Non profit

Alstom, dirigenti (quasi) sequestrati

Ore di tensione nell'azienda di Colleferro in provincia di Roma: 150 posti di lavoro ad alto rischio

di Franco Bomprezzi

Alla fine il trucco ha funzionato. Comunicare ai media di aver sequestrato tre dirigenti all’interno di una fabbrica che sta per chiudere ha richiamato l’attenzione di tutti su Colleferro, in provincia di Roma, anche se rapidamente si è scoperto che i tre dirigenti della Alstom non si erano affatto accorti di essere stati bloccati dagli operai. Ma la tensione per la probabile perdita del posto di lavoro era assolutamente reale. Ecco come i giornali riferiscono la vicenda.

Al “sequestro” di Colleferro il CORRIERE DELLA SERA dedica un richiamo in prima pagina (“Gli operai bloccano i manager”) e due pezzi alle pagine 20 e 21. A raccontare la vicenda è Andrea Garibaldi (“L’azienda minaccia di fermarsi. Gli operai: rinchiusi i manager”): «…Poco prima delle 20 dai cancelli della Alstom esce una berlina nera. A bordo ci sono i tre manager che da mezzogiorno sarebbero stati rinchiusi in fabbrica: Bruno Juillemet, vice presidente delle risorse umane, Francesca Cortella, direttore del personale e Riccardo Pierobon, dell’ufficio comunicazione. Parla quest’ultimo: «Non c’è stato alcun sequestro. né paura, né tensioni. Solo una civilissima protesta sindacale. È stata una giornata un po’ concitata». Una giornata che il CORRIERE riassume così: «Dalla mattinata all’esterno dello stabilimento si raduna un presidio permanente dei lavoratori. Sul luogo della protesta arrivano, per partecipare alla trattativa l’assessore regionale al Lavoro Alessandra Tibaldi e il sindaco di Colleferro con l’obiettivo di mediare una soluzione. E’ lo stesso primo cittadino, Mario Cacciotti, che, per primo, si preoccupa di smentire il sequestro», così come in seguito farà Pierobon. Paolo Foschi si occupa invece del ritratto della Alstom, gruppo industriale francese , che oggi impiega 150 operai sotto il titolo “Il colosso dei treni che in Italia va a rilento”: «Se non arrivano nuove commesse, entro nove mesi saremo costretti a chiudere lo stabilimento. Ma non vi lasceremo senza lavoro: chi lo vorrà potrà restare nel gruppo, ma dovrà trasferirsi. Dove? A Nola, oppure in Spagna, in Francia o dove ce ne sarà bisogno» è questo messaggio, rivolto ieri dai manager Alstom ai lavoratori di Colleferro, qualche chilometro a sud di Roma, ad aver scaldato gli animi.

“Protestano gli operai, i manager bloccati in fabbrica” è la foto notizia in taglio centrale di LA REPUBBLICA (che per l’apertura sceglie il lodo Alfano). I servizi a pagina 11. I manager hanno detto che entro 9 mesi la Alstom di Colleferro sarebbe stata chiusa, li abbiamo invitati a non uscire dagli uffici. Così pacatamente spiegano la vicenda gli operai: riferisce da Colleferro Paolo G. Brera, e spiega che la multinazionale francese (3mila dipendenti in Italia e 60 stabilimenti in tutto il mondo) produce treni (Tgv, metropolitane, ecc.). Un lavoro da 1200 euro al mese . «Ci hanno detto che abbiamo solo una piccola commessa che garantisce occupazione per 9 mesi», spiega Massimo Tabolacci di Femca-Cisl, «poi non vedono né futuro né lavoro. non hanno più nulla da farci fare, e dicono che ci aiuteranno a emigrare con gli incentivi» (in realtà la destinazione più promossa dall’azienda sarebbe Nola, dove dovrebbe essere fatta la manutenzione alla Ntv di Montezemolo, ovvero i nuovi treni ad alta velocità). Così gli operai decidono di piazzarsi davanti alla fabbrica e di dire alle agenzie: abbiamo sequestrato i manager. Un  modo per attirare l’attenzione che suscita perplessità nel ministro Sacconi (che lo definisce un «tentativo di drammatizzazione mediatica»). Parte la trattativa e si trova una soluzione: si farà un parco manutentivo per le imprese dei trasporti locali. Avrà una partecipazione di minoranza di Regione, comuni di Roma, Colleferro e Provincia. Alstom sarebbe interessata. In appoggio due interviste a confronto. Gianni Rinaldini, segretario della Fiom, sottolinea la disperazione di chi non ha più prospettive (alla domanda il sindacato approva questi metodi, risponde: «non c’è un manuale che ci dica come reagire di fronte a un licenziamento di massa e il sindacato in questi casi deve giocare il suo ruolo in campo. Ci sono criteri da osservare: l’unità dei lavoratori e il fatto che le iniziative siano finalizzate ad obiettivi definiti»). Accanto parla Paolo Citterio, leader dei direttori delle risorse umane: spiega che la situazione è difficile ma che in Italia, a differenza che in Francia, la solidarietà funziona. Il commento è affidato a Luciano Gallino, “I salari senza dignità”: spiega come le corporation occidentali abbiano di proposito creato un conflitto tra i nostri salari e quelli asiatici e che in questo conflitto c’è  una notevole insensatezza economica, che la crisi attuale ha posto in luce. «Essa si compendia nel fatto che i lavoratori a basso salario dei paesi sviluppati consumano meno, pagano meno tasse, versano contributi minori per la sanità e la previdenza, siano pubblici o privati, fanno studiare i figli per meno anni. Ciò significa che i bassi salari sono un danno sia per loro, sia per l’intera economia».

Un richiamo in prima pagina sulla protesta alla Alstom per IL GIORNALE che tratta l’argomento in pagina di economia con un articolo di cronaca dal titolo «La Alstom rischia di chiudere: gli operai bloccano 3 manager» che incastona l’intervento di Claudio Borghi che commenta: «Così si premiano solo i violenti». Borghi scrive: «Il rapimento di dirigenti, da parte di operai di fabbriche a rischio chiusura, altro non è che un tipico reato da frustrazione e, come tale, si può forse comprendere ma deve essere in ogni caso duramente condannato (…) Spesso in Italia si è data l’impressione che le manifestazioni violente portassero dei risultati (vedi i casi delle proteste per la creazione delle discariche) sottacendo il problema che così si riversano i problemi sulle spalle di comunità più pacifiche e civili, creando quindi una profonda ingiustizia». Borghi chiude invitando alla moderazione «I rischi sono profondi e una radicalizzazione delle posizioni non è utile a nessuno» scrive ricordando da un lato alcuni eccessi francesi con i lavoratori di una ditta di trasporti che hanno minacciato di versare prodotti tossici nella Senna e dall’altro i 24 suicidi dei lavoratori France Telecom causati «dall’eccessiva aggressività nei confronti dei dipendenti» insomma «Sedersi a parlare senza esagerare conviene a tutti».
 
A prima vista pare che il SOLE24ORE non dia peso la notizia del “sequestro” di Colleferro. In effetti la scelta della testata di Confindustria è quella di riferire sul dato di cronaca in un pezzullo a pagina 22, ma poi affida a un corsivo il commento a pagina 16 (la “terza pagina” del quotidiano), più interessante. Il corsivo è significativamente intitolato “Non scherziamo con il fuoco” e dice: «Salutiamo con favore lo scampato pericolo dei tre manager ma va ricordato che l’idea del sequestro, prima mediatico poi magari reale, è un atto di violenza. L’Italia è il paese della concertazione (…) dove un sindacato tra i più forti al mondo è in grado di negoziare (…) È qui che si risolvono le vertenze, e per fortuna finora sono stati molti i casi di successo». Come dire: operaio avvisato….

IL MANIFESTO apre a tutta pagina con una foto degli operai dell’Alstom. Il titolo “Train de vie” si rifà alla produzione di treni dell’azienda francese che ha deciso di chiudere la postazione di Colleferro. Nella giornata di ieri gli operai hanno «inscenato un sequestro alla francese», hanno cioè sequestrato per un giorno i manager d’oltralpe venuti per chiudere l’azienda. Nell’editoriale “Attenti ai manager” Loris Campetti attacca duramente il mondo delle grandi industrie «si chiamano multinazionali perchè si ritengono al disopra delle nazioni, dei governi compiacenti, dei territori in cui operano e spesso appestano, dei lavoratori che spremono, delle istituzioni locali che succhiano». L’editorialista poi si scaglia anche contro Sacconi reo di aver parlato di terrorismo e di aver «ululato» all’ordine e alla democrazia «L’ordine e la democrazia che hanno in testa i lavoratori sono altri e hanno a che fare con questioni molto concrete: con lo stipendio, con il diritto al lavoro, e col mandare avanti la famiglia». Campetti conclude indicando a Sacconi di perseguire i veri rei: i manager. Sullo stesso ferro batte l’articolo di Anna Maria Merlo “Nucleare e ferrovie, ecco il colosso francese” in cui la giornalista rende una fotografia del colosso energetico: leader mondiale delle turbine per centrali elettriche in particolare nucleari, presente in settanta paesi con 76 mila dipendenti. Merlo spiega come il sequestro dei manager nasca «dal fatto che le direzioni si sono fatte sempre più evanescenti e che i dipendenti non sono mai di fronte a qualcuno che si dichiari responsabile della situazione». L’articolo si chiude con un sondaggio transalpino, effettuato la scorsa primavera in piena crisi sequestri, in cui i cittadini «avevano dichiarato, al 63% di capire queste forme di lotta, il 45% di trovarle accettabili e il 30% di approvarle».  

Nel richiamo in copertina di AVVENIRE la sintesi della giornata di ieri all’Alstom di Colleferro. “Tensioni all’Alstom. Gli operai bloccano tre manager. Poi l’accordo”. La cronaca di Nicola Pini è precisa: «Una vicenda che ha fatto parlare di sequestro dei dirigenti sulla scorta di episodi simili accaduti nei mesi scorsi in Francia. La circostanza è stata però smentita dal ministro del Welfare Sacconi: «la libera circolazione dalla e per la fabbrica è garantita dai Carabinieri. Non è si è trattato di sequestro ma di un tentativo di drammatizzazione mediatica che non può comunque essere assecondato perché costituirebbe un pericoloso precedente. In serata la situazione si è sbloccata e operai e manager hanno lasciato la fabbrica dopo la firma  di un accordo fra azienda, sindacati e regione Lazio». La giornata di ieri è l’epilogo di uno scontro sindacale  dove c’è uno stabilimento di 150 persone, 50 in cassa integrazione che tra nove mesi potrebbe essere chiuso. Ieri mattina i manager Alstom avevano incontrato le Rsu per far il punto sulla situazione che è risultata difficile visto che il carico di lavoro si esaurirà nel giro di 9 mesi. Così dopo questo incontro  gli operai hanno dato vita alla clamorosa protesta.

“Il giallo dei manager sequestrati” titola LA STAMPA il servizio da Colleferro. «Per qualche ora c’è stata tensione ma ben presto si è capito che non è stato sequestrato nessuno» scrive l’inviato. Insomma, nessun sequestro. Tutto ieri è cominciato quando uno dei tre dirigenti al centro del caso, il vicepresidente delle risorse umane Bruno Juillemet, ha comunicato che la fabbrica aveva, salvo miracoli, nove mesi di vita. L’immenso stabilimento di quella che fu fino al 2000 (prima della vendita ai francesi di Alstom) la Fiat Ferroviaria rischia di chiudere. Di 170 dipendenti, scrive LA STAMPA, oggi lavorano solo un centinaio, mentre gli altri sono già da tempo in cassa integrazione a zero ore, con scadenza 29 novembre. Di lavoro ce n’è pochissimo:per colpa della crisi internazionale e delle scarse commesse da parte di Trenitalia, dice la multinazionale. Ieri, dopo l’annuncio di Juillemet «si è scatenato un po’ di parapiglia, c’è stato un sit-in, e i tre dirigenti hanno preferito starsene tranquilli nella palazzina della direzione» ricostruisce l’inviato de LA STAMPA.  In un’intervista Riccardo Pierobon, portavoce di Alstom e fra i tre dirigenti, conferma: «Noi stavamo tranquilli a discutere in una stanza», «ho saputo di essere stato “sequestrato” quando ho cominciato a ricevere mille tra telefonate e sms sul cellulare», il dirigente dice che «si è trattata di una protesta più che civile, senza nessuna intimidazione». Ma l’esasperazione è reale. Uno dei lavoratori, Artemio Fanella, dice:«Se si fa un atto eclatante ti danno ascolto. E’  due anni che la trattativa va avanti e oggi hanno detto che se non arrivano commesse tra 9 mesi si chiude. Eppure in Italia i treni servono, ma la politica gioca. Lasciamoli giocare. Con le famiglie però non si gioca».

 

E inoltre sui giornali di oggi:

BURQA
LA REPUBBLICA – La Lega presenta un progetto di legge per vietare il burqa integrale e punire con il carcere chi lo porta e con una ammenda da 2mila euro. Subito la politica si divide fra chi dice sì (ad esempio Emma Bonino) e chi rifiuta (il Pd: è una proposta incostituzionale). In appoggio intervista al governatore Galan che si dice d’accordo: “Giusto vietarlo, è un segno di isolamento ma le donne con il velo vanno rispettate” è il titolo del pezzo e davvero dice tutto.

IL GIORNALE – «Burqa vietato in Italia. Lo vogliono anche gli imam» è il titolo in prima pagina per la proposta di legge della Lega. Scrive Paolo Granzotto: «Sarà difficile per la sinistra trovare buoni argomenti contro la proposta di legge della Lega che vieta di indossare in pubblico il burqa. Ma troverà difficoltà anche il giudice che indaga la Santanchè per turbativa di funzione religiosa». Il titolo nella pagina interna è esplicito sulla posizione de IL GIORNALE «Finalmente vogliono vietare il burqa per legge», nel catenaccio si sottolinea che «A difesa degli integralisti resta solo la sinistra». Mentre a piè di pagina prosegue l’analisi di Granzotto: «Sarà difficile per la sinistra, i clerici multiculturalisti, i preti che lisciano il pelo agli infedeli, i filo islamici in odio a Israele e tutti i piagnoni del “dialogo” e del “confronto” trovare qualche buon argomento per scagliarsi contro la proposta di legge della Lega….». Non a caso, probabilmente, la spalla è dedicata a un articolo di Gilberto Oneto «La lezione di Lepanto: quando i cristiani uniti salvarono l’Europa». Oneto ricorda che la battaglia avvenne il 7 ottobre del 1571 «Sono passati 438 anni ma la vicenda consente una serie di paragoni e di riflessioni di strettissima attualità. Anche se oggi è poco politicamente corretto ammetterlo, anche oggi si confrontano due mondi culturali diversi e contrapposti (…)» e via così fino alla sentenza finale, dopo aver fatto un confronto e un parallelo tra le posizioni di allora e di oggi, «Faremmo bene oggi a ricordarcene tutti, perché chi non conosce la storia è davvero inevitabilmente costretto a riviverla».

PAESE IMMOBILE
CORRIERE DELLA SERA – “L’Italia e l’ascensore sociale bloccato” è il titolo del Focus di oggi: «Se la domanda viene fatta a chi ha superato la boa dei cin­quanta il risultato è, tutto som­mato, positivo: il 41 per cento dice di aver migliorato il proprio stato sociale rispetto alla famiglia d’origi­ne. Quasi la metà. Se la stessa do­manda piomba sui loro figli ecco che il cielo si copre di nuvole: solo il 6 per cento dei giovani di 20 anni dice di trovarsi in condizioni miglio­ri. Mentre uno su cinque sostiene che il proprio stato sociale è addirittura peggiorato. Sembra passato un secolo da quell’Italia che alla vigilia del boom economico aveva fiducia nel futuro, sentiva sulla pelle il sen­so della possibilità e giorno dopo giorno si costruiva un domani migliore. Sembra passato ancora più tempo da quando nel nostro Paese i figli degli operai, studiando, diven­tavano medici, avvocati e commercialisti. Oggi non è più così. E non soltanto perché il 44 per cento degli architetti è figlio di architetto, il 42 per cento di avvocati e notai è figlio di avvocati e notai, il 40 per cento dei farmacisti è figlio di farmacisti. Ma perché chi nasce in una famiglia ricca rimane ricco e chi nasce in una famiglia povera rimane pove­ro. Siamo un Paese bloccato. E questo non è solo un problema per chi rimane indietro ma un guaio serio per tutti».

LODO
IL GIORNALE – Il titolo di apertura più che sul Lodo è dedicato al fatto che «Sette italiani su 10 stanno con Berluscuni – Malgrado le furiose campagne mediatiche crescono i consensi per premier e governo, calano quelli per l’opposizione. È la prova che il Paese reale è completamente diverso da quello che ci descrivono giornali e programmi tv di sinistra» come recita il titolo e il catenaccio all’editoriale di Vittorio Feltri che introduce le sei pagine dedicate al tema. E sulla libertà di stampa intervista a tutta pagina a Clemente Mastella: «La stampa è libera e non corre rischi. Parola di vittima».

PUBBLICITA’
SOLE24ORE – Anche in Italia avremo testimonial “responsabili”? Pare di sì se è vero che saranno trasferite da noi le regole americane, in vigore dal prossimo 1° dicembre, che impegnano il volto noto che pubblicizza un prodotto a rispondere personalmente della veridicità delle proprie affermazioni. I pubblicitari sono scettici («più difficile chiudere i contratti», osservano) ma è anche vero che il consumatore avrebbe una garanzia in più. A questa notizia si collega quella dell’ipotesi di obbligare i blogger di rispondere dei messaggi promozionali veicolati dai loro siti, come ha stabilito – ma non ha valore di legge – la Federal Trade commission americana.

INTERNET
AVVENIRE –  In vetrina a pagina tre l’inchiesta “Libertà e regole, le sfide di internet”. Intervista a Gianni degli Antoni che considera: «Una miriade di linguaggi e di comunità impossibile da controllare, ma si deve pensare a strumenti autoregolatori».

LAVORO
ITALIA OGGI – Tasse e costo del lavoro troppo alti, e scarsa collaborazione tra impresa e atenei. Per uscire dalla crisi bisogna intervenire su questi punti. Lo ho  ha detto Gaetano Bergami, da poco eletto presidente nazionale dell’Unione Cna Produzione intervistato da ITALIA OGGI nell’articolo “Scommettere sull’innovazione”. Ma uno in particolare sta a cuore a Bergami e riguarda la partnership tra mondo del lavoro e quello delle università. «Tenendo conto che le piccole imprese non possono investire al loro interno in ricerca e sviluppo» ha detto Bergami «occorre incrementare la collaborazione con il mondo universitario. Attualmente questa relazione non funziona, per colpa a mio avviso di entrambi i soggetti». Nel menù delle proposte e degli interventi necessari allo sviluppo del paese, Bergami prospetta anche maggiori ammortizzatori sociali, la realizzazione delle grandi infrastrutture, più disponibilità da parte degli istituti di credito affinché mettano in circolazione nuova liquidità, il potenziamento dei consorzi fidi, investimenti in campo ambientale e tecnologia avanzata.

GUATEMALA
AVVENIRE – In primo piano a pag. 4 il caso del Guatemala dove è emergenza siccità. Secondo i dati raccolti da Gherardo Milanesi la siccità ha fatto quest’anno 500 morti, fra cui 54 bambini, 54mila le famiglie denutrite, altre 350 mila a rischio. Intervista  a padre Balbiani missionario da 12 anni in Guatemala che dice: «Alla radice del problema c’è una elite potente e corrotta» e monsignor Vizcaino Prado aggiunge: «la vera sfida è l’educazione».

AFGHANISTAN

LA STAMPA – “I taleban: stiamo vincendo noi”. E’ un anniversario amaro per la coalizione occidentale in Afghanistan. Il 7 ottobre 2001 partiva l’operazione Enduring Freedom. Ieri il segretario della difesa Usa Robert Gates ha detto che «i talebani stanno vincendo» «perché gli Usa non hanno mandato abbastanza truppe». LA STAMPA dà ampio spazio all’approfondimento, con due pagine sulla guerra ai taleban come si configura in questo momento e una grande foto di un soldato della coalizione in prima pagina. Maurizio Molinari a New York intervista l’ex comandante dell’Alleanza George Joulwan, che dice che in Afghanistan servono ora dei rinforzi civili, non militari. «Ciò che oggi serve all’Afghanistan non sono solo le truppe combattenti. Servono istruttori di polizia come i vostri carabinieri, ingegneri, geometri, insegnanti, giudici, contabili». Bisogna insomma sventare il terrorismo dall’interno delle città e villaggi, essere insieme alla popolazione; «è proprio così che si termina un conflitto» afferma «i soldati lasciano il posto ai civili. Fu così che la Nato riuscì a stabilizzare la Bosnia Erzegovina a metà degli anni Novanta».

POVERTA’

AVVENIRE – La notizia strillata in copertina è la “Povertà alimentare per 3milioni di italiani”. A pag. 5 la pubblicazione della ricerca della Fondazione per la sussidiarietà da cui è emerso che la «Soglia critica per due persone sono i 222 euro  al mese di spesa». Qualche dato: Gli indigenti spendono 28,85 euro al mese per il pane e 35,05 per la carne, contro i 62,86 e i 98,88 euro dei benestanti. Il 70% del reddito serve per la spesa e l’affitto.


Qualsiasi donazione, piccola o grande, è
fondamentale per supportare il lavoro di VITA