Non profit
«Aiuto!», le famiglie nel panico
Chi ha ricevuto la raccomandata ha appena 15 giorni per rispondere
«Ci sono persone di 80 anni che non trovano più la diagnosi e non sanno come fare», racconta sdegnata la presidente del Consiglio nazionale sulla disabilitàSono già centinaia le famiglie che hanno ricevuto la lettera raccomandata dell’Inps volta, si legge testualmente, a «controllare lo stato invalidante che ha dato luogo alla prestazione di cui Ella è titolare». «Stiamo parlando di titolari di indennità di accompagnamento in una fascia d’età tra i 40 e i 67 anni», spiegano alla Uildm, che tra sportello telematico e altri canali ha già ricevuto circa 200 segnalazioni e richieste di aiuto. Capita infatti che la lettera finisca nelle mani di genitori molto anziani, che in piena estate non sanno a che santo votarsi per recuperare la documentazione originale o farsi predisporre una nuova relazione sanitaria. La vicenda sta investendo anche le più importanti realtà dell’assistenza socio-sanitaria. Succede ad esempio alla Fondazione Sacra Famiglia, istituzione che in Lombardia assiste ben 2mila utenti. «Abbiamo ricevuto già parecchie richieste da parte delle famiglie raggiunte dalla raccomandata», dice Augusta Angelini, funzionaria della direzione Promozione e sviluppo della sede centrale di Cesano Boscone.
Anche dal Centro S. Maria Nascente della Fondazione Don Gnocchi è arrivato il contraccolpo. «I 15 giorni di tempo sono davvero un ultimatum difficile da rispettare in questo periodo di ferie», sottolinea Elena Morselli, responsabile dei servizi educativi. «La richiesta di verifica è giunta a persone con patologie anche molto gravi. La relazione sanitaria, poi, non deve essere più vecchia di sei mesi: un lavoro extra per il nostro personale sanitario». Al Cottolengo di Torino hanno anticipato i tempi: «Abbiamo risposto ai controlli documentali sui nostri degenti già l’anno scorso».
Luisella Bosisio Fazzi, presidente del Consiglio nazionale sulla disabilità, è sdegnata: ha ricevuto la lettera per il figlio («Nel centro diurno che frequenta, tutti e cinque gli ospiti l’hanno ricevuta»). Racconta di ricevere diverse telefonate al giorno di madri e padri disperati, «ottantenni che non trovano più le diagnosi dei figli, perché si tratta di documenti vecchi di vent’anni, oppure che temono chissà quali ripercussioni economiche».
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