Cultura
All’ecomuseo Casilino il 25 aprile dura tutto l’anno
Coi suoi mille ettari è il più grande in Italia e uno dei pochi in ambito urbano. Nato dal basso, ora è un'Ong riconosciuta dall'Unesco, che lavora con la comunità locale per conservare il patrimonio immateriale del territorio, permeato di storia, dall'antica Roma alla lotta di liberazione, fino alle attuali migrazioni

È a Roma l’ecomuseo urbano – e italiano – più grande. Si tratta dell’ecomuseo Casilino, che si estende per mille ettari nei territori dei quartieri Pigneto, Tor Pignattara e Centocelle. È un progetto che ha radici profonde – è partito nel 2012 – ma che si evolve e si arricchisce continuamente. Non per nulla quest’anno è stato riconosciuto dall’Unesco come Ong accreditata per la salvaguardia del patrimonio culturale immateriale.
L’idea di ecomuseo, infatti, è nata in Francia negli anni ‘70. Non è un edificio fisico a ospitarlo, ma un territorio intero, insieme alla sua comunità. Si nutre della cultura, delle tradizioni, delle arti di una popolazione e cresce con il coinvolgimento degli abitanti. «L’esperienza dell’ecomuseo è iniziata più di dieci anni fa», racconta Stefania Ficacci, storica e vicepresidente dell’ecomuseo Casilino. «In quel periodo l’area, che di fatto era già stata riconosciuta come comprensorio archeologico, era stata investita da uno sblocco dei vincoli di costruzione, per cui attirava l’attenzione di imprese. Cittadini, comitati e associazioni chiedevano un freno, perché la zona è già densamente popolata».
Quest’area è permeata della storia del Novecento: è stata teatro della lotta di liberazione, per esempio. È così che un gruppo di ricercatori – antropologi e storici, ma anche urbanisti – si sono impegnati a mettere insieme gli studi sul territorio e l’ecomuseo è nato come organizzazione di volontariato
Gli abitanti, insomma, chiedevano di individuare le risorse storiche, culturali e archeologiche sul territorio che vivevano. E non parliamo solo di antica Roma, come viene subito da pensare quando si tratta della Capitale. Quest’area è permeata anche della storia del Novecento: è stata teatro della lotta di liberazione, per esempio. È così che un gruppo di ricercatori – antropologi e storici, ma anche urbanisti – si sono impegnati a mettere insieme gli studi sul territorio e l’ecomuseo è nato come organizzazione di volontariato. «Nel tempo c’è stato anche un riconoscimento da parte delle amministrazioni», continua la vicepresidente; «lo svincolo alla costruzione è stato sbloccato e nel 2019 siamo diventati a tutti gli effetti parte dell’Organizzazione regionale dei musei del Lazio». Fino a quell’anno non esisteva una legislazione regionale sugli ecomusei: si tratta di realtà particolari, che non nascono dall’alto, dalle istituzioni, ma partono dal basso. Sono le comunità che si riconoscono e i cittadini che individuano le risorse che vogliono preservare e valorizzare. Un territorio diventa così un attore politico. «C’è un dialogo continuo con la collettività», spiega Ficacci, «con i singoli cittadini ma anche con le scuole, per esempio, attraverso progetti di ricerca, di didatti, di formazione. Le nostre sono attività di restituzione della ricerca; realizziamo percorsi di visita, per esempio, delle passeggiate ecomuseali dove noi siamo i facilitatori, quindi mediatori col territorio».

Il programma ogni anno si amplia di nuove attività; tre anni fa è iniziato un progetto editoriale con la casa editrice Carocci, per pubblicare delle ricerche. C’è il trenino della via Casilina, una ferrovia storica, risalente al 1916, la più antica ancora inserita nel trasporto pubblico. «La cittadinanza non è d’accordo a tenerla come un “trenino tour”», dice la storica, «ma vuole piuttosto vederla come un trasporto pubblico e quindi riqualificata, trasformata in una metropolitana di superficie. Anche questo fa parte delle nostre attività: capire per i cittadini cosa significa una risorsa – non una teca – che si consegna alle future generazioni».
Essere inseriti in ambito urbano porta con sé maggiori complessità rispetto agli ecomusei che si trovano in aree rurali: c’è anche la storia contemporanea di cui tener conto, le religioni e le nuove forme del sacro. Poi c’è tutto il tema dell’arte urbana: «Attraverso i murales abbiamo avviato e aperto il Museo di arte urbana sulle migrazioni», aggiunge la vicepresidente. «L’arrivo delle nuove comunità ci ha fatto interrogare sul fatto che Roma ha sempre vissuto dei flussi. L’ecomuseo urbano deve abbracciare le nuove forme d’arte, come i murales e le pietre d’inciampo, per esempio».
Appuntamento importante nel calendario dell’ecomuseo è la Festa della Liberazione. «Per noi il 25 aprile dura un po’ tutto l’anno», conclude Ficacci, «il tema della liberazione dal nazifascismo e della costruzione della nuova società attraverso la Carta costituzionale. Ci sono tre momenti importanti, a gennaio l’installazione delle pietre d’inciampo, il 25 aprile con le feste con tutte le associazioni del territorio che si occupano di memoria e di storia e il 4 giugno festeggiamo la liberazione di Roma installando i vectors della Liberation route Europe, una sorta di “via francigena laica” che ripercorre il passaggio delle truppe alleate di liberazione in tutta Europa».
Foto di Luisa Fabriziani
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