Non profit
Ai 10mila che hanno detto: “Ci sto”
Editoriale sulla mobilitazione "Io vado a Pristina e a Belgrado"
L unedì 14 giugno si è conclusa a Bari la prima fase della mobilitazione ?Io vado a Pristina e a Belgrado? lanciata da questo settimanale lo scorso 19 aprile, con un raduno dei rappresentanti delle decine di Comitati locali sorti spontaneamente in tutto il Paese. Per fare il punto e discutere del progetto nato dalla nostra mobilitazione abbiamo scelto Bari città che sa cosa significa sia una pace senza giustizia che una giustizia senza pace. Gli amici della Puglia lo sanno perché da anni curano le ferite provocate delle violenze in atto dall?altra parte dell?adriatico, ma anche provocate dalle nostre indifferenze e dai ritardi di una politica che non sa dare risposte senza percorrere scorciatoie, spesso terribili.
Da Bari sarebbe dovuto partire il nostro cammino di pace verso Pristina e Belgrado, come invece già sapete il diniego di un visto collettivo alla nostra iniziativa hanno reso impossibile la nostra marcia, anche se non fermano il nostro cammino di pace. Proprio nelle stesse ore in cui il Kosovo è invaso dai mezzi militari per essere spartito dai vincitori e mentre sta per essere imposta ai vinti una cosa che chiamano pace in una terra che continua a svuotarsi, noi riprendiamo il nostro cammino con un progetto concreto. Quello del corpo civile e volontario di pace che vedrà le prime partenze proprio questa settimana per aprire un Ufficio Diritti umani a Pristina. Vale però la pena di sottolineare, prima di dare indicazioni concrete che poi daremo da queste pagine, quali siano state le conquiste, le acquisizioni di questi quasi due mesi di mobilitazione. Perché questo sarà il bagaglio che ciascuno conserverà con sé come carico prezioso, sia per chi partirà sia per chi rimarrà qui ad accogliere i profughi, magari questa volta serbi o montenegrini.
1) La dimensione personale dell?impegno. La nostra è stata una mobilitazione personale, un appello che è passato di persona in persona sino a coinvolgere anche organizzazioni e associazioni. Nei giorni in cui era difficile uscire dall?angolo in cui gli eventi sembrava ci avessero costretti. Cioè piegarsi sull?aiuto umanitario, così pur necessario, e consentire ad un appello per la pace che era rappresentato dai media e dalla politica come un automatica iscrizione al partito di Milosevic, sentivamo l?esigenza di trovare una via che rimettesse in causa la dimensione personale di ciascuno, il sentimento che ciò che accade nel mondo non solo ti riguarda ma può anche dipendere da te. Da questa esigenza diffusa nacque l?idea di un?appello capace di un coinvolgimento profondo, intimo per chiunque avesse deciso di aderire. Dopo due mesi possiamo dire che i diecimila firmatari di ?Io vado a Pristina? testimoniano che una larga parte della società civile è cosciente che neppure le questioni più serie e gravi come la guerra e la pace sono questioni da delegare ai politici, ai diplomatici e ai militari, ma riguardano ciascuno di noi.
2) Dalla guerra non nasce la pace. Qualcuno in questi giorni di trionfalismo fastidioso e insostenibile degli ex sessantottini al governo in Europa e in America ha detto che con Milosevic oggi si può dire che è stato sconfitto il pacifismo. Non sono un esperto in materia e neppure un teorico né un praticante del pacifismo, di una cosa però, come come cronista sono certo, nella società civile italiana oggi è certamente cresciuta la coscienza di come la pace non abbia nulla a che fare con un ordine imposto dai vincitori, di come la pace non possa mai essere confusa con il frutto di un escalation di violenze, sofferenze e brutalità. Chi ha sottoscritto l?impegno (mi piace chiamarlo così) di ?Io vado a Pristina? guarda oggi con grande diffidenza a chi si dice orgoglioso di ciò che ha distrutto e ucciso, di chi si dice orgoglioso di mettere i piedi in un Paese dove anche i pochi rimasti stanno scappando (sono già più di 30 mila i profughi serbi che si aggiungono ai 780 milaalbanesi fuggiti dal 24 marzo). Chi ha sottoscritto il nostro impegno sa che alle recenti elezioni non sono state punite le forze politiche che si sono opposte alla guerra, ma quei partiti che con una ipocrisia malcelata e con poco amore della verità hanno cercato sulla pace il proprio bussines elettorale. Guardiamo con molta più ammirazione al Papa che ancora in questi giorni ricorda come l?uomo, qualsiasi uomo, sia fatto per amare e per essere amato e non per uccidere ed essere ucciso. Se la carità è passione, quasi una tenerezza, verso il destino spirituale e materiale di ciascun uomo, a qualsiasi etnia appartenga, qualsiasi religione pratichi, in qualsiasi condizione sociale si trovi, è allora vero che proprio la carità è l?inizio della riconciliazione. Il pacifismo, forse, come tutti gli ismi è ideologia che la storia si preme di contestare. Non è così, non è mai stato così per i movimenti capaci di testimoniare rispetto e carità come sorgente di riconciliazione.
3) La pace nasce dalla riconciliazione. Credo che il nostro lavoro sarà quello di essere porattori di speranza, testimoni che è possibile una riconciliazione capace di superare gli odi, gli assassinii, ogni nefandezza subita o inferta. Sono tante le testimonianze che hanno raccontato come il primato della persona e il principio di solidarietà possa cambiare concretamente un pezzo di popolo e di storia, sappia rimarginare le ferite, curarle, persino dar loro un senso, e da queste testimonianze, vicine e lontane, prendiamo e prenderemo esempio. In queste ore un gruppo di esperti sta valutando i danni subiti dalla Federazione Jugoslava per calcolare i prossimi bussinnes dei governi occidentali e delle nostre imprese, chissà se mai proveremo vergogna contando, invece, i morti ormai senza nome nel Kosovo o in Serbia, chissà se allora sarà già troppo tardi per interrogarci sulle ragioni e sulla possibilità di una possibile e praticabile riconciliazione. Noi sappiamo e diciamo che la pace non potrà essere garantita con la forza di una polizia internazionale o perché principi di legalità, in questi due mesi ridotti a carta straccia, la potranno imporre. Noi sappiamo che la pace nasce dalla possibilità del rispetto reciproco, prima ancora dell?amore. Per questo abbiamo deciso di continuare la nostra mobilitazione in un progetto concreto di corpi di pace e di osservatori dei diritti umani. Don Primo Mazzolari, parlando ai suoi cristiani, ma non solo a loro, diceva una cosa che dovremo ricordare a noi e a chi ci governa: «Ci impegnamo a portare un destino eterno nel tempo, a sentirci responsabili di tutto e di tutti. Ci impegnamo non per riordinare il mondo, non per rifarlo su misura, ma per amarlo».
4) Qualche giorno fa, in occasione del quarto anniversario della morte di Alex Langer stavo rileggendo alcune sue riflessioni. VE ne propongo una: «Lettera a San Cristoforo: Caro San Cristoforo, ero un ragazzo che ti vedeva dipinto all?esterno di tante piccole chiesette di montagna, col Bambino sulle spalle…Mi feci raccontare tante volte la storia da mia madre. La tua rinunzia alla forza e la decisione di metterti al servizio del Bambino ci offre una bella parabola della conversione oggi necessaria».
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