I beni confiscati? Facciamoli gestire a manager socialmente responsabili. I disoccupati? Mandiamoli a fare volontariato. L’impresa sociale? Risolleviamola con un nuovo IRI. Il welfare? Finanziamolo con i social bond. Anche sulla piattaforma di Vita non mancano le idee per toglierci dai guai. E’ un effetto della crisi – positivo o negativo vedete voi – questo florilegio di proposte che, come in altri campi, tentano di invertire la rotta introducendo discontinuità. In alcuni casi – beni confiscati – è quasi una boutade. In altri – i social bond – è un dato di realtà.
Al di là dei giudizi sui singoli provvedimenti c’è però un dato comune, anzi due. Il primo consiste nel liberare un potenziale ancora inespresso o non del tutto realizzato in campo nonprofit. Obiettivo più che comprensibile, guardando al dinamismo che caratterizza il settore come dimostrano i dati del Censimento Istat. Insomma l’aspettativa che un nonprofit adulto si faccia carico di questioni alla sua altezza, non limitandosi a tamponare le falle generate dai fallimenti di Stato e mercato. Il secondo elemento comune a queste proposte è la chiamata in causa di nuovi attori. Che siano manager o prodotti finanziari poco conta: l’obiettivo è di arricchire il quadro dei soggetti che competono per produrre valore sociale.
Se questo doppio intento è reale, allora prima di aggiungere una proposta shock contiamo fino a dieci (almeno). Sarà un tempo utile per fare alcune verifiche, anzi una: la capacità di collaborazione tra attori non lucrativi e new entries. La possibilità di testare queste soluzioni deriva infatti non dalla misurazione dei rapporti di forza, ma dall’efficacia dei protocolli collaborativi, come mi ricordava Alberto Cottica a proposito della capacità di fare rete delle cooperative sociali. Saranno le joint ventures – variamente declinate – a fare la differenza al mercato delle soluzioni.
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