Mondo
AiBi: per Haiti serve affido internazionale
Marco Griffini dal convegno di Torino "Semi di cooperazione"
“La crisi umanitaria di Haiti ha messo in luce che c’è un buco nelle misure di protezione dell’infanzia abbandonata e in difficoltà. Oggi sono percorribili, infatti, solo due strade: interventi di assistenza in loco da una parte, adozione dall’altra. Serve uno strumento tempestivo per l’accoglienza dei minori colpiti dalle calamità: l’affido internazionale.” Così il presidente di AiBi, Marco Griffini, intervenuto oggi al Convegno “Semi di cooperazione”, in corso oggi e domani presso il Centro incontri della Regione Piemonte a Torino, affida a un comunicato stampa la sua posizione circa gli aiuti e le soluzioni per i minori abbandonati dell’isola caraibica.
“Ancora non esiste un Protocollo di intervento per garantire la sicurezza dei minori nei casi di calamità”, dichiara Griffini. “Eppure le notizie che si susseguono in queste ore rendono sempre più evidente la totale mancanza di sicurezza per migliaia di minori haitiani. Si deve prevedere quindi la possibilità di lavorare in maniera coordinata con le autorità locali per garantire un’accoglienza temporanea ai bambini e metterli così in salvo finché la situazione nel loro Paese non si sarà stabilizzata.” – ha continuato Griffini.
La proposta di AiBi è percorribile e trova fondamento nelle prassi del Comitato per i Minori Stranieri – organismo che dipende dal Ministero del Welfare e autorizza l’ingresso dei minori provenienti da Paesi colpiti da calamità attraverso i soggiorni solidaristici -.
L’affido internazionale non è un strumento regolamentato dall’ordinamento giuridico italiano, tuttavia si configura come un intervento fondamentale nei casi di emergenza umanitaria. L’accoglienza dei bambini haitiani permetterebbe, infatti, di arginare e curare i traumi che hanno vissuto, primo fra tutti il “post-traumatic stress disorder”, aiutandoli a riconquistare così la serenità e la fiducia nel futuro.
Nella proposta di AiBi la gestione dell’affido internazionale vedrebbe il coinvolgimento del pubblico e delle associazioni del privato sociale, ognuno nei rispettivi ambiti di presa in carico del minore così come avviene per l’affido familiare dei minori italiani.
“L’affido internazionale può aiutare migliaia di bambini a recuperare una stabilità psico-fisica. Dobbiamo prevedere una modalità di intervento per sostenere questi minori con la collaborazione della autorità haitiane, ma se il governo locale non riuscisse a tutelare i diritti fondamentali dei minori si dovrebbe contemplare l’ingerenza umanitaria per garantire la loro sicurezza.”
Nel corso del convegno Griffini ha anche ribadito la necessità di promuovere l’adozione internazionale solo nei Paesi in cui si realizzano interventi di cooperazione allo sviluppo. “La crisi di Haiti ha messo in evidenza ancora una volta che le adozioni internazionali dovrebbero essere realizzate all’interno di un ampio progetto di cooperazione internazionale. Non si può parlare di adozione a prescindere dalla cooperazione internazionale.” ha detto Griffini.
Le associazioni che lavorano con progetti di sostegno all’infanzia, infatti, dovrebbero promuovere innanzitutto interventi finalizzati a garantire il diritto alla famiglia dei minori nel loro Paese e, laddove non sia possibile, promuovere l’adozione internazionale.
Eppure questa impostazione, più volte sollecitata da AiBi e altri enti autorizzati, rimane un principio solo sulla carta. E’ lo stesso Ministero per gli Affari Esteri italiano, per citare un esempio eclatante, che impedisce di considerare l’adozione nei progetti di cooperazione.
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