Welfare

Al Boschetto di Rogoredo per abbracciare il bisogno dei giovani

Nell'ambito di Plenaria Italia, una serie di dirette Instagram in preparazione della Milano Digital Week, abbiamo intervistato Simone Feder, psicologo della casa del Giovane, impegnato da anni nel presidio della celebre zona di spaccio milanese. «Stiamo qui per essere l'interruttore che accenda la loro voglia di cambiamento»

di Lorenzo Maria Alvaro

«Sono in questo non posto, sulle scale prima del Boschetto. Un posto che mi sta molto a cuore perché qui ho passato molte delle mie serate insieme a tanti volontari per esserci e cercare di lenire questa disperazione con l'accoglienza». Così Simone Feder, psicologo della Comunità Casa del giovane di Pavia, spiega, con alle spalle la ferrovia di Rogoredo e i treni che sferragliano, la piazza di spaccio più grande d'Italia e una delle più grandi d'Europa. Si parla del Boschetto di Rogoredo, un bosco tra i quartieri Corvetto e Santa Giulia, dove migliaia di giovani da tutto il nord Italia si radunano per consumare sostanze. L'occasione è Plenaria Italia, una serie di dirette Instagram che accompagnano i giorni precedenti l'inizio di Milano Digital Week, cui VITA ha partecipato.

«È un buco nero dentro al cuore della città. È una periferia esistenziale, un posto dove si arriva con i mezzi, i treni», continua Feder, «una sfida che ha ingaggiato pesantemente le comunità. C'è uno tsunami che ci sta travolgendo. Negli anni 80 nel pieno dell'espansione dell'eroina non avevamo mai avuto ragazzini di 15, 16 o 17 anni. Oggi genitori distrutti ci chiedono di andare a recuperare i loro figli. Quello che il Boschetto ci ha insegnato è che oggi dobbiamo uscire dai nostri comodi setting ambulatoriali. Oggi i giovani dobbiamo andarceli a prendere. Le comunità devono uscire dalle propria mura, andare in questi non luoghi, incontrare e abbracciare questi giovani. Solo così, costruendo una relazione si può poi portarli alla cura».

Da febbraio 2019 Simone Feder ha “agganciato” 250 persone, di cui sono andati in trattamento 100 ragazzi di cui 80 sono in comunità. Numeri enormi.

«Tra loro c'è Alice con cui abbiamo scritto il libro “Alice e le regole del Bosco”. In cui raccontiamo questo posto e l'umanità che si incontra», spiega Feder, «un'umanità disposta a morire per le sostanze. Il posto in cui siamo io la chiamo “la via crucis”, un sentiero lungo la ferrovia, nascosto allo sguardo delle autorità dove passano i ragazzi. Ad ottobre sono morte due persone, nell'indifferenza. La nostra presenza ha permesso alla gente di alzare lo sguardo e accorgersi che qui, fino a un anno fa, c'era il passaggio di 2-3mila persone al giorno».

L'interesse per il Boschetto di Feder, che da una vita si occupa di sostanze, nasce da una sfida di sua figlia. Lo racconta con la voce rotta: «mia figlia un giorno mi ha detto, “ma papà ti occupi di tutti ma hai visto lì cosa c'è”. I ragazzi non accettavano che molti loro compagni invece che a scuola con lo zainetto venissero qui. Era una richiesta di aiuta. Non potevamo non rispondere».

Da lì è iniziata un'avventura che dura da oltre un anno.

Mentre Simone Feder racconta queste vicende si ferma e richiama l'attenzione di quello che lui definisce “un amico”. È Dylan, uno dei ragazzi del bosco.

«La presenza dei volontari qui», spiega Dylan, «è l'opportunità per noi di uscire dal loop dell'eroina. La possibilità banalmente di mangiare dopo tre giorni di pere. Qui si parla e si pensa solo a quello. I volontari ci dfanno qualcosa cui pensare, leggere, vivere. Ci danno una prospettiva diversa rispetto a quella del bosco».

«Questo spiega la nostra presenza meglio di qualunque altro discorso», conclude Feder, «chi lo sa quando si possa accendere, per Dylan e per altri, la lampadina del cambiamento. L'importante è ci siamo noi, l'interruttore».

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