Cultura

Alì, un film medio su un uomo massimo

Recensione del film "Alì"

di Aurelio Picca

Alì, film del ?medio? M. Mann, non poteva essere ?massimo? come nella vita e nel pugilato è stato Cassius Clay, l?uomo che ha preteso la cancellazione del nome di schiavo per ribattezzarsi Muhammad Alì: «Io farò il campione come voglio io». Certe volte il cinema può soltanto citare l?arte pugilistica, il mito in carne e ossa, la «notevole storia» (valori e temi di cui, invece, i miei amici de Il Giornale, Luca Doninelli in testa, lamentano la latitanza) di un personaggio, appunto, Cassius Clay, tanto ingombrante e campione da suggerire a Don King (secondo il Norman Mailer de Il combattimento) che «Alì motiva perfino i morti». Dunque se Alì sapeva motivare persino i morti, credo che non debba né possa motivare il cinema. Perché? Spiego con un esempio pertinente. Toro scatenato è stato un grandissimo film e ha inventato il personaggio di Jack La Motta, un pugile straordinario che, grazie al cinema, è passato dalla leggenda al mito. Alì invece è stato, ed è da sempre, leggenda e mito. Come poteva il cinema, questo film fare di più? Come poteva Alì raggiungere Alì? Il povero regista Mann e l?altrettanto povero protagonista Will Smith non potevano né dovevano fare di più. Dovevano soltanto citare imprese irripetibili. Solo chi non ha visto combattere dal vivo Monzon, Benvenuti, Tyson può pensare che il cinema con la boxe possa fare di più. Invece il cinema, come in questo caso, può solo raschiare il fondo del barile, della memoria. Meglio così.

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