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Aiuti pubblici allo sviluppo: 2015, un anno record per l’UE

Oltre 68 miliardi di euro di aiuto pubblico allo sviluppo (APS) erogati nel 2015 e una media dello 0,47% del Pil riservato all’APS. Mai l’UE si è dimostrata così generosa nella lotta contro la povertà nel Sud del mondo, ricordano i ministri europei dello sviluppo riuniti a Bruxelles. Bene l’Italia in crescita continua dal 2012. Attenzione però: il target dello 0,7% è ancora lontano e il peso dei costi dei rifugiati nell’APS è eccessivo.

di Joshua Massarenti

Oggi il Consiglio dei Ministri dello sviluppo dell’Unione Europea ha addottato nelle sue conclusioni il rapporto annuale presentato dalla Commissione UE in aprile riguardo i dati preliminari relativi agli aiuti pubblici allo sviluppo erogati dai 28 Stati Membri e dalle istituzioni UE nel 2015.

Le conclusioni del Consiglio ricordano che l’UE si conferma ancora una volta al primo posto, a livello mondiale, tra i donatori di aiuti, fornendo oltre il 50% del totale dell'aiuto pubblico allo sviluppo (APS) comunicato lo scorso anno dai membri del Comitato per l'aiuto allo sviluppo (CAS) dell'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economici (OCSE). I dati preliminari parlano di 68.266 miliardi di euro erogati nel 2015, il 15% in più rispetto al 2014, anno in cui gli APS ammontavano a 59.313 miliardi di euro.

L’APS collettivo dell’Unione, ovvero Stati membri e istituzioni europee, ha rappresentato lo 0,47% del reddito nazionale lordo (RNL) dell'UE, in aumento rispetto allo 0,43% del 2014 e due volte superiore rispetto alla media dei paesi non appartenenti all’area dell’OCSE. “Questa crescita fa ben sperare perché avviene in un periodo di crisi economica strutturale e di forti pressioni politiche per diminuire gli aiuti pubblici allo sviluppo”, sottolinea Francesco Petrelli di Oxfam e portavoce di Concord Italia. “Ma questo dato sancisce anche il fallimento degli impegni sottoscritti nel 2000 dai governi europei di raggiungere la soglia dello 0,7% del reddito nazionale lordo entro il 2015”, Ora si tratta di vedere se l’UE sarà in grado di cogliere la “seconda chance” che le è stata offerta con i nuovi Obiettivi di sviluppo sostenibile per agguantare lo 0,7% entro il 2030. Non a caso il Consiglio dei ministri UE dello sviluppo ricordano gli impegni presi dagli Stati membri nel 2015 per raggiungere questa quota da qui ai prossimi 15 anni.

Questa crescita fa ben sperare perché avviene in un periodo di crisi economica strutturale e di forti pressioni politiche per diminuire gli aiuti pubblici allo sviluppo.

Nel 2015, il rapporto APS/RNL ha superato lo 0,7% in soli cinque Stati membri: Svezia (1,4%), Lussemburgo (0,93%), Danimarca (0,85%), Paesi Bassi (0,76%) e Regno Unito (0,71%). Il rapporto APS/RNL è aumentato in 15 Stati membri dell'UE, tra cui l’Italia (da 0,14% nel 2012 è passata a 0,21% nel 2015), è diminuito in 9 di essi ed è rimasto invariato in 4. In totale, 21 Stati membri hanno aumentato nominalmente l'APS di 9,8 miliardi di euro, mentre negli altri 6 si è registrata una diminuzione complessiva di 0,3 miliardi di euro.

I dati dell'OCSE ripresi nel rapporto della Commissione europea indicano inoltre un aumento significativo della segnalazione dei costi dei rifugiati nell’APS dei paesi dell'UE. Sebbbene l'aumento complessivo dell'APS dell'UE (8.9 miliardi di EUR) è stato superiore all'impennata dei costi sostenuti per i rifugiati (5,3 miliardi di EUR), le ONG denunciano la poca trasparenza sul modo con cui i costi dei rifugiati vengono riportati. “Finché gli aiuti pubblici allo sviluppo sono utilizzati per salvare vite umane e sostenere le prime operazioni di accoglienza, i costi dei rifugiati possono essere contabilizzati nell’APS”, sostiene Petrelli. “Ma se si inizia ad usare i fondi per l’integrazione allora non va bene. Il problema è che i dati non ci consentono di capire qual’è la parte di APS usata per operazioni umanitarie e quale destinata ad altre azioni che nulla hanno a che fare con l’emergenza”.

Infine, c’è un ultimo nodo da sciogliere: le fonti di finanziamento per combattere la povertà e raccogliere le sfide degli Obiettivi di sviluppo sostenibile sottoscritti dagli Stati durante l’ultima Assemblea generale delle Nazioni Unite nel settembre 2015. “Sappiamo che l’APS non basterà per raggiungere i nuovi obiettivi e bisogna trovare nuovi mezzi”, ricorda Francesco Petrelli. “Si parla molto di settore privato, di commercio e di investimenti, ma forse è giunto il tempo di affrontare nodi strutturali come l’evasione fiscale, la giustizia fiscale e il debito che purtroppo torna di nuovo al centro dell’attualità in alcuni paesi del Sud del mondo”.

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