Il clima e la politica

Alluvione, il j’accuse del Wwf

Per la sezione italiana del fondo per l'ambiente «indispensabile che il ministero dell’Ambiente renda operativo il Piano di Adattamento ai Cambiamenti Climatici (Pnacc) promuovendo piani strategici locali nelle aree più vulnerabili», osservando che «le nostre istituzioni, un po' a tutti i livelli, a parte qualche promessa di circostanza e gli inviti/ordini a stipulare assicurazioni, non sono impegnate seriamente a favorire un adeguato adattamento del nostro territorio al clima che è cambiato»

di Barbara Marini

L’eccezione è diventata regola: se è vero le piogge che si stanno verificando riversano una quantità d’acqua anomala, è anche vero che è giunto il tempo di assumersi le responsabilità di ciò che sta accadendo.

Non si tratta più di eventi eccezionali, è indispensabile superare una logica emergenziale. Come abbiamo visto le intense precipitazioni hanno di nuovo messo in ginocchio gran parte del nostro territorio. L’Emilia-Romagna, colpita duramente l’anno scorso e in questo periodo, aveva appena asciugato le proprie strade e pare vittima di un accanimento. Intere famiglie hanno perso tutto, altre hanno la casa allagata per la seconda o terza volta, in tre anni. Non c’è discussione: il reticolo idrografico non tiene, non ha la capacità di smaltire tutta quest’acqua che si riversa con violenza a valle: gli argini cedono, l’acqua non ha più ostacoli e travolge tutto ciò che incontra. Perché il Wwf parla di un disastro annunciato?

La manutenzione scellerata

Perché si fa una cattiva manutenzione dei fiumi. Ad esempio: il fiume Savena, che bagna la provincia di Bologna, è stato oggetto di denunce da parte di Wwf per la manutenzione “scellerata” che ha portato a distruggere 12 chilometri di boschi ripariali. In questa situazione metereologica, un intervento del genere in realtà ha contribuito ad aumentare la velocità dell’acqua e dei fenomeni erosivi facendo sì che sotto i ponti si è depositato molto più legname e ramaglia di quanto ve ne fosse prima degli interventi: in pratica, portando via la ramaglia, si sono portati via la legna “buona” che oltretutto non ha trovato ostacoli (il bosco ripariale tende a raccogliere il materiale flottante). Questo ha permesso l’accumulo di tutto il materiale alla base dei piloni dei ponti più a valle.

Troppo cemento e troppe ruspe

L’Emilia-Romagna ha il più alto tasso di consumo di suolo nelle aree a rischio idrogeologico. Avendo ristretto l’alveo dei fiumi, costruito ovunque e messo in pratica una manutenzione che in molti casi ha peggiorato la situazione, a fronte di piogge intense eccezionali le conseguenze devastanti sono inevitabili.

La richiesta di dragare gli alvei ha coinciso con una escavazione selvaggia: un conto è rimuovere in modo mirato pericolosi accumuli in punti rischiosi, un conto è fare in modo che gran parte dei letti dei fiumi soffrano una carenza di sedimenti: si stanno abbassando a causa soprattutto dei numerosi sbarramenti (dighe, briglie, traverse) lungo il loro corso, che trattengono il materiale determinando anche un deficit di materiale sulla costa (il delta del Po sta risentendo parecchio della mancanza di limi e sabbie dal fiume). Troppo facile incolpare le nutrie che sono, peraltro, oggetto da anni di inutili e costosi piani di abbattimento.

Il fallimento dei governi regionali

È fondamentale recuperare una strategia pianificata e soprattutto una programmazione reale: chi governa, le “autorità di bacino”, hanno una visione parcellizzata, mentre una ipotesi di intervento che copra tutto il corso di un fiume è l’unica adeguata a una corretta prevenzione e pianificazione della risorsa idrica.

«È indispensabile che il ministero dell’Ambiente renda operativo il Piano di Adattamento ai Cambiamenti Climatici (Pnacc) promuovendo piani strategici locali nelle aree più vulnerabili come, ad esempio, la Romagna favorendo interventi di ripristino ambientale e misure basate sulla natura (Nature Based Solutions) e non contro la natura per ridurre la vulnerabilità del territorio, aumentarne la resilienza e ripristinare i servizi ecosistemici. Il Pnacc invece da circa un anno, da quando è stato approvato, è stato totalmente abbandonato.

Il giudizio è dunque chiaro:

«Le nostre istituzioni, un po’ a tutti i livelli, a parte qualche promessa di circostanza e gli inviti/ordini a stipulare assicurazioni, non sono impegnate seriamente a favorire un adeguato adattamento del nostro territorio al clima che è cambiato. Il tempo a nostra disposizione è sempre meno e senza interventi decisi e concreti siamo destinati, purtroppo, a rivivere queste tragedie periodicamente, come un incubo, soprattutto per chi viene colpito direttamente dalle conseguenze di questi eventi».

E ancora, prosegue Wwf, «senza mai dimenticarci che ogni nostro intervento di ripristino e buona gestione del territorio rischierebbe di essere vanificato se non ci affretteremo a rimuovere rapidamente la causa della crisi climatica provocata dalle attività umane, in primis l’uso dei combustibili fossili (carbone, gas, petrolio). Transizione verso un mondo senza emissioni climalteranti (CO2, metano, ecc.) e adattamento al danno già fatto devono andare di pari passo».

Restituire spazio ai fiumi

Recuperare aree di esondazione naturale o, dove questo non basti o non sia possibile, realizzare adeguate casse di espansione è oggi indispensabile. Tutto questo nell’ambito di piani di bacino idrografico che consentano di impostare una corretta pianificazione del territorio, soprattutto in funzione della necessità di adattamento ai cambiamenti climatici.

Nella foto di apertura, di Michele Nucci per LaPresse, strada allagate alla periferia di Bologna, dopo le inondazioni di domenica.

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