Famiglia

Allattare, meglio che curare

Consigli L’Organizzazione mondiale della sanità raccomanda di dare latte materno ai figli. Ma le donne italiane nicchiano

di Cristina Corbetta

Le mamme italiane allattano poco: solo una su due, infatti, continua a dare il suo latte al bambino a tre mesi dalla nascita, e nei mesi seguenti la percentuale ha un vero e proprio crollo. La denuncia arriva dal Mami (Movimento allattamento materno italiano), l’associazione che fa parte della rete internazionale Waba per la promozione dell’allattamento al seno. «Siamo ben lontani dagli obiettivi che l?Organizzazione mondiale della sanità si è posta per il 2000», spiega Ersilia Armeni, segretaria del Mami, «e cioè l’allattamento al seno esclusivo fino a sei mesi». Le più vicine al traguardo sono le donne norvegesi, di cui più del 70% allatta al seno. In coda, invece, le inglesi, che non superano il 30%. Le italiane sono a metà strada: gli studi più recenti indicano che alle dimissioni dall’ospedale l’allattamento al seno è diffuso nel 90% dei casi. Quando il bambino ha tre mesi la percentuale scende al 51%, a sei mesi è del 30%, a nove mesi dell’8%.
Eppure i vantaggi dell’allattamento al seno per il bambino sono noti: è stato dimostrato un nesso tra latte materno e prevenzione delle infezioni e delle allergie nonché con la diminuzione dei ricoveri ospedalieri e delle sindromi di morte improvvisa. E per la madre, l’allattamento costituisce un alleato per la prevenzione del cancro alle ovaie e al seno. Senza contare i vantaggi economici, visto che l’allattamento artificiale di un bambino nel primo anno di vita costa attorno al milione e 800 mila lire.
Sui motivi del ?ritardo? delle donne italiane ci sono state discussioni e polemiche: sotto accusa i medici di base, colpevoli di non sostenere le donne nel non facile compito di allattare; e di subire pressioni da parte delle case produttrici di latte artificiale. I pediatri, ovviamente, smentiscono, e rilanciano l’accusa all’ospedale, dimostrando che il pediatra di base vede il bambino solo dopo tre settimane dalla nascita, quando le abitudini alimentari sono già consolidate.
Sul cosiddetto rooming in, cioè la possibilità per le mamme di avere il bambino vicino a sé nel reparto maternità dell?ospedale (condizione indispensabile per un allattamento a richiesta), c’è in Italia una situazione quanto meno variegata: accanto a ospedali dove questa pratica è in uso da anni, ci sono strutture sanitarie che ancora non la applicano. Lo fanno rilevare non solo le associazioni che si occupano di allattamento materno, ma anche gli operatori sanitari. Il dottor Francesco Renzulli, romano, esperto di neonatologia e oncologia pediatrica, punta il dito contro la difficoltà di introdurre un vero rooming in è anche negli ospedali romani: «In oltre trent?anni di professione qui a Roma ho raccolto e continuo a raccogliere con disappunto, e anche con rabbia, le anamnesi delle neo mamme costrette a raggiungere a fatica il nido per allattare i loro piccoli la prima volta», dice. «È quanto avviene al Policlinico Umberto I e in altri ospedali dove non esiste neppure la buona norma di attaccare il bambino al seno alla nascita, come vuole la natura». Il j?accuse del pediatra non si ferma qui: «I nidi poi osservano orari rigidi per l?allattamento, che mal si adattano alle esigenze del neonato, e le puericultrici sono spesso tutt?altro che amorevoli verso le mamme, che hanno invece bisogno di incoraggiamento e di assistenza per poter allattare con successo».
Info: Lega per l?allattamento materno
tel. 055.781737
Network per l?allattamento materno
tel. 02.4503248.

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