Mondo
Allargamento, tra speranze e timori. Il vento dellEst soffia sulle ong
New Europa. Nel 2004, 10 Stati entrano nella Ue, con i loro 50mila enti non profit. per il terzo settore. Si prepara una rivoluzione
Che impatto avrà sulla società civile europea l?allargamento dell?Unione a 10 nuovi Paesi? A 3 mesi dall?ingresso dei nuovi Stati membri, che entreranno nell?Ue il primo maggio 2004 ma che avranno diritto ai suoi finanziamenti già da gennaio, le ong di casa a Bruxelles rispondono così: “Sarà un arricchimento”. “I nuovi Paesi membri, e la società civile che in essi è germogliata, non hanno vissuto l?esperienza del colonialismo. Sono privi di quel senso di colpa che fa vivere l?aiuto allo sviluppo come beneficenza”, spiega Mario Gay, presidente del Cocis. “Le ong dell?Est ci aiuteranno a considerare la cooperazione un diritto invece che mera assistenza”. Niente di cui preoccuparsi, dunque?
10 domande, 1 risposta
No. Perché all?aumento di stimoli non corrisponde un aumento di budget. “L?allargamento porterà nuove tasse che aumenteranno il bilancio dell?Ue, ma purtroppo non quello per la cooperazione o per l?educazione allo sviluppo nei nuovi Paesi membri”, denuncia il vicepresidente del Cipsi, Guido Barbera. “Abbiamo chiesto alla Commissione un aumento di fondi e ci ha risposto così: la povertà nel mondo è sempre uguale, quindi anche i nostri stanziamenti per il 2004”. Cioè 200 milioni di euro l?anno per la linea di fondi B7-6000 dedicata ai progetti di cooperazione allo sviluppo, 500 milioni di euro per le ong che intervengono nelle emergenze umanitarie stanziati da Echo, 50 milioni di euro dedicati alla promozione della sicurezza alimentare e poche altre centinaia di milioni per chi difende l?ambiente e i diritti umani.
Una ?torta? che, già nell?Europa a 15 Stati membri, non basta. “Oggi su 10 domande di finanziamento presentate dalle ong, solo una viene soddisfatta dalla Commissione nonostante anche le altre abbiano tutti i requisiti per essere approvate”, spiega Sergio Marelli, presidente dell?Associazione delle organizzazioni non governative italiane. Che specifica: “Il mio timore non è dover spartire col non profit dei nuovi Paesi una parte dei fondi, ma piuttosto che Bruxelles applichi una priorità di vicinanza concentrando gli aiuti sui nuovi Paesi a scapito di quelli in via di sviluppo”.
Un rischio, temono in molti, di cui potrebbero approfittare le ong internazionali che dall?entrata in vigore degli accordi di Schengen hanno cominciato ad aprire filiali nei vari Stati europei. Prenderanno questa strada anche le piccole ong italiane?
Nino Sergi, di Intersos, confessa di averci pensato. Ma di aver cambiato idea: “La società civile dell?Est europeo ha le potenzialità per farcela da sola”. Nelle capacità del Terzo settore che sta per entrare in Europa, crede anche Tony Venables, fondatore della Euro Citizen Action Service, una non profit di Bruxelles che pubblica una guida annuale ai fondi dell?Ue destinati alla società civile. “Pensare che il Terzo settore dei nuovi Stati membri sia poco sviluppato sarebbe un grande errore. Dal crollo del muro di Berlino, in tutta l?area sono fiorite migliaia di sigle”. La Johns Hopkins University, nel 1997 ha contato 50.300 organizzazioni non profit con entrate pari a 26,2 milioni di dollari solo in Polonia. E poi ci sono diversi consorzi di organizzazioni non governative già presenti a Malta e in Slovacchia.
I Comuni guardino a Est
Secondo Venables, il rischio che corrono le ong dei Paesi entranti “è di perdere i finanziamenti locali in base al principio che d?ora in avanti a loro penserà Bruxelles”. Non sarà così, assicurano all?Euro Citizen Action Service. Dove pensano che, in futuro, i fondi dell?obiettivo 1 destinati alle regioni con ritardi nello sviluppo si sposteranno a Est. “È compito della società civile che li ha gestiti in passato spiegare ai colleghi dell?Est come usarli. Con questo obiettivo lanceremo presto in Italia il progetto Cooperate: selezioneremo 40 ong e amministrazioni locali che facciano formazione alla società civile appena entrata nell?Unione europea. Hanno già aderito le municipalità di Torino e Bologna e la Fondazione San Paolo”, spiega Venables.
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