E’ tempo di cresime e comunioni e si tirano fuori vangeli e vecchi bigini del catechismo per un ripasso veloce e non fare brutta figura quando c’è l’incontro con il prete e tutte le famiglie. Stamattina, mi è capitata sottomano la mia vecchia copia del Nuovo Testamento. Per puro caso, il libro mi si è aperto quasi alla fine degli Atti degli Apostoli, nel capitoletto 27 intitolato “In viaggio per l’Italia”. E’ la parte successiva al processo a Paolo. Il prigioniero Paolo, insieme ad altri carcerati, sotto la custodia del centurione Giulio viene mandato a Roma di modo che l’imperatore, a cui si era appellato, potesse decidere della sua sorte.
Inizia da Sidone, nel Libano attuale e vicino al confine con la Siria, il viaggio della speranza verso l’Italia. Un viaggio che si trasforma presto in calvario, a causa delle avverse condizioni metereologiche: “quando giunse la quattordicesima notte della nostra deriva per il Mediterraneo centrale ….” . Una nave stracarica di passeggeri, “le persone a bordo erano duecentosettantasei” , che perdono la speranza e iniziano a buttare a mare il carico e l’attrezzatura. L’equipaggio prova a fuggire sull’unica scialuppa di salvataggio ma Paolo lo impedisce.
All’alba del quindicesimo giorno avvistano Malta (che in fenicio significava “scampo”) e mandano la nave ad incagliarsi su un banco di sabbia. Il centurione, un bravo uomo, ordina a chi sa nuotare di buttarsi per primo in acqua, mentre gli altri possono provare ad aggrapparsi agli assi della nave che nel frattempo si sta sfasciando. Si salvano tutti, come Paolo aveva sognato.
“I nativi ci dimostrarono una umanità straordinaria: ci accesero un falò, ci accolsero tutti a causa della pioggia che aveva cominciato a cadere e del freddo”.
Quel viaggio cambiò la storia dell’uomo, per sempre.
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