Cerco di mettere ordine nelle prime sensazioni legate a queste settimane, nelle quali ho avviato, non senza trepidazione, la mia attività di consulente per le politiche sulla disabilità, nel Comune di Milano. Il mio impegno, voluto dal sindaco Pisapia, è a fianco dell’assessore alle politiche sociali, Pierfrancesco Majorino, ma non si dovrebbe limitare a un “presidio” dei servizi tradizionali destinati alle persone con disabilità e alle loro famiglie, quanto piuttosto estendere l’attenzione in modo trasversale a tutte le attività e a tutti i progetti dell’amministrazione comunale, perché il punto di osservazione della disabilità consente di evitare errori, dimenticanze, piccole e grandi disattenzioni, nei riguardi di una larga parte della popolazione, quella apparentemente più fragile e meno in grado di far pesare la propria forza, se non nel momento del voto.
E’ davvero troppo presto per tirare le somme, e perfino per azzardare un piccolo bilancio. Ma trovo giusto riferire ai miei affezionati lettori, e perfino alla direzione di Vita che mi ha consentito, finora, un impegno giornalistico più elastico del solito (d’altronde, come è noto, la mia consulenza per il Comune è del tutto gratuita). Ebbene, sono molto soddisfatto. Innanzitutto ho constatato la qualità e l’entusiasmo del più grande patrimonio di cui il Comune può disporre: ossia i suoi dipendenti. Non so se si tratti di un semplice spirito di adattamento alle novità e ai cambiamenti, ma ho respirato, negli uffici degli assessorati e a palazzo Marino, un’aria positiva, una sincera disponibilità a rimboccarsi le maniche, a lavorare senza guardare l’orologio, a partecipare alle riunioni fornendo suggerimenti, esperienza, valutazioni tecniche. Il tutto sapendo che non è facile, in un momento di grandi ristrettezze economiche, far quadrare i conti e investire sul nuovo. Occorre infatti prima di tutto garantire la continuità dei servizi, rassicurare chi magari teme di perdere certezze acquisite, o abitudini consolidate.
Mi sto rendendo conto soprattutto dell’importanza della comunicazione e della partecipazione responsabile. Se è vero che esiste – eccome – un potere decisionale che va esercitato con tempestività e forza, è anche vero che molto spesso le decisioni migliori sono quelle che passano attraverso il confronto, la discussione, l’analisi di alternative, la proposta di piccole o grandi innovazioni, spesso del tutto scollegate da ipotesi di aumento di costi.
Mi sorprende infatti in modo negativo come ormai ogni attività umana, anche di partecipazione progettuale, venga vissuta con l’ossessione del denaro, del costo, del bilancio economico. Le valutazioni di mercato, che nel sociale soffrono ulteriormente dello stigma della marginalità sociale e della scarsa produttività, sembrano rendere difficile ricomporre quel tessuto di intraprendenza, di apporto volontario, di ricerca di risorse esterne, di valorizzazione delle esperienze già in atto. Rendere tutto una questione di somme in bilancio rischia di vanificare o di indebolire la questione di fondo: l’obiettivo vero di un’amministrazione è la migliore qualità di vita dei suoi cittadini.
La sensazione che invece ho avuto, in questo periodo, è che l’attenzione fosse rivolta in passato soprattutto al prestigio, all’apparire, al fare di Milano una città ricca di glamour, di primati nel mondo estetico dell’immaginario postmoderno, se non nella esclusiva attenzione alla valorizzazione immobiliare, alla costruzione del nuovo per ignorare, e dunque deprimere, le tradizioni sociali e popolari, le risorse di base, prima di tutto umane e di solidarietà, che tanto mi avevano affascinato, da giovane, quando, da lontano, pensavo a Milano.
Trasformare il welfare in ricchezza, valorizzare gli uomini e le donne che ogni giorno tengono botta, fra mille difficoltà, mandando avanti esperienze di connessione operosa tra il pubblico e il privato sociale, tra il volontariato competente e critico e il mondo profit che comincia a comprendere l’importanza – anche economica – della responsabilità sociale d’impresa: questo dovrebbe e potrebbe essere un obiettivo al quale mirare, per un’amministrazione che davvero intende cambiare il vento.
Nel mio piccolo ogni giorno raccolgo stimoli, spunti, proposte, sollecitazioni. E sempre nel mio piccolo cerco, assieme agli assessori e ai dirigenti del Comune, di risolvere, a partire dalle tante emergenze che affiorano in superficie, le singole situazioni in un’ottica di sistema, puntando a rispettare il principio fondamentale, ossia mettere la persona al centro, valutarne i bisogni reali e i diritti effettivi, e poi costruire per tutti, e non solo per qualcuno.
Mi rendo conto che queste parole possono apparire poco concrete e cariche di utopia. Ma per me, davvero, l’utopia è la migliore forma di realismo.
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