Famiglia
Alle neomamme date un kit pedagogico, non le cremine: tante patologie sparirebbero
In pochi anni c'è stato un vero e proprio boom di diagnosi di disturbi comportamentali e cognitivi per i bambini. Molti problemi nascono in realtà da scelte educative sbagliate e anche la cura dovrebbe ripartire proprio dal riscoprire i basilari educativi. Intervista con il pedagogista Daniele Novara
«I bravi bambini rompono sempre le scatole»: Daniele Novara, pedagogista e fondatore del Centro PsicoPedagogico per l’educazione e la gestione dei conflitti, parte così per spiegare le ragioni del convegno nazionale che sta organizzando per il prossimo 8 aprile. Si intitola “Curare con l'educazione. Come evitare l'eccesso di medicalizzazione nella crescita emotiva e cognitiva” e si terrà a Milano. Contro la crescita esponenziale di diagnosi psichiatriche e certificazioni di disturbi di vario genere per bambini, Novara ribadisce che «i bambini devono poter fare i bambini, la realtà del loro mondo è fatta di pensiero magico, libertà, movimento, natura, stare con animali, scherzare, dire bugie… tutte cose che gli adulti non sopportano più. Ma il bambino è questo, è la diversità per antonomasia, è ontologicamente diverso dall’adulto e questa diversità non è solo il bello del bambino ma è ciò che gli consente di imparare e crescere. Se gli togliamo la diversità, il bambino non riuscirà più a imparare, il bambino impara perché è plastico, perché vede le cose in maniera diversa da noi». Ovvero non tutto ciò che “disturba” è patologico e non tutti i problemi che un bambino presenta devono essere tradotti e affrontati in chiave medica: molto potrebbe fare la pedagogia, cioè l’educazione. Solo che nessuno – né i genitori né gli insegnanti – di pedagogia sa più nulla, abbandonati a loro stessi, ai siti, ai blog, ai sentimenti.
Partiamo dall’inizio. È un fatto che negli ultimi anno ci sia un’impennata di diagnosi di disturbi specifici dell’apprendimento, ma come possiamo leggerlo e spiegarlo?
In una manciata di anni nella scuola sono triplicati i bambini con una diagnosi di DSA (disturbi specifici dell’apprendimento), raddoppiati quelli con una certificazione di disabilità ex lege 104 e dilagati i BES (bisogni educativi speciali). In pratica oggi un bambino su quattro, alle elementari, ha una qualche forma di diagnosi. È una situazione inedita a livello storico. Molto hanno giocato le leggi recenti, quella per la dislessia e per i BES e anche gli screening nelle scuole per cercare a tutti i costi delle malattie psichiatriche nei bambini.
Non è un segno positivo di attenzione? Di una consapevolezza che anni fa non c’era?
Direi che questo fenomeno è legato più a un aumento dell’offerta che a un aumento della domanda. No, ci occuperemo delle malattie dei bambini quando emergeranno, così invece creiamo solo panico. Io contesto semplicemente il fatto che oggi quando c’è un problema con un bambino, a scuola o a casa, subito lo si invii a un neuropsichiatra, medicalizzando, senza step intermedi. La medicalizzazione è la sola strada e la sola risposta. Un bambino disturbatore invece può essere semplicemente un bambino vivace, immaturo, distratto, un bambino che fa il bambino, oppure un bambino i cui genitori non hanno rispettato i basilari educativi. Faccio esempi banali: se un bambino dorme 8 ore anziché 10, è chiaro che manifesterà dei problemi e che i suoi livelli attentivi saranno bassissimi, soprattutto se deve restare a scuola otto ore. E se uno guada la tv tre ore al giorno avrà un sistema mentale fortemente condizionato da questo, sarà privo delle necessarie esperienze motorie e sensoriali, di questo le maestre si accorgeranno. Ma è inutile fare una terapia, prima bisogna aggiustare i basilari educativi: se il bambino non dorme, prima bisogna restituirgli quell’insieme di regole di vita adatte al suo sviluppo. O quantomeno bisogna fare gioco squadra, non escludendo l’educazione dal recupero, come invece si fa oggi. È indebito entrare subito nell’ottica della malattia, senza percorrere altre strade, anzi è assurdo. Dobbiamo occuparci degli errori dei genitori e degli insegnanti, non degli errori dei bambini.
Quindi significa innanzitutto che ci sono delle malattie che derivano dall'educazione che diamo ai bambini?
Ho iniziato a parlare di malattie dell’educazione dieci anni fa e devo dire che sulle prime il concetto non è stato capito né preso in considerazione. Ma il boom di diagnosi che abbiamo visto in questi ultimi anni conferma quello che avevo immaginato, ovvero che i bambini avrebbero pagato le conseguenze della mancanza di riferimenti educativi e pedagogici. Se i basilari dell’educazione non vengono rispettati, si mettono i bambini nei guai. Una lente con cui si può leggere questa situazione infatti è la scomparsa della pedagogia in Italia: le facoltà di pedagogia sono state chiuse nel 1991 e oggi a scienze dell’educazione paradossalmente ci si può laureare senza aver fatto nemmeno un esame di pedagogia. C’è la didattica, certo, ma quella è una disciplina operativa, è come un chirurgo che non conosce la medicina. La scuola non ha più punti di riferimento pedagogici, 25 anni fa tutti gli insegnanti erano abbonati a una rivista pedagogica, oggi no, i maestri non hanno riferimenti pedagogici perché la pedagogia è stata eliminata dalla loro formazione, gli unici riferimenti esistenti sono sanitari. Non ne faccio una colpa a loro, il problema è che non c’è nessuno strumento alternativo, la scuola oggi medicalizza perché quello è l’unico binario percorribile, l’unico riferimento esistente.
Quali sono gli errori più frequenti che facciamo in campo educativo in questo senso, anche come genitori?
Mettere regole senza condividerle fra genitori: nel lettone sì/no, tv a cena sì/no, videogiochi sì/no. È un errore tragico, perché il bambino perde i riferimenti e diventa un tiranno, a scuola non avrà il senso dell’autorità e sarà oppositivo e disturbante. Il sonno che dicevo prima. L’eccesso di tv e videoschermi a scapito del pensiero magico, del movimento, della natura, delle esperienze sensoriali, il dramma dei videogiochi: la neurologa Frances E. Jensen sostiene che ci sia una riduzione della materia grigia e bianca del 20%.
Che alternativa ci può essere alla medicalizzazione? In che senso si può curare con l’educazione?
Curare con l’educazione significa ricondurre bambini e ragazzi all’interno di buoni comportamenti educativi, dove le loro fasi di sviluppo vengano rispettate, in cui loro possono fare i bambini senza venire colpevolizzati per la loro ontologica diversità dal mondo degli adulti e dalle aspettative che essi hanno. Dobbiamo fare quello che non stiamo facendo, aiutare i genitori – oggi sono loro l’anello più debole – a fare i genitori e ricordarsi che il loro compito principale è quello educativo. L’orientamento prevalente invece dinanzi a un bambino problematico è colpevolizzare il bambino e trasformarlo in un paziente psichiatrico.
Quali strumenti possiamo offrire per aiutare i genitori?
Intanto nessun ritorno, nessuna nostalgia, perché il genitore educatore non è mai esistito. Esisteva però un sistema dove l’adulto faceva l’adulto e il bambino faceva il bambino. Serve dare consapevolezza: bisogna dire ai genitori che ogni giorno è fatto di decisioni educative che si ripercuotono sul figlio e che la cosa più importante per dei genitori non è parlare con i figli ma il prendere decisioni educative, i due genitori insieme. Tenere un bambino di 4 anni nel lettone non è una banalità, è una decisione educativa e la scelta che fai si ripercuote sulla vita di tuo figlio. Mi piacerebbe ad esempio in ospedale alle neomamme si desse un kit pedagogico, non un set di cremine, perché la vita non è fatta di cremine: con un ospedale ci stiamo lavorando, le idee ci sono ma ci vorrebbero le risorse, le scuole genitori ad esempio sono totalmente autofinanziate, mentre questo è un compito della collettività. Sul versante educativo non c’è offerta, c’è il deserto. I genitori sono la più grande risorsa che abbiamo, devono essere aiutati con buone informazioni, non lasciati sprofondare nei blog: il problema non è il fai-da-te, ma che un genitore così fa del male a suo figlio.
DOVE. “Curare con l'educazione. Come evitare l'eccesso di medicalizzazione nella crescita emotiva e cognitiva” è il titolo del convegno nazionale del Centro PsicoPedagogico per l’educazione e la gestione dei conflitti che si terrà sabato 8 aprile 2017 a Milano (Auditorium Don Bosco, via Melchiorre Gioia 48), di cui VITA è media partner. I lettori di VITA avranno uno sconto sull’iscrizione (40 euro anziché 60 euro). Info e iscrizioni a convegno@cppp.it.
ATTENZIONE: il convegno “Curare con l’educazione” è stato spostato al Teatro Carcano, in Corso di Porta Romana 63 (modificato il 7 marzo 2017)
Foto di copertina Unsplash/David Straight
17 centesimi al giorno sono troppi?
Poco più di un euro a settimana, un caffè al bar o forse meno. 60 euro l’anno per tutti i contenuti di VITA, gli articoli online senza pubblicità, i magazine, le newsletter, i podcast, le infografiche e i libri digitali. Ma soprattutto per aiutarci a raccontare il sociale con sempre maggiore forza e incisività.