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Aids, nemico silenzioso di donne e teenager. Che non lo conoscono

Dopo i nuovi dati sull'epidemia dell'Iss

di Antonietta Nembri

Aids, un problema sottostimato: è questo il primo giudizio espresso da Mirella Savegnago, direttore generale Arché, come da Alessandra Cerioli, presidente della Lila, guardando all’ultimo rapporto del Coa – Centro operativo anti-Aids dell’Istituto superiore di sanità. Dai dati emerge che in Italia un sieropositivo su quattro non sa di esserlo e oltre la metà delle persone con una nuova diagnosi di Aids ignora la propria positività. «Il vero problema è che i dati si riferiscono a chi scopre oggi di essersi ammalato anni fa, ma nulla su chi ha acquisito l’infezione nell’ultimo anno», continua Cerioli. «Approvato a marzo del 2008, il sistema di sorveglianza sulle nuove diagnosi da noi non è ancora partito, i primi dati li vedremo forse a dicembre, se va bene: alcune Regioni si stanno ancora attrezzando». Non si sa neppure quanti sono i test eseguiti ogni anno: «Altri Paesi europei hanno report che noi non abbiamo».
I dati sono stati diffusi alla presentazione della campagna di comunicazione sociale Hivideo, durante la quale il viceministro alla Salute, Ferruccio Fazio, ha rivelato che per promuovere l’informazione sull’Hiv sono disponibili «solo 500mila euro». Risorse limitate, dunque, «però si spendono più soldi nella creazione di nuove campagne e pochi nella veicolazione dei messaggi», commenta Savegnago. «Occorrerebbe spostare il focus sulla diffusione dei messaggi. Una strategia potrebbe essere ideare una campagna e farla durare nel tempo per valutare la risposta». L’azione di Arché è da sempre rivolta ai minori, e «il dato positivo è che nascono sempre meno bambini sieropositivi grazie a cure sempre più efficaci che riducono la trasmissione madre-figlio». I preadolescenti sono poi l’obiettivo delle iniziative di prevenzione della onlus: «Ogni anno entriamo in contatto con 1.500 ragazzi per città, poi organizziamo incontri con i genitori e nelle scuole (Arché è presente a Milano, Roma, Firenze e a San Benedetto del Tronto)».
Dal rapporto emerge che negli anni sono aumentate le donne contagiate. «Si tratta per lo più di persone che non se ne sono rese conto prima, troppe non fanno il test perché ritengono di non essere nelle “categorie a rischio”», dice Cerioli, che osserva come il dato che dà in salita l’età media della diagnosi di infezione rischi di mettere in ombra le nuove emergenze: «In Europa sono i giovani i più a rischio, al pari degli omosessuali. Ce lo dicono i medici. Ma in Italia non sono mai state fatte campagne mirate verso gli omosessuali», conclude. Intanto il gruppo di lavoro Ue che sta definendo le politiche di prevenzione guarda alla popolazione in generale, con focus rivolti ai gruppi vulnerabili.


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