Molti incolpano il capitalismo di avere creato una società ingiusta. Può darsi, però noi non accettiamo che il settore nonprofit utilizzi gli strumenti del capitalismo per porre rimedio a queste ingiustizie. Ecco almeno tre aree di discriminazione:
1 – Gli operatori nel nonprofit sono normalmente pagati di meno rispetto ad identici ruoli nel profit. Di conseguenza i talenti scappano e il settore non decolla. 2 ? Nel nonprofit si va immediatamente sotto scandalo se si decide di utilizzare il marketing, mentre Nintendo spende in televisione quasi 40 milioni di euro ogni anno per pubblicizzare videogiochi e nessuno dice niente. Molti di questi giochi sono violenti e inutili. Ma se una nonprofit fa spot o usa le telepromozioni per cercare di salvare dei bambini sarà bene che non dica mai quanto ha speso, o meglio ancora che dichiari che “gli spot sono stati regalati” altrimenti ahimè, chissa cosa succede. 3 ? Non vi è nessuna possibilità di rischiare in iniziative che potrebbero generare un guadagno. Amazon può tardare 6 anni a fare i primi bilanci in utile, ma se in un’azione di fundraising non si guadagna almeno il 65%, arriva l’Agenzia delle Entrate sospettosa. In questo modo si tagliano le gambe a chi vuole investire. Oppure si incentiva a dire dati fasulli. Se al contrario ci fosse maggiore rispetto per la nozione stessa della parola nonprofit, l’intero settore non sarebbe così debole.
Invece di cercare di appagare i donatori con ciò che si vogliono sentir dire, devono iniziare a raccontare loro ciò di cui hanno veramente bisogno per riuscire a risolvere i problemi, cosa che di certo non fanno mantenendo le spese generali basse, ma costruendo le abilità e la forza dell’organizzazione. Per sciogliere questi nodi occorre stabilire obiettivi ambiziosi che devono avere la precedenza sulle spese generali, che obiettivamente sono problemi secondari.
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