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Allarme: dispersi 20 bambini siriani dal naufragio del 2 agosto
La barca che si rovescia, i bambini strappati dalle onde ai propri genitori, i dati ufficiali che parlano di due soli morti, il resto superstiti. Ma il conto non torna: "L'8 agosto si sono presentati da noi genitori disperati che non trovano più i figli, ma finora nessun riscontro", denuncia l'operatrice di Arci Milano che sta cercando di far luce sul caso assieme a sempre più persone. Ecco cosa potrebbe essere successo
Quella che viene raccontata nelle prossime righe è una tragedia. Che, però, potrebbe ancora avere un lieto fine, o perlomeno un allevio delle sofferenze per alcune persone coinvolte. Il 2 agosto 2014 c’è stato un naufragio, al largo della Libia. I dati ufficiali parlano di due vittime, le cui salme sono state portate a Porto Empedocle assieme a 268 superstiti dal pattugliatore Peluso, e almeno altri 300, trasportati da altre due navi di Mare Nostrum, la Fasan e la San Giusto, rispettivamente nei centri di prima accoglienza di Taranto e Salerno. Quasi tutti siriani.
Nei giorni successivi, come avviene da mesi, dopo la prima registrazione la maggior parte delle persone cerca di raggiungere con propri mezzi il Nord Italia prima, il Nord Europa poi, dove spesso ha parenti o conoscenti, passando, in molti casi, dalla Stazione Centrale di Milano. Tutto normale, quindi? No, in questo caso. L’8 agosto, ovvero a sei giorni dal naufragio, alcuni adulti si presentano davanti agli uffici di Arci Milano, raccontando agli operatori, tra cui Chiara Chierici, quanto di più straziante possa accadere a un genitore: quando la barca su ci viaggiavano si è ribaltata, hanno perso di vista i propri figli, i nipoti. Piccoli, anzi piccolissimi, alcuni con pochi mesi di vita, altri con pochi anni. “In tutto, almeno 20 minori risultano scomparsi nel nulla. Abbiamo i loro nomi, le foto sui passaporti, ma a oggi non si sa nulla del loro destino”, spiega Chierici, che da quel giorno, assieme all'associazione Salam, non fa altro che cercare informazioni, telefonare a chi di competenza, sollecitare report dalle autorità competenti (“sono in stretto contatto con prefetture e servizi sociali delle zone interessate, molto disponibili alla collaborazione, mentre siamo in attesa di dati dal ministero dell’Interno. La Marina finora è l’unica a non vere risposto alle nostre richieste”, aggiunge Chierici) insomma tenere viva la flebile fiammella della speranza, per questi padri e madri disperati che oggi vivono nei dormitori milanesi o sono già partiti per il nord, pronti a tornare nel caso ci fossero novità.
Cosa può essere successo a queste persone, e perché nessuno ne sa nulla? “Lo sbarco è stato confuso, al momento della registrazione non sono stati segnalati minori non accompagnati, né a Taranto né a Salerno”, continua l’operatrice di Arci Milano. Morte, drammatica, in acqua? “Non è da escludere, anche perché nei giorni successivi alcuni familiari dei superstiti, rimasti in Libia, hanno detto loro di aver letto sul giornale del ritrovamento di almeno 150 corpi nel mare, senza però specificare se ci fossero anche dei bambini”. Ma può esserci un’altra strada, che perlomeno darebbe un po’ di speranza: “è verosimile che si sia verificata una dinamica che spesso avviene in casi estremi: alcuni connazionali sopravvissuti al naufragio, avendo visto i bambini soli e apparentemente senza più genitori, li hanno presi sotto la loro tutela, dichiarandoli parte della loro famiglia, per non lasciarli soli”, sottolinea Chierici. Famiglie ‘allargate’ che poi sarebbero andate verso nord, quindi oggi chissà dove.
È questa possibilità che allevia un minimo la disperazione delle famiglie che hanno perso i propri cari, ora che le foto stanno cominciando a girare e potrebbero arrivare alla casa giusta. Possibilità su cui gli operatori dei centri in cui esse sono accolte, di Arci e dell’associazione Salam (a cui far riferimento per qualsiasi informazione, qui i contatti: chierici@arci.it e associazionecooperazionesalam@gmail.com) che a Taranto segue gli sbarchi, dei servizi sociali di Milano e Salerno, dei volontari nelle stazioni di passaggio dei migranti, come la Centrale del capoluogo lombardo, e di molti altri enti e persone coinvolti, giornalisti di questa testata compresa, imbastiscono il loro sostegno, alla ricerca di una verità che non è detto debba essere per forza tragica.
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