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Aiuto, la Melandri ha sequestrato i beni culturali

La nuova legge di riforma voluta dalla ministra moltiplica le direzioni generali, azzera il Consiglio superiore e con le sovrintendenze regionali, annienta il potere degli uffici locali. Duemila asso

di Carlotta Jesi

«L a politica sequestra i Beni Culturali». Un patrimonio valutato intorno al milione di miliardi, circa l?80 per cento del Pil nazionale. Tanto valgono le 2 mila aree archeologiche, 95 mila chiese, 1.500 conventi e 20 mila centri storici che le associazioni impegnate nella difesa dei Beni culturali, Italia Nostra e Wwf in testa, cercano di proteggere con un comunicato inviato via fax alla redazione di ?Vita? l?8 marzo: «La politica sequestra i Beni culturali». Possibile? Sì. Se il governo approverà definitivamente il nuovo Regolamento di attuazione della legge 368/98 sulla riorganizzazione del ministero dei Beni e delle Attività Culturali. Un documento che, senza attendere il parere preliminare del Consiglio dei Beni culturali, il ministro Giovanna Melandri ha presentato al Consiglio dei Ministri il 25 febbraio suscitando un coro di critiche e contestazioni da parte dell?associazionismo. «Innanzitutto perché, invece di bilanciare la gestione dei Beni culturali con un centro forte e sovrintendenze, musei e biblioteche periferiche dotate di ampia autonomia come prevedeva la legge 368, il regolamento appesantisce e concentra i poteri nella struttura burocratica centrale del ministero», spiega il vice presidente dell?associazione Archivistica Italiana Ferruccio Ferruzzi. I dati, ben 23 articoli del regolamento su 30 dedicati alla struttura centrale del Ministero, parlano chiaro: le direzioni generali del ministero passano da 4 a 10, al vertice dell?amministrazione si istituisce un Segretario Generale plenipotenziario, il Gabinetto e la Segreteria generale vengono costituiti come organi pletorici articolati in numerosi uffici dirigenziali generali e dotati di moltissimi dipendenti. «Tutto il contrario di quel Ministero ?Agile e snello? ipotizzato da Spadolini quando nel 1975 volle creare un dicastero per i Beni Culturali con l?aiuto delle associazioni esperte di tutela», si indigna Desideria Pasolini di Italia Nostra. Preoccupata, come il resto degli addetti ai lavori, per la provenienza dei fondi con cui sarà riorganizzato il Ministero. «Nessun dubbio, purtroppo», spiega Ferruzzi, «poiché la riforma del Ministero non prevede variazioni di spesa, il denaro verrà preso dalle strutture periferiche, col rischio di accrescere le carenze di mezzi e personale di chi concretamente oggi tutela il patrimonio culturale e ambientale». Togliere ai poveri per dare ai ricchi, insomma. Anche se con quel denaro poi si realizzano operazioni di dubbia utilità: la Direzione Generale che per anni ha assicurato il coordinamento centrale dei settori archeologico, dei beni architettonici e di quelli storico-artistici, solo per fare un esempio, viene disarticolata in tre Direzioni separate. «Che non tengono conto della sinergia tra i vari settori», precisa Ferruzzi, «le conseguenze di tutto ciò? Basta pensare a una chiesa con fondamenta archeologiche e beni architettonici e artistici all?interno: sullo stesso bene ora andranno a lavorare tre direzioni diverse». E i dubbi del non profit culturalmente impegnato – 2000 associazioni che operano nel campo dei beni culturali con 70 mila volontari e 350 mila associati più 14 fondazioni che gestiscono musei e 37 che si occupano di Beni culturali insieme ad altre attività – non finiscono qui. Che dire, per esempio, del nuovo Segretario Generale? «Un plenipotenziario che, in base alla legge Bassanini, ogni nuovo ministro può sostituire con persona di propria fiducia», commenta Gaetano Benedetto del Wwf. Preoccupato per l?equilibrio dell?intera macchina dei Beni Culturali: «sempre più gestita dal centro, basta pensare alle segreterie nominate dal ministro che scadono con il suo mandato. Una riforma in chiave politica che potrebbe costare cara ai Beni Culturali». Preoccupata per l?accentuarsi dell?ingerenza politica anche Desideria Pasolini: «Con il nuovo regolamento il Consiglio nazionale dei Beni Culturali, principale organo consultivo del Ministero, si trasforma in realtà in un ?consiglio del principe? molto politico e molto poco tecnico». Dagli attuali 81 membri, si passa a 18, di cui 3 eletti dai sindacati, 8 designati direttamente dal ministro e dalla Conferenza Stato-Regioni e solo i restanti 7 provenienti dalla Presidenza dei Comitati tecnico-scientifici al cui interno il Ministro nomina due professori universitari. «Su 18 membri», insomma spiega la Pasolini,«la maggioranza può facilmente essere scelta per nomina politica col rischio di escludere persone con vere competenze tecniche». Dubbi che avvolgono anche la nomina dei Sovrintendenti regionali, figure introdotte dal nuovo regolamento e che coordinano tutte le sovrintendenze, archivi di stato e biblioteche pubbliche statali del proprio territorio e propongono gli interventi da inserire nei piani di spesa. «Una figura chiave di cui bisogna chiarire nomina e ruolo», dice la presidente del Fondo per l?ambiente italiano Giulia Maria Crespi. Secondo il regolamento, infatti, per essere eletti sovrintendenti regionali e percepire stipendi da dirigenti statali bastano «comprovati requisiti di professionalità ed esperienza nella materia dei beni culturali». Criteri vaghi, contro cui le associazioni hanno chiesto inutilmente che il Sovrintendente regionale provenisse da ruoli tecnici. «La sola garanzia è data dal fatto che non ci sia possibilità alcuna di interpretare la norma con cui si nomina il sovrintendente regionale: deve rappresentare lo Stato nei rapporti con le Regioni e gli Enti locali, per cui la sua scelta deve avvenire all?insegna del più assoluto rigore scientifico e deve avere sicura libertà d?azione», dichiara la presidente del Fai. Al Terzo settore direttamente coinvolto nella tutela dei Beni Culturali, insomma, non piace come il Ministro ha deciso di trasformare il suo dicastero. «Escludendo dal regolamento temi importanti come la didattica, la formazione e l?aggiornamento del personale», precisa Pasolini. E pensare che, in un editoriale intitolato ?Cultura, motore dell?autonomia? sul Sole24Ore del 5 marzo, la Melandri aveva scritto: «In tutti i Paesi si sta creando occupazione per un personale con profilo culturale alto». In tutti tranne che in Italia.


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