Immigrazione
Albania, dentro il centro di Gjadër insieme ai 43 migranti: ecco cosa ho visto
Francesco Ferri, esperto di migrazione di ActionAid, è membro della missione del Tavolo Asilo e Immigrazione. È in Albania per monitorare le procedure e le condizioni dei migranti che attualmente si trovano nel centro di Gjadër. «È inquietante e claustrofobico», dice. «La valutazione della condizione di vulnerabilità è troppo frettolosa e rischia di non cogliere il disagio psichico». Intanto, dei 49 sbarcati a Shëngjin, sei sono già stati riportati in Italia
Disorientati. È così che si sentono i 43 migranti attualmente presenti nel centro di Gjadër, in Albania. A riferirlo è Francesco Ferri, esperto di migrazione di ActionAid e membro della delegazione del Tavolo Asilo e Immigrazione (Tai) volata di là dall’Adriatico proprio per monitorare le condizioni e le procedure di trattenimento nei centri costruiti dal Governo italiano in Albania. «Essere qui per loro è una novità, non se lo aspettavano. È una tappa che non faceva parte del loro progetto migratorio», spiega Ferri.
Gestione dell’immigrazione o propaganda?
Arrivati in 49, in cinque sono subito stati rimandati in Italia e un altro farà lo stesso oggi, giovedì 30 gennaio. «Quattro sono già stati mandati indietro perché minorenni e uno perché vulnerabile. Poi ieri un’altra persona è stata valutata vulnerabile», spiega Ferri. Tutti gli altri dovranno aspettare la convalida del trattenimento da parte della Corte di Appello di Roma, che si pronuncerà tra oggi e domani mattina. Nei due casi verificatisi a ottobre e novembre, la convalida era stata sospesa e, così, i migranti mandati in Albania erano poi stati riportati in Italia.
A prescindere da come andrà questa volta, si tratta di un modus operandi che per Ferri sottolinea la leggerezza con cui il governo Meloni tratta il tema. «Portare i migranti qui non è gestione del fenomeno migratorio, è solo propaganda», afferma. «Basti pensare che nel weekend sono state intercettate in acqua circa 900 persone: mandarne 49 in Albania non ha alcun impatto sui numeri, è solo una questione politica».
I migranti sono sbarcati nel porto di Shëngjin, dove Roma ha costruito un hotspot apposito, e poi sono stati trasportati a Gjadër, dove c’è il centro vero e proprio. È diviso in tre parti: la prima destinata all’accoglienza dei richiedenti asilo, la seconda un cpr (centro permanente per i rimpatri) e la terza è un penitenziario. Per Ferri il luogo, sebbene sia di recente costruzione, è «inquietante». La sensazione, osserva, «viene data proprio dal contrasto tra il fatto che si tratta di una struttura pulita e nuova e che quindi sembra accogliente ma dove invece avvengono procedure che ledono il diritto umano. Inoltre, il centro è circondato da mura molto alte e c’è anche una collina che lo sovrasta. Poi è pieno di recinzioni interne che lo dividono in tante sotto-aree. Il tutto dà una sensazione di claustrofobia».
Le procedure che negano i diritti
La missione del Tai di cui Ferri fa parte – partecipata anche dagli onorevoli Rachele Scarpa, Toni Ricciardi e Nadia Romeo, tutti del Partito democratico, e da alcuni mediatori culturali che assistono i migranti sia nei colloqui con le autorità per valutare se sussiste la condizione di vulnerabilità sia in quelli per confermare o respingere la domanda di asilo – ha proprio l’obiettivo di verificare che venga osservato il rispetto dei diritti umani e del diritto internazionale. Purtroppo, però, violazioni sono già state segnalate.
«Le procedure applicate», ritiene Ferri, «ledono i diritti umani in due modi. Il primo riguarda la valutazione di vulnerabilità: è preoccupante che avvenga in maniera così veloce, perché si corre il rischio di non cogliere condizioni, come il disagio psichico, che non si osservano a prima vista. Molti dei migranti sono passati per la Libia, non dimentichiamoci cosa accade lì e cosa questo può comportare…». Inoltre, anche la valutazione accelerata della domanda di asilo è un punto problematico: «Queste persone sono arrivate l’altro ieri e già il giorno dopo hanno fatto il colloquio con la commissione territoriale, senza nemmeno aver avuto il tempo di prepararlo», obietta. In questo modo, spiega, alcuni elementi che potrebbero giocare a loro favore potrebbero perdersi per strada, compromettendo la loro possibilità di veder accolta la loro domanda.
Alcuni dubbi sono emersi anche su come è stata condotta la valutazione di vulnerabilità a bordo della nave Cassiopea della Marina Militare che ha portato i migranti a Shëngjin. Rispetto ai casi dello scorso autunno, infatti, l’esame è stato fatto dalla Marina stessa e non da rappresentanti dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim), l’ente Onu cui il governo (in teoria) ha delegato questo tipo di controlli.
Il giudizio della Corte di giustizia dell’Unione europea probabilmente sarà sfavorevole al modello Albania
Soltanto nel tardo pomeriggio di ieri i membri della delegazione Tai hanno potuto incontrare i migranti per parlare con loro. Prima, solo alcuni colloqui con le autorità dei centri. «Mantengono, giustamente, un linguaggio e una postura da funzionari, rispondendo alle nostre domande con collaborazione, non sulla difensiva», continua Ferri. Che aggiunge: «Da alcune espressioni facciali o piccole emozioni che fanno trasparire, la mia percezione è che anche per alcuni di loro sia sbagliato trattenere i migranti in Albania secondo queste procedure».
Una condizione che potrebbe finire presto. Il 25 febbraio, infatti, pronuncerà la sua sentenza la Corte di giustizia europea, cui i magistrati italiani avevano rimesso la convalida dei casi autunnali. «Chi segue la cosa da vicino ritiene probabile che la Corte confermi l’orientamento di inizio ottobre e cioè che spetti al Governo compilare la lista dei Paesi sicuri ma che poi il giudice possa dare un giudizio di congruità su quella classificazione», commenta Ferri. Tradotto, vuol dire che «è probabile che l’orientamento sia non favorevole al modello Albania». Per questo, conclude, «direi che a quel punto il Governo non potrebbe far altro che adeguarsi, smantellando i centri e dismettendo le procedure».
AP Photo/Vlasov Sulaj/LaPresse
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