Immigrazione
Allontanare le ong dal Mediterraneo: storia di una politica fallimentare
Delle 23 navi di organizzazioni umanitarie che compongono la flotta civile, 12 si trovano lungo la rotta del Mediterraneo Centrale. Tra fermi amministrativi e assegnazione di porti lontani il lavoro delle ong viene continuamente ostacolato. Negli ultimi 10 anni nel Mediterraneo si contano quasi 30mila vittime. E dall’inizio del 2024 sono quasi mille i morti e dispersi
N33°20’22.94 – E013°59’08.14: queste sono le coordinate della Geo Barents, la nave di Medici Senza Frontiere, che è partita dal porto di Augusta il 16 settembre e ora si trova nella zona di ricerca e soccorso (Search And Rescue – Sar). La nave Astral dell’organizzazione non governativa spagnola Open Arms, invece, è in viaggio da ieri (18 settembre), dopo la partenza dal porto di Marsala. Entrambe sono solo alcune delle 23 navi di organizzazioni umanitarie che compongono la “Civil Fleet”, la flotta civile che pattuglia il Mediterraneo. Fanno parte della flotta anche tre mezzi aerei: Seabird 1 e 2 di dell’ong Sea-Watch e Colibrì 2 dell’organizzazione Pilotes Volontaire. Sorvolano i mari per segnalare eventuali situazioni di emergenza. Complessivamente sono 24 le associazioni che compongono la Civil Fleet, e non si occupano solo dei salvataggi in mare ma anche di assistenza ai migranti che riescono a sbarcare.
Oggi delle 23 navi attualmente operanti, sei sono attraccate in un porto italiano, 12 stanno navigando in acque internazionali o in acque italiane, tre sono ferme sulle coste spagnole (Aita Mari, Open Arms e Sea Eye 4), una è nel tratto di mare di fronte alla Turchia (TheBacklash) e un’altra è in navigazione nello stretto di Gibilterra verso l’Oceano Atlantico (Mare*Go). Aprendo un qualunque sito di localizzazione, di quelli che danno in tempo reale la posizione delle barche, ci si accorge che lo spazio del Mediterraneo è una geografia di punti che popolano il mare, ed è incredibile che una tratta così affollata sia diventata per tantissime persone un cimitero. Negli ultimi dieci anni infatti sono morti lungo le rotte del Mediteraneo 28.854 migranti, dall’inizio del 2024 le vittime sono già 401 e i dispersi 494. Quelli che, invece, sono riusciti a sbarcare sulle coste italiane dall’inizio dell’anno sono 44.676.
Negli ultimi anni il lavoro delle ong che fanno operazioni di ricerca e soccorso nel Mar Mediterraneo è stato ostacolato da campagne diffamatorie. Ma ad essere letale non sono solo le rotte migratorie del Mediterraneo, letali sono anche le politiche che si mettono in atto: ad ottobre del 2018, per esempio, il Parlamento italiano ha votato il pacchetto sicurezza che elimina la protezione umanitaria, l’anno dopo, nel 2019, viene firmato il pacchetto sicurezza bis, che introduce sanzioni finanziarie per le navi delle ong impegnate nel soccorso in mare, nel 2023 il decreto Piantedosi impone un “codice di condotta alle ong” che ostacola e rende difficoltosi i soccorsi in mare. I naufragi a cui assistiamo chiamano in causa la responsabilità di chi chiude tutte le vie di ingresso legali, stipula accordi con autorità che non garantiscono una vera attività di ricerca e salvataggio, e tantomeno porti sicuri, ed allontana le navi del soccorso civile imponendo porti di sbarco sempre più lontani: di fatto si sta lasciando il Mediterraneo senza navi umanitarie. Eppure secondo l’Organizzazione internazionale per le migrazioni – Iom, l’anno scorso l’8,5% dei migranti è arrivato in Italia a bordo di una nave di proprietà di una ong. Nel 2023 The Civil Maritime Rescue Coordination Centre (Cmrcc), il centro di coordinamento e documentazione della Civil Fleet, ha calcolato che i chilometri in più percorsi per raggiungere i porti indicati dalle autorità sono stati in tutto 150.538, con viaggi che hanno impegnato le navi per 374 giorni.
L’esternalizzazione delle frontiere
«La strategia migratoria del governo Meloni», spiega Davide Giacomino dell'ufficio advocacy di Emergency (l’ong fa parte della flotta civile con la sua nave Life Support), «è tutta incentrata sulle politiche di esternalizzazione delle frontiere. «Tra tutti cito il decreto Piantedosi con l’assegnazione di porti lontani dopo un salvataggio: per chi come noi effettua attività di ricerca e soccorso nel Mediterraneo questo provvedimento ha avuto un fortissimo impatto. Ma soprattutto a subirne le conseguenze sono le persone soccorse. I giorni di navigazione in più, necessari a raggiungere i porti assegnati, non solo aumentano i costi delle missioni per le navi delle ong e limitano quindi la loro possibilità di effettuare altri soccorsi nel Mediterraneo, ma soprattutto aumentano le sofferenze di persone che sono già vulnerabili. E ritardano così il loro accesso ai servizi e alla possibilità di richiedere la protezione internazionale». Insieme al decreto Piantedosi, anche il decreto Cutro che: «ha ridotto», continua Giacomino, «la possibilità di chiedere la cosiddetta protezione speciale e ha introdotto le procedure accelerate alla frontiera. Queste procedure accelerate limitano le garanzie e diminuiscono gli standard di protezione durante la domanda e la richiesta di protezione internazionale».
Una campagna d’odio che inizia da lontano
Ma quando è iniziata la campagna contro ong? Giorgia Linardi, portavoce di Sea Watch Italia, riconosce un momento preciso: «Il 2017», spiega. «Lo stesso anno in cui l’Italia ha firmato il memorandum con la Libia. Di fatto il Governo italiano ha iniziato a fornire aiuti economici e supporto tecnico alle autorità libiche per ridurre i flussi migratori, intercettare i migranti che partivano e riportarli indietro. Lo stesso anno della firma del memorandum parte anche una campagna di comunicazione denigratoria contro le ong. È lì che hanno cominciato a chiamarci “trafficanti”, “taxi del mare”, è in quel momento che si è iniziato a mettere in dubbio il nostro modo di operare. È sempre in quell'anno che, nei nostri confronti, vengono aperte le prime indagini di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e per associazione a delinquere. Addirittura la solidarietà in mare viene associata a reati mafiosi. Gli anni 2018 e 2019, quelli del Governo Conte-Salvini, sono stati duri. Ma poi la situazione ha continuato a peggiorare fino ad arrivare ad oggi dove l’ingresso nelle acque territoriali italiane dopo un salvataggio in zona Sar viene ostacolato e criminalizzato. La politica dei porti chiusi, l’assegnazione di porti lontani, che si possono raggiungere solo dopo chilometri di navigazione, comportano spese inimmaginabili sia in termini di carburante in più che viene utilizzato che di di impatto ambientale. Le persone che soccorriamo si trovano già in una condizione di vulnerabilità, che con queste leggi viene gratuitamente acuita. La situazione attuale è fortemente disumanizzante e cancella dalla discussione reale il soggetto, ovvero le persone che hanno il diritto di spostarsi, di essere soccorse e di raggiungere un luogo dove possono fare richiesta di protezione».
Il Memorandum con la Libia e il più recente accordo tra l’Ue e la Tunisia: «non possono», dice Linardi, «essere definiti in nessun modo soccorsi in mare. Quello che fanno questi Paesi, finanziati da Italia ed Europa, è molto più vicino alla cattura e al respingimento nei luoghi da cui queste persone scappano. Ma cosa succede, per esempio in Libia, quando le riportano indietro? Sparizioni forzate, detenzione nei lager, violenze continue. Ad oggi le politiche del Governo italiano non sono la risposta a nessun problema, le persone continueranno a spostarsi, a cercare di attraversare il mare. Anzi sono proprio le nostre leggi ad alimentare la tratta di essere umani e il profitto dei trafficanti». Ora la nave Sea Watch 5 è sotto fermo amministrativo al porto di Civitavecchia dopo aver soccorso 289 migranti due settimane fa. È sottoposta al fermo amministrativo per «non aver atteso l’autorizzazione della guardia costiera libica per effettuare il soccorso».
Se il Mediterraneo si svuota
Le politiche attuali di esternalizzazione delle frontiere, dei memorandum che sta collezionando l’Italia, e ancora l’attuazione di tutti i decreti che ostacolano ed anche screditano il lavoro delle ong, vanno avanti a quale prezzo? Il costo è sempre quello delle vite umane. «Se le politiche di esternalizzazione delle frontiere hanno avuto un impatto sul numero degli sbarchi, che sono diminuiti», dice Fulvia Conte, responsabile dei soccorsi a bordo della Geo Barents, la nave di salvataggio e soccorso dell’ong Medici Senza Frontiere, «a non diminuire è il numero dei morti in mare. I decreti del Governo Meloni e i continui sequestri a cui sono soggette le navi hanno avuto un impatto molto forte. Nel giro di due anni abbiamo subito tre sequestri, uno di 20 giorni a febbraio dell'anno scorso, un altro di 20 giorni ad aprile di quest'anno, e poi un altro ancora di due mesi che è stato sospeso, l'udienza è stata rimandata. Questo significa che nell’ultimo anno abbiamo accumulato oltre due mesi di fermo. E quindi ancora questo significa che per due non ci è stato permesso di soccorrere nessuno. E aggiungo che l’assegnazione di porti sempre lontani non è indicata in nessuna legge, è solo diventata la prassi del Governo che ha come effetto quello di allontanare le ong dalla zona di ricerca e soccorso. Siamo molto meno presenti rispetto a prima. Negli ultimi due anni per raggiungere i porti che ci sono stati assegnati abbiamo accumulato un numero di miglia pari a due volte il giro del mondo. A livello economico è un peso, avremmo potuto investire le risorse spese in carburante in altri modi, magari con campagne vaccinali o farmaci. Inoltre l’impossibilità di poter attuare più di un salvataggio alla volta è sconcertante: ci è successo di dover raggiungere il porto di La Spezia con 13 migranti a bordo, la nostra nave può trasportarne più di 700».
AP Photo/Thanassis Stavrakis
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