Sustainability portrait

Con più cultura la sostenibilità è “assicurata”

Nel mondo assicurativo c’è spazio per mettere in pratica i principi dello sviluppo sostenibile? L’appassionato racconto - professionale e personale insieme - di Alessandro Bonatta di Itas Assicurazioni dice di sì. Ma il protagonista del nuovo ritratto di VITA dice anche che per cambiare davvero il mondo ci vogliono alleati. Partendo dalla scuola

di Nicola Varcasia

Il Trentino Alto Adige è riconosciuto come un fiore all’occhiello per l’organizzazione del territorio e la qualità della vita. Le Dolomiti fanno il resto. Tra i motivi di questo successo c’è anche una innegabile qualità e capacità umana mostrata da chi si è dato da fare per rendere questi luoghi, un tempo molto poveri, ospitali e accoglienti come pochi. Sembra presa un po’ alla lontana, ma è anche da questi pensieri che è partita la conversazione con Alessandro Bonatta, direttore real estate e sostenibilità del Gruppo Itas Assicurazioni, protagonista della nuova puntata dei Sustainability portrait.

Cominciamo dalla sua storia, quando ha incontrato i temi della sostenibilità?

Ho sempre avuto interesse per la materia. Mi sono laureato nel 1995 all’università di Trento, quando la sostenibilità era ancora un pensiero embrionale. La mia tesi è stata sulla teoria degli stakeholder, che indicava il primo cambiamento nella rendicontazione del bilancio delle grandi aziende. Accanto alla mera informativa numerica, si introduceva una relazione più generale nei confronti di tutti i portatori di interesse, non solo gli investitori. 

Come si è avviata sua carriera professionale?

Dopo la laurea, ho lavorato per alcuni anni in consulenza, presso Pwc. Poi, per altri sette in Sait, fino al 2009. È il consorzio di secondo grado delle cooperative di consumo del Trentino Alto Adige che, come è noto, per ragioni storiche, è un territorio basato sulla cooperazione in vari settori, tra i quali quello bancario, assicurativo e, appunto, di consumo.

È una realtà molto grande, affiliata al mondo Coop, dove ho incrociato nuovamente la prospettiva della sostenibilità.

In che senso?

Lavorare per un’organizzazione cooperativa, che non è una società tradizionale, significa cambiare l’ottica delle proprie attività.

Quali tasselli mancano per approdare in Itas?

Dal 2009 ho seguito la ristrutturazione di un grosso gruppo edile locale e poi, nel 2014, sono andato a Bolzano per seguire la crescita dell’azienda di automotive Barchetti. Nel 2017 si è aperta una nuova strada in Itas. È la mia sliding door, perché negli anni della consulenza ero stato revisore del Gruppo ed è stato un piacere per me rientrare in contatto con questa realtà. Itas per me non è solo professione è molto cuore.

Lavoro ed entusiasmo possono andare d’accordo?

Parliamo di una delle più belle realtà trentine, conosco tante persone che ci lavorano da una vita e per me è stato molto bello rientrarvi, anche emotivamente. In questo mondo bisogna essere sempre molto “professionali” ma, se posso dire qualcosa di extraprofessionale, Itas è una realtà di cui mi sono innamorato.

Qual è la ragione?

In una mutua assicurazione si parla a soci, non clienti. Non dobbiamo vendere prodotti, ma prenderci cura, con i nostri prodotti, delle esigenze dei soci. È un atteggiamento diverso con cui si affronta la problematica. Poi, naturalmente, in tanti aspetti le due tipologie di servizio per il cliente e per il socio si intrecciano.

Qual è il suo compito attuale?

Sono entrato nel Gruppo come direttore della parte amministrativa di Itas Patrimonio, società immobiliare poi incorporata nel 2021 nella capogruppo. Nel 2023 abbiamo deciso di raggruppare sotto un unico cappello real estate e sostenibilità, soprattutto in relazione alle esigenze normative della nuova direttiva europea Csrd.

Perché è così importante?

Nel 2024, la relazione di sostenibilità indicata dalla Csrd diventerà una parte obbligatoria del bilancio di esercizio. Nel nostro team, riuniamo le competenze tecniche, amministrative e di visione per realizzare l’attività di raccordo necessaria per sviluppare i vari aspetti della sostenibilità. La Csrd sarà il biglietto da visita che spiega come l’azienda riesce a raggiungere gli obiettivi che si è posta.

Non lo vedete come un nuovo obbligo?

La relazione di sostenibilità non dev’essere un mero adempimento normativo, anzi, andrebbe letta prima del bilancio perché, in sintesi, dice “chi sei” e qual è l’obiettivo dell’azienda.

Torniamo alla differenza tra cliente e socio. Rispetto alla sostenibilità, come emerge?

Con la capacità aziendale di rendere sostenibile il business prendendosi cura della persona. Questa è la vera sfida per una mutua assicuratrice. Come si sa, è una tipologia di impresa che si rifà alla tradizione del mondo anglosassone e c’è solo un altro player in Italia nel settore, Reale Mutua, con la quale organizziamo il premio Mutualità, incentrato sui temi e sui valori della sostenibilità in particolare quella sociale.

Ma come si integra la sostenibilità nel business dei prodotti assicurativi?

Ad esempio, con la definizione di specifici prodotti, come la polizza del volontario o quella dedicata allo sciatore, proposta da noi prima che diventasse obbligatoria. In generale, il comportamento dei nostri agenti non mira subito alla vendita di un prodotto, ma a comprendere, affrontare e trovare insieme al socio la miglior soluzione all’esigenza di copertura del rischio.

Quali sono gli indicatori?

Il nostro fiore all’occhiello è la velocità di liquidazione dei sinistri. L’altro indicatore della qualità del prodotto e dell’assistenza, accertato anche da riviste tecniche, è il bassissimo tasso di reclami.

Assieme alla velocità di risoluzione dei reclami stessi, questi valori indicano un preciso atteggiamento della compagnia nei confronti del socio.

Come entra la sostenibilità nella gestione del vostro patrimonio?

Il Gruppo ha oltre cinque miliardi di euro di investimenti per le coperture dei rischi che assicura ai propri soci in caso di eventi avversi. La gestione sostenibile di questo patrimonio assicurato è un’altra delle nostre peculiarità del gruppo. Ci siamo dati delle regole precise sia negli investimenti finanziari sia immobiliari.

Dal lato finanziario?

Gli investimenti sono realizzati esclusivamente in prodotti sostenibili: dal 2019 abbiamo sottoscritto i Principi per l’investimento responsabile dell’Onu – Pri, riconosciuti internazionalmente come gli standard di riferimento. Lo scopo è di garantire ai soci un minor rischio a lungo termine e una certa peculiarità nella gestione.

Per il patrimonio immobiliare?


Rispondo con un esempio. La più recente iniziativa immobiliare del Gruppo è stata la  realizzazione nel quartiere Le Albere, a Trento, dell’Itas Forum, con una spesa di oltre 19 milioni di euro. L’immobile poteva essere costruito in modo da ottenere la classe energetica massima, dal punto di vista dei criteri ambientali. Abbiamo preferito realizzarla in classe B+.

Perché è un vantaggio?

Mantenendo il costo di realizzazione più basso, ovviamente entro standard ambientali elevati, abbiamo potuto tenere più bassi anche i canoni di locazione, garantendo comunque il ritorno dell’investimento. Il risparmio sulla classe energetica ci ha poi consentito di realizzare un auditorium da 250 posti aperto alla città. Avremmo di certo guadagnato di più assegnando gli spazi solo ad uffici, ma in questo modo abbiamo realizzato anche un obiettivo sociale. Credo che questo sia il modo migliore per interpretare i criteri Esg. Non può essere preponderante solo un fattore, ad esempio ambientale, ai danni di quello sociale. Come ha detto il professor Paolo Venturi, la sostenibilità non è una somma di E, S e G, ma è una moltiplicazione, nella quale se un addendo è zero la sostenibilità è zero, anche se uno dei fattori vale il massimo.

Restiamo al sociale, qual è un altro vostro progetto distintivo?

Itas Solidale, nata da un gruppo di dipendenti  e agenti e successivamente costituitasi come associazione. Ha lo scopo di raccogliere fondi e destinarli ad attività sociali. L’anno scorso sono stati finanziati 8 progetti, per 4.500 beneficiari, grazie a 717 donatori che hanno donato a 4.500 beneficiari 190mila euro. Per ogni euro donato, Itas raddoppia la cifra.

Chi propone i progetti da sostenere?

I colleghi e gli agenti stessi e questo è un altro aspetto rilevante e coinvolgente di questa attività sociale che va oltre il lavoro.

Cosa si potrebbe fare di più?

Sulla sostenibilità oggi c’è poca cultura, dovrebbe essere insegnata ai nostri figli a scuola, come l’educazione civica, perché loro possano conoscere e decidere. Solo nel momento in cui viene conosciuta e compresa, la prospettiva della sostenibilità verrà scoperta dalle persone come un modo di vivere migliore. Quando lo capiscono, i giovani sono i primi a salire a bordo e a trascinare noi. Ma, se insistiamo a far percepire la sostenibilità come un qualcosa di obbligatorio o imposto dall’Ue, non otterremo risultati duraturi. Bisogna uscire dalla sostenibilità urlata o che mira a impietosire e fare cultura. In azienda e nella società.

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