Salute mentale

Altri posti letto per i “rei folli”? Non servono, la responsabilità è terapeutica

Il mondo basagliano risponde al documento del Consiglio superiore della magistratura in cui si auspicano nuovi posti letto nelle Rems: «Si vuole il ritorno degli Opg?»

di Veronica Rossi

Il rapporto tra psichiatria e giustizia esiste da quando esistono psichiatria e giustizia: la salute mentale è sempre stata legata all’idea di pericolosità. Eppure, in Italia è accaduto qualcosa che avrebbe dovuto ribaltare questo paradigma: siamo nella patria della Legge 180, abbiamo alle spalle cinquant’anni di riflessione su questo tema. Che dovrebbe aver trovato il suo compimento nella chiusura degli Ospedali psichiatrici giudiziari – Opg, con una norma del 2014, la 81.

A dieci anni da questo momento cruciale, l’attuazione della legge sta percorrendo un cammino denso di ostacoli e contraddizioni, che hanno portato a situazioni molto diverse nelle varie Regioni; è solo in alcune di queste, infatti, che si concentrano lunghe liste d’attesa per entrare nelle Residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza – Rems, che accolgono gli autori di reato con disturbo mentale giudicati socialmente pericolosi. Il Consiglio superiore della magistratura ha approvato un documento redatto da una commissione mista che analizza il problema e avanza alcune proposte (ne abbiamo parlato qui), come l’aggiunta di ulteriori 700 posti nelle strutture. Secondo i rappresentanti del mondo basagliano, queste soluzioni – di fatto inattuabili in Italia – sembrano voler far rientrare dalla finestra quello che era stato fatto uscire dalla porta; gli stessi fanno notare, inoltre, che la delibera è stata costruita senza alcuna consultazione pluralista della società civile impegnata sul campo.

La situazione è più complessa di quanto sembri

«Il primo elemento che colpisce in questo documento è che l’indagine istruttoria della delibera sia un po’ sommaria», dice Pietro Pellegrini, direttore del dipartimento assistenziale integrato salute mentale dipendenze patologiche dell’Ausl di Parma, «quindi siano stati dati alcuni dati senza approfondire in maniera adeguata la situazione. Il secondo riguarda il merito: aprire altri 700 posti in Rems non è l’intervento migliore per il sistema».

A Castiglione delle Stiviere, per esempio, avrebbero già dovuto essere inaugurate le Rems definitive, mentre è tuttora in uso l’Ospedale psichiatrico giudiziario – Opg, convertito in otto Rems provvisorie. L’Umbria, invece, non ha nessuna di queste strutture perché ha in essere un accordo con la Toscana. Non vi sono Rems nella Sicilia occidentale. Una situazione variegata che non può essere risolta semplicemente aumentando i posti letto anche laddove non servono e per di più con un forte impegno di risorse; soprattutto perché aggiungendone 700 agli attuali 600, si arriverebbe a 1300 potenziali ospiti: un numero addirittura maggiore alla capienza degli ex Opg, che alla loro chiusura tenevano recluse 906 persone. Le Rems, quindi, rischiano di essere tutt’altro che quella extrema ratio prospettata dalla legge, che avrebbe dovuto essere riservata solo a coloro per i quali sia stata dichiarata necessaria la misura di sicurezza detentiva per fare fronte alla pericolosità sociale – e quindi non per tutti i “rei folli”– e per una durata di tempo limitata.

«Il Csm avrebbe dovuto fare un’analisi più approfondita», continua Pellegrini, «cercando di capire che la maggior parte dei pazienti è nel territorio. Non abbiamo un dato nazionale certo, perché l’Osservatorio che era stato aperto dal ministro Roberto Speranza è stato sostanzialmente chiuso con questa legislatura, però si stima che i Dipartimenti di salute mentale – Dsm seguano circa 7000 persone di cui 4.880 nelle residenze, con provvedimenti giudiziari sul territorio». Questo significa che la Legge 81/2014 ha dato risultati significativi, utilizzando prioritariamente le risorse dei Dsm. «Prima di pensare a nuove Rems, bisognava immaginare di potenziare i dipartimenti», chiosa lo psichiatra. «E al contempo dare attuazione all’accordo Stato Regioni del 30 novembre 2022 che prevede l’istituzione dei Punti unici regionali – Pur per gestire la lista di attesa e la stesura di protocolli tra salute mentale e magistratura».

Il ritorno dei “matti incurabili”

Il documento del Csm auspica anche la creazione di tre “superRems” ad alta sicurezza – al nord, al centro e al sud – per le persone più pericolose. Una soluzione, però, che inverte quel paradigma inaugurato in Italia con la rivoluzione basagliana che vuole che, prima di contenere, si curi. «Sta tornando l’idea che ci siano delle persone inemendabili», dice Giovanni Rossi, presidente del Club Spdc no restraint, «che ci siano cioè dei “matti incurabili”, per cui bisogna solo rinchiuderli e buttare via la chiave».

Un altro punto delicato riguarda i periti, incaricati di giudicare sull’incapacità mentale di una persona e sulla sua pericolosità. «Le perizie non sono mai state riformate», spiega Rossi. «Chi può dare la risposta più adeguata possibile al giudice che chiede se un autore di reato continua a essere pericoloso? Naturalmente il servizio di psichiatria territoriale che dovrebbe occuparsi di questa persona, perché è in grado di costruire un progetto e di dire quanto deve rimanere in Rems – se ci deve andare. In realtà, invece, i periti sono una casta a parte, che in questo momento è sganciata dai servizi. La perizia, quindi, spesso si riduce a considerazioni difensive e cautelative». Il coinvolgimento coi servizi, invece, va nella direzione di una rieducazione e di un reinserimento sul territorio. Con una gestione più efficiente degli accessi in Rems si potrebbe già risolvere parte del problema delle liste d’attesa: al momento solo poco più del 50% degli ospiti ha una misura definitiva, mentre gli altri sono in attesa di giudizio o hanno una misura di sicurezza post pena perché infermi di mente. Modelli d’azione antichi, che si potrebbero cambiare con un buon sistema di welfare di comunità, che dovrebbe lavorare in concerto con la magistratura e i servizi sociali.

Non imputabilità: un concetto da superare

Per i basagliani, però, c’è un concetto alla base di tutto il sistema che rimane critico: la non imputabilità. «Anche dopo il 2014, sono rimaste le stesse norme del 1930», conclude Pellegrini, «il doppio binario. Bisognerebbe riformare il codice penale, togliere la non imputabilità secondo la Pdl n 1119 a firma dell’on Magi e configura in modo nuovo i servizi per queste persone prevedendo alternative alla detenzione in carcere. In tanti anni di lavoro non ho mai incontrato persone che non abbiano nel loro mondo interiore l’idea del reato che hanno commesso. Se poi si sentono prosciolti, non riescono a capire. Chi si macchia di una colpa deve sentire la voce della Legge che dice “No questo non va fatto”. Poi si giudicherà in quali luoghi e in che modo far scontare la pena e far avere le cure adeguate. La responsabilità è terapeutica. La pena è espiazione, ma anche rieducazione, reinserimento sociale, mediazione e riparazione. Non deve essere per forza riduzione della libertà, ma qualcosa che consente al cittadino di ravvedersi e cambiare».

In apertura

 AVERSA L’ OPG OSPEDALE PSICHIATRICO GIUDIZIARIO NEL CORRIDOIO 

FOTO DI © ILENIA PICCIONI/SINTESI

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