La scena è perfetta: quattro ergastolani, durante l’ora d’aria, nel cortile di una prigione fatiscente, cielo infinito sopra di loro, spazio murato attorno, discutono perplessi sul perché un compagno a cui è stata concessa la libertà, abbia paura di uscire. Finché lui, Morgan Freeman, sguardo alto, pronuncia la battuta memorabile: “Io dico che queste mura sono strane: prima le odii, poi ci fai l'abitudine, e se passa abbastanza tempo non riesci più a farne a meno: sei istituzionalizzato”.
Un galeotto in "Le ali della libertà" sa definire senza sentimentalismi quel che accade a una persona costretta a una dimensione angusta, come cambia il suo rapporto con lo spazio esterno e con quello intimo. Una metamorfosi che, nelle dovute proporzioni, sta investendo anche noi.
Non siamo in ergastolo, ma sequestrati sì, da una minaccia invisibile, e veniamo incalzati di ora in ora da una domanda: come e quando tornare alla “normalità”? E si apre la danza delle incertezze proprio qui, attorno all’idea di ciò che chiamavamo “normale” e della prospettiva del “nuovo normale”, anzi del “new normal”, come vuole l’inglesismo che va per la maggiore.
Si è già sentita questa espressione, torna ad ogni svolta di crisi economica o geopolitica, con il suo carico di quesiti. Solo che nel 2020 ha un profilo più invadente perché non risparmia nulla dell’umano, dall’abbraccio e fiato sul viso amato ai viaggi aerei, dal calcolo del PIL al come impugnare il carrello della spesa.
Qualche giorno fa Paolo Rumiz dalla prima di Repubblica si chiedeva, già nel titolo: “Se non sapessi tornare alla normalità?”, e avanzava un dubbio: siamo sicuri che ci guadagneremmo a tornare a una vita nelle stesse modalità furiose di prima, dopo che abbiamo assaporato il “tempo ritrovato”, l’attesa lenta della lievitazione del pane fatto in casa o delle fiabe raccontate ai nipoti?
Che si stia “istituzionalizzando” Rumiz? Strano che sia un uomo e non una donna a riscoprire a la bellezza del focolare e della cura? Ci voleva proprio una pandemia?
Non vorremmo allarmare l’inviato, ma sembra che questa preoccupazione si possa rimandare avanti, molto avanti, visto che la vecchia normalità sta schiacciata da un’attualità che non ha ancora uscite di sicurezza disponibili.
Nel frattempo gli esperti di ogni settore si lanciano a dettare il new normal che ci attende, nella fase 2 e seguenti. Politico si preoccupa di “Come costruire un new normal post covid” nell’attesa del vaccino, ed elenca una serie di misure. La National Public Radio americana analizza una dopo l’altra tutte le componenti di questa nuova normalità: non solo non potremo più salutarci con una stretta di mano, o darci appuntamento al salad bar, a tavolini stretti stretti, ma dovremo nasconderci con la maschera, portare con la cipria l’igienizzante, sostituire l’incontro di persona con le piattaforme digitali, tenere sul comodino il misuratore di ossigeno come fosse un termometro, e accendere l’applicazione per il tracciamento.
Pure la McKinsey sta lavorando sul tema. In realtà per la multinazionale di consulenza strategica è quasi un classico: della primavera 2009 il report “The New Normal” sulla recessione economica, del marzo 2020 il dossier “Beyond the coronavirus: the path to the Next Normal”.
Questa ricerca è di casa anche al MIT, che pubblica un’analisi dal titolo definitivo: “Non torneremo al normale”, argomentando che resterà la distanza sociale molto più a lungo del previsto e che il nostro modo di vivere è capovolto per sempre. Non mancano all’appello anche l’Organizzazione Mondiale della Sanità che parla di “transizione al new normal” che deve essere guidata dai principi di salute pubblica, e le Nazioni Unite, che tracciano una roadmap del cammino che ci attende.
E mentre tutti si scatenano a stabilire regole e disegnare le mappe per il mondo fuori di noi, per ricostruirci un quadro nel quale possiamo tornare a sentirci a nostro agio, abituandoci, resta un margine ampio per chi in quest’area normata si muoverà. Resta un compito: il riscatto degli attori, la mossa del soggetto di questo normale.
Il film citato approda nel finale a una spiaggia mozzafiato messicana, sabbia bianca e oceano blu, dove i due amici usciti dal carcere si ritrovano dopo anni. Sono riusciti ad arrivare là solo perché nel tempo della reclusione, un inferno, erano riusciti a salvare il loro spazio intimo. Nessuno aveva potuto saccheggiare la loro “normalità” interiore. Che in un altro modo si potrebbe chiamare, forse, libertà.
Io dico che queste mura sono strane: prima le odii, poi ci fai l'abitudine, e se passa abbastanza tempo non riesci più a farne a meno: sei istituzionalizzato
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