Formazione

Aiutare? Non sempre aiuta

Wolfgang Sachs:"Per definizione la solidarietà non può essere globale,ma deve essere locale".Serge Latouche:"In Bangladesh gli aiuti alimentari hanno danneggiato gli agricoltori".

di Andrea Ansaloni

Gli aiuti allo sviluppo? Fanno più male che bene. Le donazioni dei Paesi ricchi a quelli poveri? Una versione moderna del più becero colonialismo. A pensarla così sono sempre più esponenti autorevoli del movimento ecologista mondiale. Due di loro, Wolfgang Sachs (una delle voci più note del movimento sulla scena internazionale) e Serge Latouche (sociologo e professore di scienze economiche all?Università di Parigi), hanno partecipato nei giorni scorsi a un convegno dal titolo ?Al di là dello sviluppo? organizzato dalla rivista ?AlfaZeta? di Parma. ?Vita? era lì e ha navigato con loro all?interno e oltre i temi proposti dal convegno, a partire dall?allarmante quadro dello sviluppo umano: il reddito delle 3 persone più ricche del mondo è superiore al Pil dei 48 paesi più poveri. Il 20% della popolazione consuma l?80% delle risorse del pianeta, e non solo, in un futuro molto vicino il 20% della popolazione abile al lavoro sarà sufficiente per far funzionare l?economia mondiale. Per il restante 80% inizierà la lotta per la sopravvivenza. Possibile allora pensare che gli aiuti umanitari, i sussidi internazionali in realtà non solo siano inutili, ma anche dannosi per i Paesi in via di sviluppo? E la globalizzazione di cui tanto si parla, come non dovrebbe riguardare anche il tema degli aiuti? Crescita illimitata, che illusione «C?è un?immagine famosa dietro cui si nasconde l?ambiguità del fenomeno ?globalizzazione?», avverte Wolfgang Sachs. «Quella del ?pianeta blu?. Se uno guarda la Terra dal satellite, vede solo un confine esterno che dà un senso di illimitatezza: uno spazio omogeneo privo di culture, frontiere, nazioni. Un invito alla globalizzazione. Però questa stessa immagine ci mostra anche la finitezza della terra: se prestiamo attenzione a quell?unico confine esterno, capiamo che non ci si può espandere all?infinito. In tanti Paesi c?è un movimento di ong, di iniziative non governative, di associazioni che criticano l?illusione della crescita illimitata, sia dal punto di vista dell?ambiente sia della società solidale». Difficile capire cosa opporre al rullo compressore della globalizzazione. Certo non qualcosa di altrettanto astratto e universale: «Penso», sostiene Serge Latouche, «che la solidarietà non sia globale, per definizione. La solidarietà non è un valore astratto, non si può essere solidali con chi non si conosce: la solidarietà è sempre locale». Un nome molto noto dell?ecologia mondiale, Norman Myers, parla, in un corrosivo pamphlet di prossima uscita in Italia, di ?Sussidi perversi?, dei danni cioè che gli aiuti allo sviluppo, i sussidi governativi all?economia, hanno arrecato non solo all?ambiente naturale, ma alla qualità della vita nel suo insieme. «Vuole dire», afferma Sachs, «che noi con i fondi pubblici, con le nostre tasse paghiamo sussidi alla distruzione del pianeta, perché viene favorito il consumo di natura, in particolare il consumo di energia. Sborsiamo denaro per la circolazione delle macchine, per l?agricoltura intensiva che distrugge il suolo. Una volta si pensava che lo sviluppo ci avrebbe portato a un progresso, a una società più avanzata. Così è stato appoggiato dagli Stati. Alla fine invece si finanziano con sussidi pubblici iniziative che si rivolgono contro l?interesse comune». Le Agenzie? Sono delle “guardiane” «Tutto questo», si inserisce Latouche, «è molto evidente negli aiuti ai Paesi in via di sviluppo. Ricordo un altro libro molto interessante, ?L?aiuto che uccide?: racconta l?esperienza di un tecnico tedesco coinvolto in un progetto di cooperazione internazionale in Bangladesh, in cui descrive come l?aiuto alimentare facesse concorrenza alla produzione locale danneggiando e scoraggiando i contadini. In molti casi il dare diventa una forma di dominazione dell?altro». Si capisce come allora, entrate in crisi le grandi agenzie umanitarie che hanno legato le loro sorti al mito del progresso e dello sviluppo illimitato, si faccia largo l?idea della rete, intesa sia a livello locale come rete di relazioni e pratiche sociali, che come rete più estesa – verrebbe da dire globale, ma forse è più indicato il neologismo ?glocale? – di iniziative diverse connesse tra di loro. Queste reti, osserva il sociologo francese, non si situano allo stesso livello delle grandi agenzie umanitarie che si comportano da guardiani di un certo ordine mondiale. Le reti sociali, prendendosi in carico i problemi che le grandi agenzie non affrontano, si collocano al margine di esse. Ma non solo, sottolinea Sachs: «Oggi si sa cosa succede nella fabbrica data in appalto da Benetton in Turchia, grazie a una rete di iniziative in Turchia e in Italia». In tema di reti sociali viene in mente che nel nostro Paese non è mai decollato un grande movimento dei consumatori, come ha dimostrato anche la recente vicenda delle tariffe telefoniche gonfiate. «Se è per questo», rilancia Sachs, «non c?è nemmeno un movimento ambientalista. In entrambi i casi gioca il fatto che l?esperienza della ricchezza è ancora oggi per l?Italia relativamente nuova come fenomeno di massa. E non è nemmeno del tutto compiuta se uno guarda il Mezzogiorno». Verdi al governo, quanti dubbi Di diverso avviso Latouche, che ci invidia la ?Guida del consumo responsabile?: «Credo che in Italia il movimento dei consumatori sia più importante che in Francia». Parlando di movimenti ambientalisti sorge spontanea la domanda se la presenza di partiti Verdi al governo in mezza Europa si veda. «Si vede poco», prosegue. «Personalmente non sono mai stato favorevole alla trasformazione dei movimenti ecologisti in partiti politici. Un movimento ecologista dovrebbe limitarsi a fare pressione sul mondo politico senza essere un partito». Anche da parte di Sachs, la risposta è un ?ni?: «Difficile dirlo, dal momento che non si sa bene cosa sarebbe successo senza di loro. Comunque il loro influsso è minimo direi, per il semplice motivo che un ministro conta quanto il suo peso politico. Se i Verdi in Italia contano solo il 2,8 per cento, il ministro Ronchi conterà altrettanto». Rilanciamo con un?ultima domanda sul consumo critico: strada praticabile o utopia marginale? «Non penso che il problema sia tanto quello di avere una limitazione dei consumi dei cittadini», risponde Latouche, «ma far diventare i consumatori dei consum-attori. Con la globalizzazione perdiamo sempre più potere, e l?unica arma che abbiamo nei confronti delle multinazionali è quella di far valere il nostro potere di consumatori». Il problema, conclude Sachs, «non è nemmeno quello di fare diventare il consumo critico un fenomeno di massa. I cambiamenti sono graduali e non sempre rispecchiano i rapporti di forze».


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