Politica

Ai costruttori di nuova economia occorre più coraggio

di Riccardo Bonacina

Un lettore mi segnala un mio editoriale del 19 marzo 2008 e intitolato “Il bisogno di un’altra economia”. In effetti, fa una certa impressione rilleggerlo oggi mentre arriva la notizia che l’Istat conferma che il Pil italiano nel 2008 è calato dell’1 per cento. Si tratta del dato peggiore dal 1975. È dell’1,9% l’effetto di trascinamento dei dati 2008 sulla crescita dell’anno in corso, avverte l’Istat nella sua nota. Invitando i soggetti costruttori di nuova economia afrvi avanti con coraggio e con le idee, scrivevo un anno fa: “La crisi economica internazionale ha costretto il governo a un drastico taglio delle previsioni sul Pil 2008: dall’1,5 allo 0,6%. Praticamente una crescita zero, hanno avvertito gli analisti, e non erano ancora arrivate le grossi nubi dagli States. (…)Una mole di cattive notizie da far invecchiare di dieci anni i programmi dei due principali contendenti nella campagna elettorale: Pdl e Pd, i cui programmi sono tutti costruiti intorno al mantra dello sviluppo. Parola che ricorre 25 volte nel programma Pd, e 17 volte nel programma Pdl. Non sappiamo se abbia ragione Serge Latouche quando nel suo freschissimo pamphlet (Breve trattato sulla decrescita serena, Bollati Boringhieri) sostiene che la decrescita deve diventare un vero e proprio programma politico. Certo converrebbe a tutti riflettere sul suo caustico avvertimento: «Come non c’è niente di peggio di una società del lavoro senza lavoro, non c’è niente di peggio di una società della crescita in cui la crescita si rende latitante». Non c’è un diverso sviluppo, o uno sviluppo sostenibile, ragiona Latouche; se non si vuole andar incontro al disastro converrà pensare al “dopo sviluppo” e a un modello economico diverso, la “decrescita serena” da realizzarsi intorno a otto R: rivalutare, riconcettualizzare, ristrutturare, ridistribuire, rilocalizzare, ridurre, riutilizzare, riciclare. Oggi, a ragionare su quale modello sia possibile per il dopo sviluppo non è più solo Latouche o qualche sito no global, ma anche il capo della Chiesa cattolica, Benedetto XVI di cui si annuncia un’enciclica severissima contro la globalizzazione («Non si può dire che la globalizzazione è sinonimo di ordine mondiale, tutt’altro», aveva detto la scorsa Epifania). O, ancora, un cattolico liberale come Quadrio Curzio, che arriva a sintetizzare la fase alle nostre spalle come «l’illusione che si potesse consumare senza produrre, consumare senza pagare, investire senza risparmiare», e che arriva anche a riconoscere che è impossibile lo sviluppo senza limiti”. Ora, a un anno data, è ufficiale, il 2009 registrerà un calo del Pil globale. Lo ha affermato il direttore generale del Fondo monetario internazionale, Dominique Strauss-Kahn.  Il mondo, ha detto Strauss-Kahn, «è in grande recessione». Arrivano i dati sulla disoccupazione in Italia (persi 370mila posti nel 2009) e in Europa (previsti 6 milioni di nuovi disoccupati entro il 2010) e gli indici di povertà che segnalano come la crisi morda porzioni sempre più larghe di popolazione. Insomma, stiamo nel pieno di quella stagione che Latouche definisce “non c’è niente di peggio di una società della crescita in cui la crescita si rende latitante”. In una fase così difficile, la politica arrangia le sue risposte più o meno efficaci e traballanti, sostegno al credito, cassa integrazione, social card. Ma ciò che più mi colpisce è la mancanza di coraggio propositivo e di iniziativa di quei soggetti, o di quel che resta di quei soggetti, che in questi anni hanno pur provato a costruire pezzi di economia e di società intorno a valori ed interessi altri dal Pil. Per esempio, sognavo che il sistema cooperativo si presentasse al Paese spigando come in due anni avesse potuto creare migliaia di posti di lavoro, o che un soggetto come Banca Popolare Etica, in occasione dei suoi dieci anni, spiegasse al Paese come inaugurare un piano di impieghi e di investimenti sociali. Insomma, mi aspettavo che i costruttori di un’altra economia e di un nuovo welfare rompessero gli indugi e prendessero coraggio. Ma, non è mai troppo tardi. Coraggio.

Intanto vi segnalo l’uscita del n. 31 di Communitas sulla crisi ecco il link del sommario


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