Libri
Ai nostri ragazzi prima dei no occorrono dei sì. Anzi, una “culla di sì”
Un libro scritto da un fisico quantistico diventato ordinario di Teologia dogmatica a Roma, da uno psichiatra prof alla Bicocca a Milano e da una psicologa clinica suggerisce una ricetta originale e inedita per affrontare l'ansia e il disagio psichico dei ragazzi
Sono ormai tanti i contributi dedicati a capire il malessere delle giovani generazioni, da La generazione ansiosa di Jonathan Haidt ai recenti contributi di Massimo Recalcati, Accendiamo nei ragazzi il fuoco del desiderio o di Alessandro D’Avenia, Messi al mondo o messi all’angolo? L’Ansia, ha debuttato persino nel recente film della Disney Inside Out 2 come una delle nuove emozioni che animano Riley.
D’altra parte, la generazione Z, la prima generazione di nativi digitali, è a rischio di dipendenze comportamentali come illustrato da uno studio realizzato non tanti mesi fa dall’Istituto Superiore di Sanità su un campione rappresentativo di ragazzi tra gli 11 e i 17 anni che ha fotografato adolescenti e preadolescenti italiani che risultano essere sempre più soli e pronti a riempire i «vuoti» relazionali con cibo, social e videogiochi.
Colpa dei nuovi genitori che si rivelerebbero del tutto incapaci di assolvere il loro compito educativo? Attanagliati dall’ansia per l’uso precoce dei telefonini combinato con uno stile educativo iperprotettivo? Le riflessioni e le ricette sono tante e spesso interessanti.
Uno dei contributi più originali sul tema, arriva da un piccolo libro, “Ansia e idolatria” scritto da un fisico quantistico diventato ordinario di Teologia dogmatica a Roma, da uno psichiatra prof alla Bicocca a Milano e da una psicologa clinica (Cesare Cornaggia, nella foto, Giulio Maspero, Federica Peroni). I tre, in estrema sintesi sostengono, che tutte le analisi sono interessanti, ma che la situazione con la quale abbiamo a che fare sta un passo ancora prima: il problema è l’odierna incapacità di costituire l’io, prigioniero in un limbo senza spazio e senza tempo, tra un passato che non è origine e un futuro senza fine. L’Io, ricordano gli autori citando i primi libri della Bibbia, si costituisce a partire e dentro una relazione con un altro da noi. Affinchè l’io possa uscire dal limbo occorrono due condizioni.
Guardare alla realtà come dato. Il primo altro con cui fare i conti è la realtà, proprio nella difficoltà di relazione con la realtà sta il cuore della patologia contemporanea. Paradossalmente parrebbe che il disagio psichico, o la sofferenza mentale, si erga oggi a rappresentare l’ultimo rapporto sano con il reale inteso come un altro da sé. Il mondo postmoderno ha la pretesa e ce la impone che la realtà sia frutto, nel bene e nel male, nella nostra azione. La realtà non è il dato che ti precede da conoscere, studiare, capire e con il quale confrontarsi; la realtà che deve essere riconducibile a noi deve essere quella che noi decidiamo debba essere. Occorre invece avere in mente che la realtà accade, perché non si è in un vuoto, suggeriscono gli autori ma un dato. Ma per poter far questo è necessario immaginare che la realtà sia buona. Invece oggi la realtà viene negata: se non posso ridurre la realtà a me, la nego o me ne invento un’altra.
Il limite è un amico, perché mette un freno alla nostra onnipotenza, consentendoci di deporre le armi del controllo e assistere alla realtà come qualcosa che accade al di fuori di noi
Cesare Cornaggia
Accettare il limite. L’uomo post moderno vive cercando un modo per abolire il limite immaginando una propria onnipotenza. Scrivono i tre autori: “L’assenza del limite crea soggetti smarriti e privi di riferimenti, simbolici e non. Il ricorso compulsivo e senza filtri alla soddisfazione immediata non consente ai figli di scoprire il proprio desiderio”. Il limite, invece, è rassicurante, è un amico, perché mette un freno, uno stop consentendoci di deporre le armi del controllo e assistere alla realtà come qualcosa che accade al di fuori di noi. Il limite è un necessario trampolino di lancio per andare oltre spingendo a una relazione, una spinta a cercare un riempimento vivo e dinamico.
Che fare allora? Come intervenire? Che compito per terapeuti ed educatori. Il libro prova ad indicare un percorso.
Innanzitutto, occorre astenersi da un giudizio negativo e svalutante (“Si stava meglio prima”). Ciò che manca di più è l’accoglienza dei giovani: le generazioni precedenti sono spaventate e osservano i mutamenti come segni infausti del futuro, e ci si arrocca in questo giudizio.
In secondo luogo, i professionisti della cura sono chiamati a diffondere i concetti di relazione e di ascolto, di domanda e di tempo, senza cedere, anche loro, alla prestazione narcisistica. La cura esiste e funziona se ci sono due individui pronti a guardarsi negli occhi e a dire “ecco sono qui”, dandosi del tempo. Curare o educare è attrarre dentro una relazione senza giudizio in cui i due diventano attrattivi reciprocamente.
Infine, ed è certamente il punto in assoluto più originale del libro, gli autori parlano della necessità, prima ancora di dire dei “no”, di una “culla di sì”. Scrivono: “Non vogliamo qui soffermarci sulla necessità del dare dei “no”, risulta assai più interessante approfondire la capacità, se ancora esiste, di dire e di dare dei “sì”. I nostri figli non hanno avuto i “no” di cui tanto parliamo, ma ancor di più non hanno avuto i tanti “sì” di cui un bimbo ha assolutamente bisogno per crescere. (…) Noi tutti abbiamo bisogno di un “sì”: il “sì” da dire da parte nostra e il “sì” che, per far questo, abbiamo bisogno di sentirci addosso, perché soltanto se accettati dall’altro possiamo accettare noi stessi”.
Il “sì” non nasce e non determina un giudizio, ma è un riconoscimento necessario e liberante dell’altro e capace di spalancare alla realtà suggerendo un’ipotesi buona. Ripartire da qui?
Ansia e idolatria, di C. Cornaggia, G. Prosperi, F. Peroni, ed. Inschibboleth, pp 136, euro 15
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