Che il romanzo stia attraversando una profonda crisi, lo capisco, prima che dalla riflessione, dalla pratica. Pur amando la narrativa di un amore quasi esclusivo, mi ritrovo da anni a leggere molta più saggistica. Anche la mia scrittura, senza che me lo sia mai proposto, ha virato, da qualche anno, in quella direzione. Puskin diceva che questo dipende dall’età, ma nel mio caso non è così. E’ stata proprio la mia ricerca di una narrazione soddisfacente che ha prodotto quella virata. Quanto alle mie letture, la ragione della preferenza è che, in questi anni, il livello della produzione saggistica è di molto i superiore a quello della narrativa. Una grande crisi come quella che stiamo attraversando non può essere solo finanziaria o economica, ma investe anche la conoscenza. Nei periodi di crisi la saggistica funziona perché tutta una serie di categorie (dal mito del successo al primato della politica) crollano, e la conoscenza si muove in cerca di categorie nuove, di una nuova teoria. Tutto questo produce libri belli, interessanti, pieni di tentativi che stimolano la curiosità. Viceversa, il romanzo sembra bloccato oggi entro leggi rigide, confezionate secondo gli stessi criteri della produzione industriale e di un mercato che però sta cambiando. La narrativa in questi hanno ha registrato, sì, il cambiamento, ma lo ha fatto nel modo più superficiale, ossia includendo nel mercato altri soggetti (per esempio i romanzi di scrittori asiatici, che però sono generalmente tutti residenti in Inghilterra o in America o fanno parte abbondantemente dei territori globalizzati) pensando di mantenere gli stessi attori di prima: stesse case editrici, stessi editors, stessa estetica. Questo modo di fare con un po’ di fortuna può alimentare il mercato ancora per qualche tempo (da notare: molti best-sellers sono il contrario di quello che avrebbe desiderato l’editoria, vedi Cinquanta sfumature di grigio), ma quello che noi vediamo è che la narrativa nel suo insieme non riesce a catturare il flusso del mondo, il suo movimento irrequieto.
Ciò nonostante, io credo, oggi più che mai, che solo il romanzo possa svolgere questo lavoro, gettare uno sguardo il più possibile completo in un contesto in cui i diversi discorsi (quello dei giornalisti, quello di politici, quello degli analisti, quello dei sociologi ecc.) sembra catturare sempre e solo un pezzettino di realtà. Le derive autoritarie o irrazionalistiche sono il prodotto di questa frammentazione. Per questo dobbiamo a ogni costo cercare il romanzo perduto.
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