Mondo
Aiuti internazionali, i Paesi donatori alla prova della crisi sanitaria
La tradizionale conferenza stampa dell’OECD DAC di presentazione dei dati preliminari sugli aiuti internazionale assume toni eccezionali alla presenza di tutto lo stato maggiore, incluso il Segretario Generale Gurria
L’appuntamento annuale con la presentazione da parte dell’OECD dei dati preliminari sui volumi di aiuto pubblico allo sviluppo per il 2019 ha risentito del contesto di crisi che stiamo vivendo. Nella conferenza stampa del 16 aprile è emersa con forza la preoccupazione sulle conseguenze sanitarie e socio-economiche della diffusione del Covid-19 nei Paesi più poveri.
Nel suo intervento introduttivo, il Segretario generale dell’OECD Angel Gurria, ha sottolineato come le profonde diseguaglianze esacerberanno le conseguenze negative della pandemia e che sarà importante garantire la mobilitazione di nuove risorse per affrontare gli shock a breve termine della crisi, evitando così la diversione di risorse dagli obiettivi di sviluppo di medio e lungo termine. L’intera finanza per lo sviluppo sarà messa alla prova: a causa della disoccupazione, ad esempio, diminuiranno le rimesse dei migranti e ci sarà una ridotta capacità di mobilitazione di risorse a livello domestico. Da qui la recentissima decisione dei Paesi del G20 di un alleggerimento della pressione debitoria sui Paesi più poveri attraverso la sospensione a tempo limitato del pagamento sul servizio del debito.
Tuttavia, la natura globale della crisi e le enormi conseguenze socio-economiche che si troveranno ad affrontare gli stessi Paesi donatori rischiano di mettere in secondo piano il bisogno di ingenti aiuti da parte di quelli più poveri. In primo luogo, la risposta alle emergenze sanitarie, così descritta nella conferenza dell’OECD: in Africa ci sono in media 2.8 dottori e 11 infermieri ogni 10.000 abitanti, mentre la media per i Paesi europei è rispettivamente di 33.8 e 80.6; per non parlare delle strutture sanitarie e delle attrezzature. Prima della crisi covid, secondo i dati forniti dall’OECD-DAC tra il 2016 e il 2018 la finanza concessionale diretta al settore sanitario è stata in media di 26 miliardi all’anno; l’APS destinato alla cura delle malattie infettive (incluso malaria e tubercolosi) è stato di 6 miliardi nel 2018, con un calo in termini reali del 16% rispetto al 2017 a causa della riduzione da parte di alcuni donatori dei fondi per l’ebola. A questo proposito si veda la stima presentata sempre nella giornata di ieri secondo la quale 300 mila persone potrebbero perdere la vita nel contenente africano.
Oltre agli impatti sanitari ci sono quelli economici e sull’occupazione, che avranno conseguenze sociali devastanti. Secondo le stime della McKinsey & Company, la perdita economica per i Paesi africani a livello aggregato nel 2020 potrebbe oscillare tra i 90 e i 200 miliardi di dollari. A livello occupazionale, in Africa sono a rischio il 26.4% degli impieghi, senza considerare gli elevatissimi tassi di occupazione informale. Sono, infatti, 250 milioni gli africani che lavorano in occupazioni informali in contesti urbani. Il nesso tra informalità, alta densità di popolazione, deboli sistemi di protezione sociali e sanitari rendono le potenziali conseguenze sanitarie e socio-economiche del Covid-19 devastanti per il continente africano e per il resto dei Paesi in via di sviluppo.
In questo contesto, al netto della spesa per rifugiati, l’APS totale è cresciuto dell’1,7% in termini reali. I dati annunciati presentato quindi una tenuta dei volumi complessivi nonostante il calo della spesa in accoglienza di rifugiati e richiedenti asilo, che nel 2019 è ammontata a 10,2 miliardi di dollari, ovvero una diminuzione del 2% in termini reali rispetto al 2018 e una tendenza in calo costante dopo picco raggiunto nel 2016 con una spesa complessiva di quasi 16 miliardi di dollari. Per sei Paesi DAC, la quota di spesa in accoglienza ha rappresento oltre il 10% del totale APS, superando il 20% nel caso dell’Italia (22.4%, in crescita rispetto al 21.7% del 2018) e della Grecia (21.7%). Ricordiamo che si tratta di risorse che non vanno a beneficiare direttamente i Paesi poveri, contribuendo così a “gonfiare” il dato reale dell’APS; da questo punto di vista il caso italiano è emblematico: nel 2017 il rapporto APS/RNL ha raggiunto lo 0.30% per poi crollare, insieme ad una riduzione consistente della spesa in accoglienza, allo 0.24 nel 2018.
Volendo approfondire, si nota inoltre che i Paesi DAC (Development Assistance Committee) hanno stanziato 152,8 miliardi di dollari in APS, ovvero un lieve aumento dell’1,4% in termini reali rispetto al 2018, che si traduce però in un calo in termini percentuali: lo 0,30% del Reddito Nazionale lordo (RNL), rispetto allo 0,31% del 2018. Gli Stati Uniti guidano la classifica dei donatori con 34,6 miliardi di dollari, seguiti dalla Germania (23,8 miliardi), il Regno Unito (19,4 miliardi), il Giappone (15,5 miliardi) e la Francia (12,2 miliardi). Pochi sono i Paesi che superano l’obiettivo stabilito dalla Comunità internazionale dello 0,7%: Danimarca (0,71%), Lussemburgo (1,05%), Norvegia (1,02%), Svezia (0,99%) e Regno Unito (0,7%). Tra Paesi non-DAC che hanno una tradizione di cooperazione allo sviluppo solamente la Turchia supera il target dello 0,7% registrando l’1,15%, ovvero 8.562 milioni di dollari in termini assoluti. Aumenta dell’1,3% anche l’aiuto bilaterale diretto ai Paesi dell’Africa Sub-Sahariana (37 miliardi di dollari) e del 2.6% quello destinato ai Paesi meno avanzati (33 miliardi). Tanto è bastato e, viste le circostanze, la Chair del DAC, Susanna Moorehead, ha affermato che “l’APS è aumentato e questa è una buona notizia”.
C’è forse un caso Italia, unico Paese tra i Paesi DAC i cui dati sono stime, forse perché non tutte le amministrazioni italiane (i singoli Ministeri) hanno fornito le informazioni sulla spesa in APS nel 2019. Restando sui dati italiani, il nostro Paese registra quindi un lieve calo stimato nell’1%, ovvero da 5.19 del 2018 ai 4.9 miliardi di dollari del 2019, che peggiora al 2% al netto della spesa in accoglienza. Il rapporto APS/RNL si attesterebb allo 0.24%. Dati che confermano lo stallo in cui è finito il sistema di cooperazione allo sviluppo Italiano.
La conferenza stampa si è chiusa con un crescendo: un appello diretto ai media e alle organizzazioni della società civile a sostenere lo sforzo dell’OECD DAC nel sollecitare i donatori a non abbandonare i Paesi Partner al loro destino e quindi a garantire impegni addizionali per fronteggiare le conseguenze di covid-19.
*Roberto Sensi – Action Aid
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