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Alla mercé dell’Iva funesta

Ci si aspettava che fossero riconosciute le agevolazioni fiscali sugli acquisti per le attività delle associazioni senza fini di lucro.

di Salvatore Pettinato

L’attenzione del Terzo settore è focalizzata, persino troppo, sul famoso problema della detraibilità dell’Iva sugli acquisti. Ma finora non si è riusciti a chiarire le incertezze che quell’imposta genera. Con la premessa di tornare più avanti – tanto la questione è stata ben monitorata in più sedi – sulla questione “detrazione”, riteniamo opportuno richiamare alcune (solo alcune) questioni Iva che se in sede tecnica sono definite “secondarie”, ma che in effetti non lo sono quando toccano in concreto un qualunque ente. Aliquote su veicoli per invalidi Il D.P.R. n. 633/1972, nella tabella A, parte II, assoggetta all’aliquota ridotta del 4 per cento gli acquisti di particolari tipologie di veicoli adibiti al trasporto di persone affette da invalidità (che deve appositamente essere comprovata). Stante la premessa di fondo del trattamento Iva a monte sugli enti non profit (indetraibilità dell’Iva assolta sugli acquisti impiegati nell’attività istituzionale), la logica avrebbe voluto che la predetta aliquota ridotta, avrebbe dovuto essere applicabile anche nei confronti degli enti non commerciali che provvedevano all’acquisto diretto dei suddetti veicoli attrezzati al trasporto degli invalidi da loro assistiti (è il caso di numerose associazioni di tipo assistenziale). Sulla precisa tematica, tuttavia, il ministero delle Finanze si è espresso con queste testuali parole: “È appena il caso di osservare che restano esclusi dall’agevolazione gli autoveicoli che pur se adattati al trasporto di disabili sono intestati (dunque, acquistati) a società, a enti […]”. Le conseguenze di quanto il ministero delle Finanze ha ritenuto il caso di osservare, conducono all’assoggettamento all’Iva con aliquota piena del 20 per cento degli acquisti dei veicoli adibiti al trasporto degli invalidi effettuati direttamente dagli enti non commerciali (i medesimi acquisti effettuati dalle organizzazioni di volontariato verranno analizzati nei futuri interventi dell’Osservatorio dedicati al tema). Nessun favore per le Onlus Veniamo alle Onlus: tali enti, che in teoria avrebbero dovuto beneficiare di particolari agevolazioni fiscali, di fatto, soprattutto con riferimento all’imposta sul valore aggiunto, non hanno goduto di un regime di particolare favore (solo dopo un anno si è voluta riconoscere l’esenzione alle prestazioni socio-sanitarie svolte in convenzione con l’A.F.). In particolare, una rilevante distonia la si coglie con riferimento agli acquisti di immobili che questi enti decidono di impiegare nello svolgimento delle attività istituzionali: se tali immobili vengono acquistati presso società immobiliari, infatti, l’aliquota applicata è quella ordinaria del 20 per cento; se, invece, l’immobile viene acquistato presso privati, il trasferimento non è minimamente assoggettato ad imposta sul valore aggiunto e l’imposta di registro viene applicata in misura fissa. Questa è una conseguenza comune, in verità, ma è chiaro che colpisce di più il senso di equità se si pensa che con frequenza le Onlus devono acquistare strutture – magari con mezzi donati – per dare senso alla loro operatività. Ne consegue una notevole differenza nel trattamento fiscale del medesimo acquisto che, di fatto, non essendo l’Iva assolta detraibile, impedisce alle Onlus di acquistare immobili presso soggetti non privati (salvo notare che spesso le sedi operative di enti non commerciali, date le loro dimensioni, sono possedute da società e non da privati e, quindi, il loro acquisto viene oberato ex necesse di un costo fiscale indetraibile per l’ente). Tassate anche le donazioni Una delle problematiche di maggior rilievo che, infine, incombe sugli enti non commerciali è quella relativa all’applicazione dell’Iva sui contributi a questi erogati da parte di soggetti terzi. Accade sovente che nell’atto attraverso il quale viene stipulato l’accordo, si preveda espressamente l’assoggettamento ad Iva il contributo erogato all’ente non commerciale. Tale modalità operativa viene normalmente giustificata con la presunta necessità di dare all’operazione la maggiore cautela e trasparenza fiscale possibile. Questo, nonostante l’applicazione dell’Iva non comporti conseguenze di alcuna sorta per il soggetto erogatore, il quale, anzi, a fronte del medesimo contributo erogato, beneficia altresì spesso della possibilità di detrarre l’Iva assolta se configura l’operazione quale prestazione di servizi. Così, l’ente non commerciale, da parte sua, si trova spesso di fatto nella condizione di “portare a casa” il medesimo introito lordo pattuito, dal quale, tuttavia, dovrà essere scomputata l’Iva corrisposta dal soggetto “erogante”, poiché bisognerà riversarla all’erario. Tale procedura, oltre ad essere contraria alle disposizioni normative, in quanto il contributo, se effettivamente di natura sovventoria, vista la natura di ente non commerciale del soggetto percipiente, non andrebbe assoggettato ad Iva (e quindi potrebbe anche essere contestata come costituzione di operazione inesistente), penalizza particolarmente gli enti non profit i quali, pur di non vedersi costretti a rinunciare alle somme erogate, di fatto preferiscono sottostare all’applicazione dell’imposta beneficiando di introiti minori. Tale circostanza, tuttavia, non è, in realtà, la più gravosa per l’ente; in realtà, ciò che desta le principali preoccupazioni nelle suddette operazioni, è il fatto che, assoggettando il contributo all’Iva (ma identiche considerazioni operano nel caso in cui l’operazione avviene in regime di esenzione ex art. 10 del D.P.R. n. 633/1972), si attribuisce allo stesso piena natura commerciale. Tale “commercialità” può comportare, possibili rischi di perdita della qualifica di ente non commerciale, che rappresenta un problema ben più serio dell’eventuale corresponsione dell’imposta (questa problematica è stata analizzata nel primo intervento dell’Osservatorio). È allarmante infine, che, se da un lato gli enti sono costretti (da chi li eroga, spesso enti pubblici preoccupati solo di mettersi al coperto da malintese responsabilità teoriche) ad assoggettare all’Iva i contributi di natura sovventoria, dall’altro si assiste, ad un sempre più frequente e generalizzato invito, spesso da parte degli organi centrali di organizzazioni non profit di carattere nazionale, a non applicare l’Iva sulle operazioni commerciali attive poste in essere dagli stessi nella convinzione di ottenere, in sede giurisprudenziale, legittimo riconoscimento del proprio operato in virtù delle finalità effettivamente sociali perseguite. Si ritiene a tal fine necessario far presente che compito delle Commissioni tributarie non è quello di sindacare sulla bontà, meritorietà e utilità sociale delle finalità perseguite, bensì quello di dare attuazione alla normativa fiscale applicabile alla fattispecie sottoposta al loro esame: e che è compito della finanza applicare le norme nell’accezione severa, il che, per il solo fatto della contestazione, legittima la riscossione provvisoria del 50 per cento della rettifica.È quindi evidente che essendo l’invito a non applicare l’imposta del tutto contrario all’attuale logica impositiva, se verrà seguito, condurrà gli enti che lo avranno fatto (e il loro soggetti responsabili) a gravi conseguenze sotto un profilo economico, sanzionatorio e, in determinati casi, penale. Fino a quando queste leggi non saranno riviste, la conclusione è questa. S.P. – N.B.


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