Non profit

Alta qualità più azionariato popolare: i “ribelli del Bitto” sono pronti a dare l’assalto al mercato per battere le etichettature Dop

Aria nuova nel business del formaggio

di Marina Moioli

Fra i formaggi italiani il Bitto “storico” è l’unico prodotto direttamente sui pascoli: in estate ogni mattina i malgari raggiungono le vacche e le mungono. Aggiungono il latte delle capre e portano tutto ai “calécc”, i cerchi di pietra che riparano le caldaie appese sul fuoco. Quando i pascoli si esauriscono, mandrie e caldaie si spostano più in alto, anche fino a duemila metri di altitudine. In Valtellina da alcuni anni un piccolo gruppo di pastori e casari si è ribellato alla versione “semplificata” avallata dal disciplinare della Dop (denominazione di origine protetta), aperto a mangimi e fermenti industriali, e continua orgogliosamente a produrre questo straordinario formaggio come si faceva secoli fa.
A raccontarne la storia è il “ruralista” Michele Corti, docente di Sistemi zootecnici all’Universita degli Studi di Milano e autore del libro I ribelli del Bitto. Quando una tradizione casearia diventa eversiva edito da Slow Food. «Il “caso” Bitto», spiega Corti, «non è legato solo alle modalità particolari della sua produzione e alla straordinaria capacità di invecchiamento, ma soprattutto alla capacità di dimostrare che un’economia etica può stare sul mercato». «I grandi caseifici cooperativi, infatti, vivono di continue sovvenzioni pubbliche e nascondono un sostanziale assistenzialismo», continua. «Invece il Bitto storico, unica realtà in Lombardia, nonostante rappresenti il vertice dell’eccellenza casearia lombarda non riceve alcun sostegno pubblico, anzi ha dovuto più volte scontrarsi con le istituzioni».
Ora i “ribelli del Bitto” tornano alla ribalta grazie a una campagna di azionariato popolare che verrà lanciata in occasione del salone “Cheese”, in programma a Bra (CN) dal 16 al 19 settembre. L’obiettivo della campagna è chiaro: ampliare il capitale sociale per poter acquistare maggiori quantitativi di formaggio che i 14 alpeggi “ribelli” vendono a privati. La società Valli del Bitto trading spa, nata per supportare finanziariamente i casari, ha deciso di incentivare la partecipazione al progetto attraverso un azionariato popolare con il quale chiunque può acquisire una quota (il costo è di 150 euro). Una vera e propria “community supported agriculture” del formaggio in cui il consumatore, sostenendo finanziariamente l’impresa, si trasforma in coproduttore. Se la campagna di azionariato avrà successo la società potrebbe operare la selezione delle forme destinate all’invecchiamento e al super-invecchiamento su una base più larga e la qualità – già mitica del Bitto storico – ne sarebbe ancor più garantita.
«Se il Bitto storico sta in piedi e si rafforza ci sarà speranza per tante altre comunità del cibo», conclude Corti. «Il futuro è qui. Non nell’agricoltura sovvenzionata dalla mano pubblica, ma nell’agricoltura sostenuta dalle comunità, da quello che non è più un consumatore passivo, ma da un coproduttore attivo».


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