Cultura

Alla ricerca di un padre nella città sommersa 

L’ultimo lavoro di Marta Barone, candidato al Premio Strega, è un viaggio di una figlia alla ricerca della storia di un genitore che si intreccia con la storia di una città, la Torino degli anni ‘70

di Fabrizio Floris

È un viaggio alla ricerca del padre, la storia sommersa di un genitore (che è un po’ la storia di tutti i padri): cosa hanno fatto, come vivevano, chi erano prima di noi? Una storia che però in questo caso si intreccia con la Storia di una città. La città sommersa è il riflesso di un padre “sommerso”, sconosciuto. Una metafora in estensione. L.B. come lo chiama lei, è un uomo che vive la ferocia dei ’70 prima a Roma e poi a Torino. È la storia dei movimenti di quegli anni, in particolare di Pcim-l il partito marxista leninista: servire il popolo.

L.B. ne fa parte e da Roma viene mandato a Torino perché “era la città della Fabbrica” e perché gli intellettuali dovevano abbassarsi: abbandonare gli studi, le abitudini borghesi e occuparsi solo del partito. Il partito era qualcosa che oggi potremmo assimilare ad una setta: a lui dovevi dare tutti i tuoi beni, tutto quello che avevi, vivere modestamente e in ogni cosa che facevi dovevi chiederti “servirà o no al popolo?”. Anche i comportamenti sessuali venivano codificati: “il sesso non doveva esser troppo creativo, altrimenti sfociava nella perversione borghese”. C’erano opuscoli che definivano come sposarsi e che riportavano la frase di rito “al Partito che mi ha dato più di mia madre; dico grazie al Partito perché mi ha dato non solo la vita, come me l’ha data mia madre, il Partito mi ha dato la ragione della vita, mi ha dato la guida della vita…”. A volte il partito componeva le coppie combinandole in modo scientifico: l’abbinamento era: intellettuale femmina (che doveva proletarizzarsi) e proletario maschio. Niente doveva sfuggire all’apparato. La rivoluzione sarebbe arrivata in sette anni. Chi non ci credeva era considerato un fatalista intimista.

Erano anni di grande fermento collettivo, un succedersi continuo di lotte nelle fabbriche, per la casa ed era “molto facile finire da una parte o dall’altra”, non era un tempo neutro, da qualche parte dovevi stare: “si sentiva il bisogno di aderire a qualcosa, di far parte… c’era bisogno di mitologia, di una luce ideale da seguire”.

Dopo 50 anni potrebbero sembrare cose assurde perché adesso viviamo in un altro mondo “ma è necessario non essere ironici” e neanche giudicanti. “Abbi pietà di queste persone, credevano in quello che facevano, ma sono stati divorati dalla Storia”. E di questa storia che si mette alla ricerca M.B. perché L.B. (suo padre) ci era finito dentro? Perché aveva tralasciato di scrivere la tesi in medicina dopo aver superato tutti gli esami? Cosa lo spingeva? Cos’era così forte ed attraente da portarlo a pulire i tram? La ricerca è appassionante come un giallo, ma insieme si intreccia con sprazzi di introspezione che danno al testo delicatezza e quella reale fragilità della vita.

M.B. scopre che in quegli anni le masse erano qualcosa di intrinsecamente buono, avevano un senso innato di giustizia e verità: non c’erano gli individui e le loro contraddizioni, la complessità della vita, non c’erano dubbi. Le idee erano totali, ingenue, fiduciose., “non c’era l’abitudine a porsi troppe domande, i dubbi erano già un tradimento della linea”. Erano figli, come scrisse Umberto Silva, “pronti a trucidare padri spesso gentili, per asservirci a feroci despoti delle steppe che li avrebbero impiccati per il furto di una caramella”.

M.B. arriva a questa Storia per caso, ritrovando una memoria difensiva di L.B. in un processo in cui era accusato di far parte di un altro dei movimenti di quegli anni, Prima Linea. Qualcosa di completamente diverso dalle lotte di L.B. che invece rifuggivano dagli armati. Ogni tanto emerge la città, Torino, sulle sue strade: via Barletta nel quartiere di Santa Rita dove uccisero una guardia, il bar Angelo Azzurro di via Po dove morì bruciato un proletario, e poi Mirafiori Sud dove in Strada delle Cacce fu organizzata l’occupazione delle case popolari da poco costruite ma che non venivano assegnate.

Poi il passaggio, la distinzione tra gli armati e i non armati, le gambizzazioni, gli omicidi, la gara a far conoscere il nome della propria sigla sui giornali: nel 1979 a Torino vi furono 36 attentati in meno di sessanta giorni. L.B. arrestato per aver curato un ferito, L.B. che in treno dopo il grande convegno dei movimenti a Bologna dice “è tutto finito”.

Ma poi c’è L.B. padre, la sua capacità, la sua visione, il suo perdersi e riemergere, i ricordi di M.B. le gite al mare, la ricerca della casa paterna e la nostalgia di cose mai successe, il tempo che non si ritrae.

Cosa fa VITA?

Da 30 anni VITA è la testata di riferimento dell’innovazione sociale, dell’attivismo civico e del Terzo settore. Siamo un’impresa sociale senza scopo di lucro: raccontiamo storie, promuoviamo campagne, interpelliamo le imprese, la politica e le istituzioni per promuovere i valori dell’interesse generale e del bene comune. Se riusciamo a farlo è  grazie a chi decide di sostenerci.