Non profit
Al via il progetto “Malattia di Parkinson in Africa”
L'iniziativa è promossa dalla Fondazione Grigioni per il Morbo di Parkinson
di Redazione
Presentato oggi a Milano il Progetto “Malattia di Parkinson in Africa” promosso e realizzato dalla Fondazione Grigioni per il Morbo di Parkinson, per monitorare e curare la patologia nei Paesi del Sud del Mondo. L’attività prevede l’invio di personale medico per organizzare e coordinare una campagna informativa allo scopo di individuare i pazienti affetti da Malattia di Parkinson nell’Africa sub-sahariana, confermare la diagnosi, impostare il trattamento con prodotti farmaceutici specifici inviati dall’Italia, grazie anche al sostegno di Boehringer Ingelheim Italia, azienda da sempre impegnata in attività umanitarie, e formare gli operatori sanitari locali.
Uscito dalla “fase pilota”, iniziata due anni fa nella Repubblica del Ghana, il progetto è ora pronto a espandersi in altri Paesi quali lo Zambia, dando vita a una vera e propria “rete” di ambulatori per lo studio e la cura della malattia in Africa. «Oltre a una valenza clinica, il progetto si pone anche obiettivi scientifici per valutare la progressione naturale e le basi genetiche della Malattia di Parkinson e le differenti manifestazioni cliniche della patologia rispetto al mondo occidentale. Da questa esperienza potranno nascere nuove scoperte in grado di migliorare le condizioni di vita di tutti i pazienti– ha dichiarato il professor Gianni Pezzoli, presidente dell’Associazione Italiana Parkinsoniani e della Fondazione Grigioni per il Morbo di Parkinson, nonché direttore del Centro Parkinson ICP di Milano – Per questo la Fondazione Grigioni si è impegnata in una nuova sfida: portare il proprio aiuto alle persone meno fortunate a partire da quelle del Ghana, mettendo a disposizione le proprie competenze e i propri mezzi, convinti che la condivisione delle informazioni sia la vera forza dei progressi della ricerca nei confronti delle malattie degenerative».
Il Ghana è uno Stato dell’Africa sud-occidentale che conta oltre 20 milioni di abitanti, con un’aspettativa di vita media di 60 anni. Il Servizio Sanitario Nazionale, a cui è iscritto il 60% circa della popolazione, rimborsa solo i farmaci cosiddetti “essenziali”, tra i quali non sono contemplati quelli per la terapia della Malattia di Parkinson. «In Ghana abbiamo dato vita a 3 ambulatori presso il Comboni Hospital di Sogakofe, il Korle Bu Hospital di Accra e il Catholic Hospital di Battor che, a oggi, stanno trattando complessivamente 25 pazienti affetti dalla Malattia di Parkinson – spiega il dottor Roberto Cilia, neurologo del Centro Parkinson ICP di Milano – anche se il nostro obiettivo è quello di coprire tutto il Paese e curare tutti i pazienti identificati per l’intera durata della loro vita. La nostra principale funzione oltre a fornire gratuitamente i farmaci per i malati (principalmente levodopa e il dopamino-agonista pramipexolo) è quella di formare il personale medico e paramedico nella individuazione dei soggetti con Malattia di Parkinson e nel trattamento della patologia”.
«In questo Paese – continua Alba Bonetti, caposala presso il Centro Parkinson ICP di Milano – esistono solo due specialisti neurologi. Per questo è fondamentale addestrare i medici locali nei confronti di una malattia che, se pur presente in Ghana, è finora misconosciuta. Lo stesso vale per il personale infermieristico, che abbiamo visto essere molto recettivo nella condivisione dei valori del progetto e che tradizionalmente ricopre una importante funzione nell’educazione sanitaria della popolazione volta alla prevenzione delle malattie».
Per l’individuazione dei pazienti, l’attività di comunicazione riveste un ruolo fondamentale. Ruolo finora affidato a messaggi veicolati attraverso emittenti radiofoniche locali, oltre alla distribuzione presso i principali centri ospedalieri di materiale informativo sulla Malattia di Parkinson e sui principali sintomi.
«Per quanto riguarda il valore scientifico del progetto i nostri obiettivi sono di carattere epidemiologico (prevalenza della malattia e fattori di rischio), genetico (analisi del Dna), clinico (studio delle fluttuazioni motorie in rapporto alla durata della terapia e analisi dei sintomi non motori). Dal momento che i pazienti identificati non hanno mai ricevuto alcun trattamento – conclude il dottor Cilia – ci troviamo a studiare la malattia come si presentava in epoca precedente all’introduzione della levodopa. Da questo stanno emergendo risultati interessanti, per esempio, in riferimento all’aspetto motorio dei movimenti involontari, finora considerato un effetto dell’utilizzo a lungo termine della levodopa: a soli tre mesi dall’inizio del trattamento, invece, un paziente ha manifestato la comparsa delle cosiddette ‘discinesie’. Questo dato apre, dunque, nuove prospettive sull’origine di questa complicanza».
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