Immigrazione
Albania e ritorno per quattro minori: dal riconoscimento dell’età ai tutori volontari, ecco cosa non funziona
Fra i migranti portati a Gjader c'erano anche quattro minorenni, subito ricondotti in Italia. Proprio pochi giorni fa Sandra Zampa aveva presentato in Senato una interrogazione che mette in fila tutte le criticità che permangono nell'accoglienza dei minori stranieri non accompagnati, in particolare rispetto al loro diritto di avere un tutore volontario. Ecco il punto con la senatrice e con Paola Scafidi, presidente di Tutori in rete
In Albania, al centro di Gjader, l’Italia ha inviato anche quattro minori, già riportati in Italia e trasferiti a Potenza per essere inseriri in progetti Fami. «Sebbene formalmente i minori e le altre categorie vulnerabili siano escluse dai trasferimenti nei centri in territorio albanesi, il fatto che questi quattro ragazzi siano stati erroneamente individuati come adulti dimostra quanto le modalità di valutazione della vulnerabilità previste dal Protocollo rischino di rivelarsi inadeguate e inefficaci», sottolinea Save the Children. «Questi minori hanno già affrontato viaggi difficili e pericolosi per sfuggire da guerra e povertà e continuano un percorso costellato da ostacoli e difficoltà. Se erroneamente individuati come adulti e trasferiti in questi centri, potrebbero trovarsi in una situazione di promiscuità con maggiorenni e non riuscire ad accedere ai loro diritti, come ad esempio la tempestiva nomina di un tutore o il riconoscimento di un permesso di soggiorno per minore età, nonché rischiare di essere espulsi».
«Un tutore per ogni minore» è il motto di Tutori in rete, l’associazione di secondo livello che raccoglie diverse realtà associative di tutori volontari per minori stranieri non accompagnati su tutto il territorio nazionale. La realtà dei fatti, tuttavia, è ancora lontana da questo obiettivo. Al momento siamo ancora distanti anche da quanto stabilito dalla legge 47/2017 (la cosiddetta “legge Zampa” dal nome della prima firmataria, la senatrice Sandra Zampa) che ha istituito questa figura e stabiliva che a ogni tutore venissero assegnati al massimo tre ragazzi.
Tutori volontari, le criticità in una interrogazione parlamentare
Proprio Zampa il 15 gennaio ha presentato in Senato, insieme ad altri colleghi, una interrogazione parlamentare che mette in fila tutte le criticità che permangono nell’accoglienza dei minori stranieri non accompagnati, in particolare rispetto al loro diritto di avere un tutore volontario e chiede «di sapere quali iniziative intendano porre in essere i ministri per fare fronte alle criticità descritte al fine di assicurare, attraverso interventi di carattere strutturale, l’effettività dell’istituto della tutela volontaria, così garantendo ai minori stranieri non accompagnati adeguate condizioni di vita e il pieno godimento dei diritti civili e sociali».
Tutori/minori, un rapporto di uno a cinque
«Il numero dei tutori volontari iscritti negli elenchi istituiti presso i tribunali per i minorenni al 31 dicembre 2022 è pari a 3.783, mentre i minori stranieri non accompagnati presenti sul territorio nazionale, al 30 novembre 2024, sono 19.228», si legge nell’interrogazione. Al 31 dicembre i msna presenti erano 18.625 secondo il report del ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali. I soli sbarchi nel 2024 i msna hanno visto arrivare in Italia 8.043 minori secondo il cruscotto di monitoraggio del ministero dell’Interno. Per la legislazione italiana, questi minori non possono essere espulsi e devono avere accesso alla protezione e a un’accoglienza adeguata fin dalle prime fasi di identificazione ed eventuale accertamento della minore età, a cui procedere solo in caso di fondato dubbio, con modalità multidisciplinari, assicurando la presunzione di minore età durante la procedura e fino al suo esito finale, e il beneficio del dubbio in caso non si arrivi a un risultato certo all’esito della stessa.
«La proporzione è pari, all’incirca, a un tutore potenzialmente disponibile ogni 5 minori stranieri non accompagnati e dunque superiore a quella prefigurata dall’articolo 11 della legge n. 47 del 2017; si tratta di un numero assolutamente insufficiente a far fronte alle esigenze dei minori stranieri non accompagnati presenti sul territorio nazionale», si legge nell’interrogazione. Scarseggiano le persone disposte a ricoprire questo ruolo, quindi, ma i motivi sono più profondi di una semplice mancanza di volontà da parte dei cittadini.
La vita delle persone che decidono di fare i tutori è enormemente arricchita, di storie, di colori, di sapori di Paesi diversi
Rossella Guiot
Tutore: poca conoscenza e poca promozione
«C’è poca promozione della figura del tutore», spiega Rossella Guiot, del direttivo di Tutori in rete, «e mancano anche i corsi di formazione a sostegno di queste figure, che erano una premessa intrinseca alla legge ma che raramente abbiamo visto accadere».
«Andrebbe fatta una campagna massiccia di informazione e sensibilizzazione», aggiunge Paola Scafidi, la presidente dell’associazione, «per parlare alla cittadinanza di questa possibilità e alla bellezza che c’è in questo ruolo».
Essere tutore volontario, infatti, non è solo un ruolo “burocratico”: è un accompagnamento informale, diverso da quello che può essere fatto da un operatore di una comunità o dalle istituzioni, proprio perché al di fuori dalle strutture rigide dell’accoglienza. Si può conoscere un ragazzo in quanto tale, non in quanto minore straniero all’interno di uno specifico programma di una struttura, portarlo magari a prendere un gelato, a fare una gita, sentirne i racconti, le speranze per il futuro. «La vita delle persone che decidono di fare tutori è enormemente arricchita», continua Guiot, «di storie, di colori, di sapori di Paesi diversi». In più, spesso si instaura una relazione di fiducia e di amicizia che va al di là di quanto previsto dalla legge, spingendosi anche oltre la maggiore età del giovane.
Le criticità, regione per regione
Lo scarso numero di potenziali tutori, tuttavia, non è il solo problema che il sistema riscontra oggi. «Da tempo raccolgo a Bologna una sofferenza enorme dei tutori», racconta la senatrice Zampa, «mentre in Lazio oltre 50 partecipanti a un corso di formazione terminato a luglio, a novembre non erano stati inseriti nell’elenco tenuto dal Tribunale per i minorenni di Roma».
Ci sono delle difficoltà anche a livello di nomine, che, spiega Scafidi, «in alcune zone vengono fatte tempestivamente ed efficacemente, mentre in altre ne vengono fatte poche, lentamente rispetto all’apertura del fascicolo. Spesso sono anche fatte male, senza nessun tipo di ragionamento – che invece sarebbe utile – sull’abbinamento tra tutore e minore. Per esempio se un ragazzo ha particolari esigenze sanitarie o problematiche legali complesse si potrebbe abbinarlo a un medico o a un avvocato, se ci sono. Si potrebbe fare anche un match linguistico: se un minore viene da un Paese francofono, scegliere una persona che parla francese».
Lingua e prossimità
Capita anche che ci siano volontari che vengono chiamati più volte, mentre altri non ricevono nomine per anni. A venire trascurato, in alcuni casi, anche un aspetto importantissimo, quello della prossimità: per fare al meglio un lavoro di accompagnamento e di tutela bisognerebbe stare vicini, ma non sempre è così. «Che senso ha abbinare a una persona di 70 anni un minore che abita a 150 chilometri?», si chiede la senatrice.
I minori nei Cas per gli adulti
Doppiamente sfortunati sono i minori che si ritrovano nei Centri di accoglienza straordinaria-Cas per adulti. «Raramente hanno un tutore», spiega la presidente di Tutori in rete. «Io sono stata tutrice di un ragazzo che era in un Cas, ma contemporaneamente ce n’erano altri quattro nella stessa struttura per cui non è mai stato nominato un tutore». Già, perché quella che sulla carta della legge era una “possibilità” è diventata realtà.
Il decreto-legge n. 133 del 2023 (art. 5, co. 1, lett. a) dispone infatti che il prefetto può disporre l’accoglienza dei minori nei centri governativi ordinari e straordinari di accoglienza, sostanzialmente riservati agli adulti, ma in una “sezione” appositamente dedicata ai minori. La possibilità di accoglienza in tali centri è riservata ai minorenni di età almeno pari a 16 anni e per un periodo non superiore a 90 giorni. Carla Garlatti, all’epoca Autorità Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza, si era scagliata chiaramente contro tale ipotesi: «È importante che i minori siano tenuti separati dagli adulti nell’accoglienza». I minori devono assolutamente essere separati dagli adulti, nemmeno temporaneamente devono essere “mescolati” con loro, aveva detto la Garante. «Ci sarebbe una “contaminazione” che per i minori è dannosa, perché metterli insieme ai maggiorenni li porta ad acquisire informazioni e un modus operandi che non è adatto a loro, non va bene per i minori. I minori sono persone in formazione e devono avere dei centri educativi che siano dedicati esclusivamente a loro. L’ inversione dell’onere della prova sull’età – cioè che sia il minore a dover dimostrare di essere tale – è pazzesca: abbiamo minori che prevengono da zone dove non ci sono i registri anagrafici, non hanno i documenti oppure è costosissimo averli. Se poi sono rifugiati è letteralmente impensabile».
L’annosa e irrisolta questione dei rimborsi
Una questione su cui c’è ancora da lavorare è quella dei rimborsi spese – per il denaro utilizzato nell’esercizio della tutela, ma anche per i permessi retribuiti concessi dai datori di lavoro – che pur sarebbero previsti dalla norma. «Quasi nessuno dei tutori ha avuto accesso a questi rimborsi», spiega Scafidi. «Un po’ perché è una possibilità che si conosce poco e un po’ perché molti ci rinunciano dopo aver visto le procedure da seguire. Di frequente, infatti, le istanze non ottengono risposte o vanno a scontrarsi con una serie di rigidità che di fatto rendono inaccessibili queste misure. Un nodo complicato è quello che prevede un passaggio per il nulla osta attraverso il Tribunale per i minorenni, che è già molto affaticato e non riesce a rispondere».
Questo tema, tuttavia, non è centrale per i tutori italiani perché i motivi che li portano a fare questa esperienza sono altri. «Entrando in una rete europea che si chiama European guardianship network ci siamo resi conto che in altri Paesi dell’Unione Europea ci sono sistemi di tutela a pagamento», dice Guiot, «che in un certo senso sono più efficaci perché non c’è bisogno di passare attraverso la nomina del tribunale. È la struttura che nomina un tutore, che potrebbe essere equivalente al nostro educatore. Noi però siamo diversi, abbiamo una specificità bella, siamo una figura vicaria genitoriale e abbiamo la varietà dei possibili genitori, ma anche la forza, la libertà di esercizio. Non abbiamo nessun condizionamento, nessuna linea guida della comunità, nessun bilancio da far quadrare».
Quella del tutore quindi è una figura importantissima, un punto di riferimento non solo burocratico, che potrebbe svolgere un ruolo chiave nella strada per l’inclusione. «Lo stesso ministero dell’Interno conferma che dove ci sono i tutori volontari le cose funzionano meglio», conclude la senatrice Zampa. «A me interessano i destini dei ragazzi, ma c’è anche un secondo aspetto, il beneficio che tu produci nella società, perché eviti di avere dei ragazzi che magari vengono attratti dai luoghi dello spaccio o della criminalità. L’interesse di una comunità, di un’istituzione dovrebbe essere proteggere, valorizzare e guidare verso un buon risultato. Bisognerebbe spiegare a chi pensa alla migrazione solo come una disgrazia che nella cattiva accoglienza si spende e si perde molto di più».
In apertura, operazioni di sbarco per la Humanity 1 con a bordo 77 migranti, tra cui 3 minori non accompagnati a Crotone, il 4 marzo 2024. Photo by Antonino D’Urso / LaPresse
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