di governo si impegnino a prendere provvedimenti in favore dello sviluppo sostenibile. Più difficile sembra raggiungere l’accordo su un piano di implementazione che stabilisca modi e luoghi di azione. Infine, l’obiettivo più ambizioso sarebbe quello di ottenere impegni finanziari dalle grandi potenze. Davvero difficile se si pensa che gli Stati Uniti non hanno ancora annunciato chi sarà il loro rappresentante al summit.
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