Sostenibilità

Altro che grandi opere! Servono piccole infrastrutture

Sulle tangenziali del Nord Italia s’intasano 120mila auto al giorno. Il governo vuole ampliare il manto autostradale. (a cura di Andrea De Bernardi,Polinomia S.r.l.)

di Redazione

L?Italia settentrionale rappresenta da secoli un ambito macroregionale denso e policentrico, che oggi soffre di rilevanti problemi di traffico.
La rete stradale delle otto regioni settentrionali conosce oggi un traffico molto intenso, e per di più crescente. Se prendiamo in esame le statistiche dei flussi autostradali, osserviamo che sulle tratte più trafficate (le tangenziali e alcuni rami di adduzione ai grandi poli metropolitani) si superano ormai i 120mila veicoli al giorno, con tassi di crescita che, anche in questi casi, possono superare il 3% all?anno (corrispondenti a un raddoppio ogni 20 anni). Su altri rami i valori sono inferiori (la media della rete autostradale del Nord Italia si mantiene al di sotto dei 40mila veicoli al giorno), ma i tassi di crescita risultano di norma superiori, collocandosi intorno al 4% annuo (un raddoppio ogni 15 anni). È la fotografia di un sistema ad elevata, e crescente, intensità di trasporto, che conosce problemi di congestione, ma anche di sicurezza stradale, di interferenza urbanistica e di impatto ambientale. Basti pensare che, nel corso degli ultimi dieci anni, le vendite di carburante per autotrazione sulla rete autostradale sono cresciute del 25%.

Corsa alle grandi arterie
Fra le possibili risposte a questi problemi, quelle che destano il massimo interesse del sistema politico sono a loro volta grandi: l?Unione europea promuove le reti Ten, che a quanto si dice debbono servire a collegare meglio caposaldi continentali quali Berlino e Siracusa, Lisbona e Kijev. Il ministero delle Infrastrutture promuove l?alta velocità ferroviaria e il potenziamento della rete autostradale. Ma anche le Regioni mirano alla costruzione di autostrade, trasmettendo benevolmente la gestione della rete di strade statali, ereditata dall?Anas, alle Province. Sembra quasi che l?interesse primario di tutte le istanze sovracomunali sia inserirsi nella grande partita relativa alla realizzazione delle grandi opere strategiche.
Questa mirabile cascata di competenze sulle grandi reti di trasporto è destinata a fornire poche risposte ai problemi di traffico del Nord Italia. Le quasi 40mila auto che attraversano ogni giorno la barriera di Milano Est, nodo fra i più frequentati della rete autostradale, in direzione del capoluogo regionale, provengono per il 43% dalla provincia di Milano, per il 36% dalla provincia di Bergamo, per l?11% dalla provincia di Brescia, e solo per un decimo dall?esterno del territorio regionale. Quelle stesse auto sono dirette, per oltre l?80%, all?interno dell?area milanese.

Ma il traffico è locale
Il carattere locale dei problemi di traffico non è per nulla casuale. La quantità di traffico sulla rete non dipende tanto dall?importanza dei poli terminali, quanto piuttosto dalla densità dei territori attraversati.
La spiegazione sta proprio nell?esiguità dei flussi di lunga percorrenza: sugli oltre 300mila veicoli che entrano ogni giorno nell?autostrada Milano-Venezia, quelli che la percorrono totalmente sono meno di 10mila.
Perché il traffico stradale si sviluppa così tanto sulle brevi percorrenze? Essenzialmente perché rispecchia la forte diffusione insediativa verificatasi negli ultimi trent?anni, dapprima con l?espansione delle grandi aree metropolitane. In sintesi, la domanda di mobilità aumenta perché i luoghi di origine e destinazione degli spostamenti quotidiani (sistematici e non) si allontanano sempre di più.

Risparmi energetici
Se assumiamo come punto di riferimento i target del Protocollo di Kyoto, osserviamo che , negli ultimi 10 anni, l?incremento della domanda di mobilità si è accompagnato a un più che proporzionale aumento dei flussi di traffico stradale e a un incremento minore, ma pur sempre sostanzioso, dei consumi energetici e delle emissioni climalteranti da traffico. Ciò significa che i pur interessanti avanzamenti compiuti sul versante tecnologico sono stati sistematicamente sopravanzati dall?incremento della domanda di mobilità.
L?inversione di questa tendenza non può essere perseguita facendo leva esclusivamente su variabili di tipo tecnologico, ma richiede anche una trasformazione dei modi di funzionamento del sistema di trasporto stesso.Per esempio, è possibile dimostrare che il raggiungimento degli obiettivi di Kyoto è conseguibile attraverso un modello di sviluppo del sistema che include i seguenti punti. Primo, un più rapido e meglio orientato sviluppo tecnologico dei veicoli stradali, in grado di conseguire risparmi dei consumi energetici unitari dell?ordine del 20%, con un maggiore grado di penetrazione dei veicoli a trazione non termica. Secondo, una riduzione della quota modale dell?autotrasporto, che dal valore tendenziale del 75-85% dovrebbe attestarsi intorno al 70-80%. E, infine, un rallentamento della crescita della domanda di mobilità, che dal tendenziale 60-65% dovrebbe ridursi al 45-50%.

Se la via breve è più lenta
In uno scenario di questo genere, il traffico automobilistico è destinato a crescere ancora del 25-30% rispetto ai livelli attuali, mentre la domanda attratta dal trasporto pubblico su ferro e su gomma deve crescere del 70-90%. Anche se non lo ammettono, le infrastrutture parlano agli utenti del sistema di trasporto e ne orientano i comportamenti. La realizzazione della rete autostradale italiana ha insegnato ai cittadini delle regioni settentrionali che la strada più veloce non è necessariamente la più breve. Con il tempo, la comprensione routinaria di questi meccanismi ha finito per influenzare anche le scelte localizzative.
All?epoca della crisi urbana degli anni 70, la realizzazione delle tangenziali e il potenziamento delle radiali autostradali ha avuto per effetto la fuoriuscita di numerose attività urbane rare (ad esempio direzionali), e nel contempo la proiezione a scala regionale delle attività diffuse, come la residenza e l?industria.

Soluzioni a medio raggio
Il punto è: come intervenire nella situazione attuale per orientare lo sviluppo della città diffusa verso una condizione di maggiore sostenibilità, basata sull?effettiva internalizzazione dei costi esterni? L?obiettivo potrebbe essere quello di non incentivare una ulteriore dispersione delle attività, ma anzi di addensare la domanda su un numero ragionevolmente ridotto di direttrici a medio raggio, più facilmente servibili anche dal trasporto pubblico.
Ipotizziamo ora invece che l?intervento a supporto dell?utente sia rappresentato da un insieme di direttrici stradali di prestazioni complessivamente inferiori, ma di tracciato più aderente alla direttrici esistenti. Assumendo tratte di adduzione di 1 km, una velocità media di 70 km/h e un consumo unitario pari a 44 g/km, si ottiene un consumo totale di 0,82 kg (0,90 litri) di benzina, corrispondenti a una riduzione del 31% rispetto alla situazione attuale e alla metà della soluzione descritta poco fa.
Si tratta di comprendere quale debba essere la configurazione della rete stradale finalizzata a servire gli spostamenti diffusi sul breve-medio raggio.Vi è poi il tema del recupero del trasporto pubblico, su gomma e su ferro, che non può prescindere da politiche territoriali finalizzate a concentrare le polarità più attrattive nelle immediate vicinanze delle stazioni principali.

Car sharing
Cosè il car sharing?È un sistema di servizi locali che consente, previo pagamento di una quota annua e di una tariffa secondo l?utilizzo, di accedere secondo le proprie necessità a una flotta di autovetture condivisa con gli altri soci. Questa formula introduce una notevole flessibilità nell?utilizzo dell?autovettura che, slegata dal tradizionale rapporto di proprietà (l?ho comprata, è ferma nel box, quindi la uso), può essere utilizzata in svariate situazioni secondo necessità, come il trasporto occasionale di persone o merci (ad esempio una city car per la spesa il sabato) o per un viaggio con una station wagon durante il fine settimana.
È stato riscontrato che un veicolo in car sharing sostituisce 5-6 veicoli privati. Inoltre, gli utenti del car sharing dopo aver rinunciato all?auto di proprietà riducono la percorrenza con il mezzo individuale (35-60%) ma allo stesso tempo incrementano l?uso del mezzo pubblico (+15-40%) e dei modi ciclopedonali (+5-15%).

Come funziona?
La struttura tipo consiste in una centrale operativa, nelle autovetture a disposizione, in uno o più parcheggi. Le auto sono diversificate secondo varie tipologie, van e furgoni inclusi. I parcheggi devono essere posizionati vicino a fermate di mezzi pubblici per facilitare l?accesso al servizio, che non è sostitutivo del mezzo pubblico.
Il ricorso all?auto avviene secondo necessità, quando l?utilizzo abituale del mezzo pubblico non consente di svolgere particolare funzioni nel tessuto urbano o extraurbano. L?utente richiede un veicolo via telefono o via Internet per un periodo non inferiore a un?ora. Nel parcheggio trova le chiavi. Alla fine del viaggio l?auto può essere riconsegnata anche in un luogo diverso da dove si è partiti. Sia all?inizio che alla conclusione del viaggio, vanno registrati i chilometri segnati sugli strumenti di bordo.

Il car sharing all?estero e in Italia
Le prime esperienze di car sharing sono nate in Centro Nord Europa negli anni 80, grazie allo sforzo di singoli e/o famiglie che si sono consorziati per una mobilità più consapevole e rispettosa dell?ambiente e per ridurre l?onere economico della gestione di una automobile.
In Olanda, in Svizzera e in Germania si contano ormai un centinaio di organizzazioni che raggruppano complessivamente oltre 90mila utenti. Primi passi del car sharing si registrano anche Oltreoceano, sia negli Stati Uniti che in Canada, e dal 1997 esistono alcune applicazioni di car sharing anche a Singapore e in Giappone.
Cinque esperienze di car sharing hanno formato il nucleo iniziale dell?organizzazione Ecs – European car sharing nel 1991. Ecs conta almeno 40 associati che in tutto gestiscono auto in car sharing per circa 56mila utenti in oltre 550 città.
E in Italia? Iniziativa car sharing (Ics) è il consorzio istituito ad hoc in Italia con un protocollo di intesa tra il ministero dell?Ambiente e diversi Comuni che hanno aderito al progetto. Con questo accordo, i Comuni sottoscrittori si impegnano a perseguire una strategia comune di promozione e avvio del servizio di car sharing.

Per maggiori informazioni:
www.carsharing.org

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