Salute

Aids, aspettando il 1 dicembre

Un intervento di Nicola Pini, presidente nazionale Assa: «Abbiamo smesso di investire sulla vita»

di Giampaolo Cerri

Si avvicina la Giornata mondiale per l’Aids, ricorrenza che sempre più spesso, mostra una certa stanchezza. Sono lontani i tempi in cui l’anniversario era vissuto con grande pathos dalla società civile e dalle istituzioni. Su questo aspetto, Nicola Pini, presidente dell’Associazione speranza e solidarietà Aids (Firenze, Prato, Bari) ha scritto un intervento. Eccolo. «Primo dicembre 2001 – Giornata Mondiale per l’Aids, come tutti gli anni ci ritroviamo a parlare di questa realtà ma mai come questi ultimi anni ci accorgiamo che non se ne parla più, che ci si sofferma soltanto per il tempo minimo necessario per dire qualcosa, per dare delle cifre e quindi fondamentalmente per dire poco o nulla. Abbiamo smesso da tempo di ?investire nella vita? perché abbiamo smesso di fare prevenzione; abbiamo perso come società e come istituzioni il nostro obiettivo futuro perché ci siamo tappati gli occhi e voltati nel nostro presente; abbiamo soffocato il grido di tante persone ed il lavoro di tante associazioni perché non siamo stati capaci di ascoltare e con l?ascolto di guardare un po? più in là del naso! E’ un’appunto che da tempo muoviamo a tutti, a 360 gradi perchè non parlare di Aids significa non parlare di prevenzione, significa non parlare di emarginazione, di diritti negati, di persone che sono obbligate a nascondersi, di persone che nel 2001 continuano ad infettarsi ed a morire in un letto di ospedale. Ma significa anche non parlare di persone malate che trovano il modo di uscire dal loro nascondiglio, che ritrovano la forza e la volontà di rimpostare un presente ma soprattutto un futuro, quello che le terapie offrono e che deve essere sfruttato al massimo, minuto per minuto, giorno per giorno. Nel nostro piccolo come Associazione ci sforziamo di creare tutte queste condizioni, con grandi fatiche ma con la consapevolezza che questa è una delle strade da seguire e che tutto questo può avvenire non soltanto con un maggior impegno delle istituzioni e dei mass media ma anche con iniziative, con progetti specifici ma soprattutto con un’azione concreta e giornaliera di aiuto a tutti coloro che, malati, ci chiedono un sostegno». “Un foulard per l’Aids” nasce da un’idea dell’Associazione Amici del Foulard con l?infaticabile Presidente Maria Paola Alberti alla quale dobbiamo veramente tanto e nel tempo ha visto la fattiva e concreta collaborazione della Provincia di Firenze, del Centro Seta di Firenze al quale dobbiamo tutta la realizzazione materiale del foulard che è risultato vincitore assoluto e degli Istituti ad indirizzo artistico di Firenze, Sesto Fiorentino e Montemurlo che hanno partecipato all’iniziativa. Chiedere la collaborazione dei giovani studenti mediante un concorso per la realizzazione di un foulard, ci è sembrato fin dall’inizio il modo migliore per continuare quel lavoro di contatto e di dialogo che, per quanto riguarda l’Associazione, si svolge da anni mediante l?organizzazione di una serie di incontri nelle classi che prende il nome di Progetto Scuole. I giovani sono il futuro sotto tanti punti di vista e proprio per questo devono essere non solo salvaguardati ma anche aiutati, stimolati e coinvolti. Coinvolti nelle tante situazioni della vita di oggi, nelle tante realtà della società di oggi; coinvolti nel costruire qualcosa di nuovo e di migliore o nel rimettere a posto qualcosa di vecchio per renderlo attuale e migliore; coinvolti con il meglio di loro stessi, con quello che sentono dentro, con quello che hanno in testa anche se fossero soltanto dei sogni. Abbiamo cercato di dare a questi studenti la possibilità di esprimersi con l?arte ma soprattutto con la loro fantasia, con i loro sentimenti ed anche con i loro sogni. Dietro a ciascuno dei 140 bozzetti che sono pervenuti alla Giuria si trova tutto questo e forse anche qualcosa di più; sta anche a ciascuno di noi riuscire ad interpretare, a capire tutto ciò e ad impegnarsi per far sì che ci sia un seguito e perché tutto non finisca con la fine di questa giornata particolare. Una volta tanto non vorremmo parlare di cifre, di numeri, di statistiche. Vorremmo che fossero questi giovani a parlare per noi perché attraverso tanti di questi lavori abbiamo intravisto paura, incertezza ma anche voglia di gridare e di urlare qualcosa verso una malattia terribile, di richiamare l?attenzione sulla possibilità di continuare a sperare senza per questo dimenticarci di chi ci ha lasciato e pensando a chi ci è vicino e a chi amiamo.


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