Salute
Aids la lezione di Kampala
Il primo dicembre è la Giornata mondiale della lotta contro lAids. Il governo italiano, modello nel combattere questa battaglia sino allo scorso anno, sta marcando il passo.
29 novembre. È questa la scadenza per il governo italiano per mantenere la parola data sulla lotta contro l?Aids, ovvero per versare la quota di 100 milioni di euro al Global Fund promessi all?Onu. Al momento in cui andiamo in stampa, però, tutto tace sul versante governativo e anche dall?ultimo vertice di Arusha, in Tanzania, non sono uscite «le buone notizie che aveva anticipato a Vita il sottosegretario agli Esteri con delega per l?Africa, Alfredo Mantica», si sfoga Iacopo Viciani , di ActionAid International, che ha redatto con Paola Giuliani la ricerca Ogni promessa è debito, che dà i voti al governo sulla lotta all?Aids. Una delusione cocente, anche perché era stata proprio l?Italia a presentare quest?iniziativa, promossa dall?Onu, durante il G8 di Genova del 2001. «Dalla nostra ricerca, il voto che possiamo dare sugli impegni del governo Berlusconi sino al 2003 sulla lotta all?Aids è un 7 pieno», spiega Iacopo Viciani.
«Poi, però, le cose sono cambiate». In peggio. Il 2004, infatti, ha segnato una brusca battuta d?arresto nei finanziamenti italiani contro la diffusione del virus. Nonostante la conferma fatta da Berlusconi che al G8 di Evian, nel 2003, dell?impegno finanziario del governo per altri 200 milioni di euro, da ripartirsi tra 2004 e 2005. Invece, al 23 novembre, il versamento della prima tranche, pari a 100 milioni, non è ancora stato effettuato e le speranze che ciò avvenga sono al lumicino. La procedura italiana, infatti, non consente che possano trasferirsi all?estero fondi stanziati dopo il 29 novembre e, perché ciò avvenga, il ministro dell?Economia, Domenico Siniscalco dovrebbe comunicare lo ?sblocco? dei fondi (previsti nella Finanziaria 2004, ma poi congelati) al neoministro degli Esteri, Gianfranco Fini. Il quale, a sua volta, dovrebbe comunicarlo alla Direzione generale per la Cooperazione allo sviluppo affinché versi i 100 milioni al Fondo Globale. Il tutto in meno di una settimana. Quali le possibilità che ciò possa avvenire? In base alle informazioni in nostro possesso (ma saremmo felici di essere smentiti), pochissime.
Quali le cause di questa palese mancanza da parte del governo alla parola data? Il trasferimento previsto è venuto a mancare perché la legge di assestamento di bilancio, destinata a risanare le casse dello Stato, ha ?congelato? il capitolo 2180, vale a dire un totale di 200 milioni di euro allocati su ?iniziative ad hoc?, che includevano anche i 100 milioni da versare al Fondo Globale. Insomma, se confermata, una vergogna che rischia di incidere negativamente anche su Paesi come l?Uganda che – come si evince dal reportage di Joshua Massarenti – hanno fatto della lotta all?Aids la loro bandiera.
Paolo Manzo
Kampala (Uganda) – Novembre 2004
Vicky ha 28 anni e un sorriso spianato sul viso che vincola anni di sofferenza a una strenua volontà di sopravvivenza. «Per me stessa, per i miei figli, ma anche per la comunità di Naguru». Una baraccopoli di 2mila anime, a ridosso dei grattacieli del centro di Kampala, in cui il Meeting Point International (Mpi), una ong al 100% ugandese, opera a favore di persone colpite dall?Aids e dei loro orfani. A Naguru 50 persone sono riuscite a far tesoro delle attività dell?Mpi (assistenza medica e domiciliare, distribuzione di cibo, microcredito e sostegno alla scolarizzazione) per «trasformare il proprio stato di abbandono sociale nella capacità di riappropriarsi del proprio destino».
Questa per lo meno è la convinzione di Vicky, infettata dal marito «dalla nascita di mio figlio Bryan, positivo anche lui». L?inferno le ha spalancato le porte nel lontano 97, quando faceva la contabile all?ospedale di Mulago. «Sono stata male per almeno un anno, fino al punto di dovermi ricoverare». All?ospedale di Nsambya, scopre la sua positività e quella di suo figlio. «Sono stati mesi durissimi», sussurra, «anche perché non riuscivo più a seguire i miei tre figli, né a pagare i loro studi». Intravede la speranza solo nel 2001, «quando mi sono iscritta al Meeting Point. Era l?unico modo per curarmi con i costosissimi antiretrovirali». Grazie all?Mpi, finanziato da una rete di istituzioni governative (la presidenza e il ministero della Sanità) e non governative (l?italiana Avsi), «non solo sono riuscita a salvare la pelle e rimandare a scuola Bryan, ma sono anche stata coinvolta dall?Mpi per sensibilizzare le persone sull?Aids, seguire la terapia dei pazienti di Naguru e distribuire loro del cibo».
La storia di Vicky incarna il ?miracolo ugandese? in tema di lotta all?Aids. Un miracolo che – tradotto in cifre – mette in luce un trend statistico impressionante rispetto al resto del continente africano. Apparso per la prima volta sulle rive del lago Vittoria alla fine degli anni 70, l?Aids è censito ufficialmente nell?82. Alla fine degli anni 80 un ugandese su tre è colpito dal virus, poi il tasso di infezione cala, alla fine del decennio successivo, sotto il 10% e agguanta un insperato 4,1% nel dicembre 2003. Come spiegare una simile tendenza quando in Paesi come Botswana, Lesotho o Sudafrica il tasso dei malati arriva, secondo l?Unaids, rispettivamente a 37,3, 28,9 e 21,5%? Dalla sede della Banca Mondiale agli uffici newyorkesi dell?Onu, passando per le strade della capitale ugandese, è radicata la convinzione secondo la quale l?Ugandese miracle ha il suo messia: Yoweri Katuga Museveni, presidente in pectore della Repubblica ma soprattutto profeta della lotta all?Aids. Bisogna risalire all?86 quando l?Hiv compie in Occidente le sue prime, temute apparizioni. Museveni, appena giunto al potere con un colpo di Stato e già messo di fronte agli effetti di un virus fin lì combattuto a colpi di stregonerie, va nei quattro angoli del Paese con un motto: «Evitare l?Aids è un dovere patriottico». Alle parole seguono fatti che si riassumono in tre lettere: Abc. Un acronimo rivoluzionario per cui l?Astinenza (Abstain), la Fedeltà (Be faithful) e il Preservativo (Use the condom) fungono da pilastro. Tra le prime iniziative promosse, raccolte di sangue non infetto e una serie di campagne informative sui rischi dell?Hiv.
«È stato decisivo il fatto che sia stato Museveni a lanciare per primo l?allarme», sostiene Rose Busingye, presidente carismatica dell?Mpi. Alla base del successo del presidente sta anche il coinvolgimento dei cittadini, in particolar modo dei cosiddetti ?intermediari?, tradizionali e moderni. «I capi tradizionali, i sacerdoti e i rappresentanti d?associazioni locali hanno svolto un ruolo fondamentale nel veicolare sul terreno i messaggi di prevenzione all?Aids», aggiunge Rose, «questo Museveni l?ha capito bene». Ma non basta.
Secondo il presidente dell?ong National guidance and empowerment network (Ngen+), Rubamira Ruranga, noto per essere stato uno dei primi ugandesi a rivelare pubblicamente la sua infezione, «la seconda svolta è stata operata nel 92 con la nascita dell?Ugandese Aids Commission. L?Uac ha incarnato la consapevolezza che l?Aids non poteva essere affrontato come un problema solo sanitario, ma comportava implicazioni culturali, sociali, economiche e politiche». Così, attraverso l?Uac, le autorità decidono di armonizzare le attività di tutti gli attori coinvolti nella lotta all?Aids, dalle istituzioni alle ong, passando per i partner privati, le comunità di base, i media e, su tutti, le persone colpite dal virus. I risultati si fanno sentire. Nel 98, il tasso di ragazze incinte tra i 15 e i 24 anni infette dall?Hiv passa dal 21% del 1991 al 9,7. La Banca Mondiale apprezza. E dopo aver concesso 50 milioni di dollari nel 94, ne sborsa altri 47 nel 2001 destinati alla prevenzione e alle cure fino al 2005.
Ma non è tutto oro ciò che luccica. Se oggi l?Uganda è il modello per un continente agonizzante (delle 35,7 milioni di persone colpite dal virus nel mondo, 25 milioni sono africane), non sono rare le voci che tentano di ridimensionare il miracolo ugandese. A partire dai dati. Secondo uno studio del Ngen+, il vero tasso di malati in Uganda si aggirerebbe sul 17%. «Gli esperti ritengono questa cifra infondata, ma molti di loro ammettono che il problema dell?Hiv è più grave di quanto facciano trasparire i dati ufficiali»: così la ong inglese Avert nel suo rapporto di novembre. Annabel Kanabus, presidente di Avert, cita «il tasso di prevalenza da cui si estraggono i dati statistici sull?Aids. In Uganda, questo tasso è misurato attraverso i test su donne incinte in cliniche e centri sanitari. Ora, l?85% degli ugandesi vive in campagna, dove i centri sono poco diffusi. C?è quindi da chiedersi quanti degli infettati dal virus abbiano fatto il test».
Alla mancanza di strutture sanitarie, si sommano problemi economici, politici e culturali. «Il test costa», rivela Rose Busingye. «Si va dai 7,5 euro ai 200. Ora, negli slum di Kampala, lo stipendio medio di una famiglia si aggira fra i 5 e i 20 euro. Nelle campagne è ancora peggio». Alla Conferenza internazionale di Bangkok del luglio scorso, Museveni ha sconcertato gli attivisti quando ha rimesso in discussione il ruolo del preservativo. Ma Rose Busingye difende il presidente. «Che vengano a fare un giro negli slum. Il costo dei condom è proibitivo. Vi sono poche alternative alla fedeltà e all?astinenza. E i risultati si vedono. A Naguru o a Kireka, i nuovi infettati sono pochi. Oggi la categoria sociale più colpita sono i bimbi, infettati da madri morte anni fa». In Uganda di orfani se ne contano un milione. «Un fenomeno che noi affrontiamo assieme all?Avsi con le adozioni a distanza. L?unico modo per nutrire i bimbi, mandarli a scuola e distribuire antiretrovirali». Che poi risulta essere l?ostacolo più grande per i malati di Aids. «Delle 6mila persone che vivono negli slum in cui interveniamo, vi sono 700 pazienti», spiega Rose. «Di questi, solo il 10% ha accesso agli antriretrovirali». E così, siamo di nuovo a capo.
«La salvezza dipenderà molto dalle nostre politiche preventive», avvalora Ruranga del Ngen+. «Su questo piano», sottolinea la presidente della Pfizer Filantropy, Paula Luff, «è interessante capire se il tasso di Aids in Uganda sia crollato per le strategie governative oppure per via di una presa di coscienza da parte degli stessi ugandesi». Un dubbio al quale probabilmente vorrebbero aggrapparsi «quei regimi africani incapaci», secondo Paola Giuliani di ActionAid International, «di prendere a esempio il modello ugandese, un successo incontestabile per il resto del continente».
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