Sardegna

Al Cpr di Macomer si boccheggia, coperte alle finestre per filtrare il sole

La Garante dei detenuti, Irene Testa, fa una visita a sorpresa al Centro di permanenza per i rimpatri e scopre che la situazione non è diversa da quella registrata alcuni giorni fa al carcere di Uta (Cagliari). E chiede aiuto alle realtà del Terzo settore

di Luigi Alfonso

Situazione esplosiva in Sardegna per quanto riguarda le strutture di detenzione. Si susseguono in questi giorni le visite della Garante dei detenuti, Irene Testa, e un po’ ovunque si riscontrano le stesse condizioni disumane che coinvolgono anche il personale che ci lavora. Oggi è stata la volta del Centro di permanenza per i rimpatri di Macomer, ex carcere di massima sicurezza che un tempo era destinato ai terroristi islamici. Testa si occupa anche del Cpr poiché il Garante delle persone private della libertà vigila su istituti di pena, celle di sicurezza delle caserme, servizi psichiatrici per chi è sottoposto a Trattamento sanitario obbligatorio – Tso e, per l’appunto, i Centri di permanenza per i rimpatri.

Irene Testa oggi all’ingresso del Cpr di Macomer

«Oggi mi sono recata a Macomer. Quarantanove persone, vite umane innocenti, sono imprigionate per 18 mesi dentro blocchi di cemento bollenti», denuncia la Garante. «Stanno nelle celle, senza ventilatori e senza condizionatori. Senza frigo e costretti a bere acqua bollente, davvero imbevibile. Niente sedie, niente lenzuola. Le uniche che prevede il capitolato sono in Tnt (tessuto non tessuto costituito da fibre sintetiche in poliestere, ndr), un materiale simile alla plastica e insopportabile sulla pelle. Nessuno le usa, soprattutto con le temperature di queste giornate torride. Niente spugne per potersi lavare, neppure qualche matita per scrivere o disegnare. Tutti gli ospiti del Centro sono costretti a stare seduti per terra, nelle celle e nei corridoi dove non circola un filo d’aria. Non appena sono entrata nella struttura, mi sembrava di rivivere la scena dei giorni scorsi alla Casa circondariale di Uta, dove sono stati registrati 44 gradi centigradi. Oggi non erano di meno: un forno».

«Queste persone sono costrette a ripararsi dal sole che entra nelle celle, utilizzando delle coperte appese alle finestre», prosegue Testa. «Sono giovani di età compresa tra i 20 e i 25 anni circa, provengono da Africa e Asia, per lo più da Marocco, Tunisia, Algeria, Siria e Pakistan. Sono disperati. Hanno capito di aver commesso un azzardo nel venire in Italia clandestinamente, e qualche ospite ha chiesto persino il rimpatrio più di una volta, ma nessuno interviene. Non sempre ciò è imputabile allo Stato italiano, spesso dipende dalle mancate risposte dei governi stranieri. Preferiscono tornare nell’inferno del Paese d’origine piuttosto che stare in queste condizioni. Quella che ho verificato a Macomer è una situazione vergognosa, non degna di un Paese civile».

Le coperte alle finestre del Cpr: un palliativo contro il caldo torrido

«Così come nelle carceri, anche al Cpr di Macomer questa situazione rende impossibile la vita dei trattenuti», conclude la Garante sarda. «A questo punto, per sopperire alle carenze dello Stato, chiedo a quanti hanno a cuore i diritti umani (come la Caritas, le parrocchie e tutte le organizzazioni umanitarie e di Terzo settore) di promuovere una raccolta fondi per acquistare almeno dei ventilatori da destinare alle carceri. Purtroppo, questo non sarà possibile per il Cpr, in quanto le disposizioni di legge non lo consentono. Cerchiamo di consentire una vita dignitosa a queste persone. È un trattamento che non meritano neppure gli animali».

Credits: foto gentilmente concesse dalla Garante dei detenuti della Sardegna, Irene Testa

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