Salute

Aids meno letale ma l’adesione alle cure é difficile

Undicimila malati in fuga dalle terapie

di Benedetta Verrini

Un malato di Aids su tre non riesce a seguire le cure. Col passare degli anni, l?efficacia delle terapie è cresciuta in modo direttamente proporzionale alla loro pesantezza in termini di quantità e di effetti collaterali. Così, denunciano medici ed associazioni, molti si curano con discontinuità e non manca chi abbandona del tutto. Anche per questo la diminuzione del virus ha registrato una battuta d?arresto: nel biennio 96/97 la diffusione della malattia è diminuita del 38%, negli anni 98/99 soltanto dell?8%. Certo fra le ragioni principali c?è ancora il dilagante atteggiamento di superficialità di chi non è stato contagiato, ma rimane, in tutta la sua drammaticità, la vertiginosa tendenza all?abbandono delle cure da parte di chi è malato. «Su 35mila persone colpite da Aids in Italia, almeno 11.500 hanno difficoltà a seguire le cure», spiega il professor Massimo Galli, infettivologo dell?ospedale Sacco di Milano. La condizione dell?ammalato rappresenta insomma uno dei più difficili problemi scientifici e sociali di questi ultimi anni: le nuove terapie antiretrovirali hanno aperto prospettive di sopravvivenza che fino a pochi anni fa erano inimmaginabili, ma con molti e non trascurabili lati oscuri. I malati si trovano relegati in un limbo indefinito in cui l?assunzione dei farmaci è indispensabile per non morire, ma il programma di cura è talmente complesso e di durata indefinita da diventare quasi insostenibile. È sufficiente pensare che un comune regime terapeutico a tre farmaci richiede al paziente di prendere in un solo anno 4.745 pillole, e di osservare orari ben precisi nell?assunzione delle dosi, con rigidi vincoli anche riguardo alla dieta alimentare. Se gli orari non vengono rispettati e si saltano anche poche dosi, il rischio che il virus diventi resistente al farmaco è elevatissimo, e può addirittura diventare un fattore di accelerazione nella progressione dell?Aids. «Lo scenario è indubbiamente allarmante», commenta il professor Mauro Moroni, direttore dell?Istituto Malattie infettive e tropicali all?ospedale Sacco, «e conferma la necessità di studiare interventi concreti per facilitare l?adesione alla terapia». Adesione alla terapia che è fortemente contrastata da numerosi fattori, che vanno dalla semplice dimenticanza, alla vergogna di essere visti mentre si prendono le pillole, fino alla preoccupazione per gli effetti collaterali, che in certi casi sono di grave entità. «È un doloroso paradosso, ma le cure per questa malattia sembrano segnare con determinate stimmate i malati», dice il professor Galli. «Nel 25% dei casi, chi segue le terapie antiretrovirali dopo un anno sviluppa anomalie fisiche evidenti, come il viso scavato, le gambe magrissime e il grasso che si accumula esclusivamente nella pancia o nel seno. E gli effetti psicologici di questi cambiamenti sono molto seri, soprattutto in persone che sono già emotivamente provate». Gli effetti dell?abbandono o della scarsa adesione alle terapie sono particolarmente pesanti sia per le singole persone coinvolte, che rischiano di non poter più sconfiggere la carica virale dell?Aids, sia per la salute pubblica, che vede crescere i costi di assistenza e fare i conti con la possibilità che si sviluppino ceppi virali resistenti ai farmaci. Una buona relazione medico-paziente è dunque indispensabile per affrontare un percorso di cura più sereno e consapevole, «ma il medico non può farsi carico in modo esauriente di tutti i problemi del suo assistito», precisa il professor Moroni. «Per questo abbiamo attivato il progetto Cemat, i Centri per migliorare l?adesione alle terapie, che si adoperano per cambiare l?atteggiamento di molti ammalati nei confronti delle terapie». I centri svolgono una profonda campagna di informazione e assistenza (vedi box) e hanno attivato da alcuni mesi un centralino operativo per rispondere a tutti i dubbi e le preoccupazioni.


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