Famiglia
Ahmed: «Ma adesso io e papà abbiamo lo stesso cognome?»
Edvige e Giorgio sono diventati i genitori di Ahmed lo scorso giugno. «Ahmed viveva con una famiglia affidataria in Burkina Faso», racconta Edvige. «Spesso mi sono interrogata: “è la cosa giusta portarlo via?”. A volte lui mi chiede: “Io da dove arrivo?”, “Io non sono uscito dalla tua pancia vero?”. Dentro di lui ci sono queste domande e lavoreremo insieme per trovare le risposte. Non è stato tutto semplice, ma adesso Ahmed mi guarda, sorride, e dice “Mamma mi consumi di baci”. Siamo una famiglia fortunata»
di Anna Spena
“Se papà si chiama Giorgio Chini, allora adesso io mi chiamo Ahmed Chini?”. La voce di sottofondo è quella di Ahmed mentre si assicura con la mamma Edvige che Chini sia anche il suo cognome. Ahmed è nato in Burkina Faso, ha 8 anni, è arrivato con Giorgio ed Edvige in Italia, a Verona, a luglio dello scorso anno. «Desideravamo dei figli», racconta Edvige, «ma sapevamo che data l’età non sarebbe stato facile. L’adozione è sempre stata il nostro progetto speciale. Ci siamo sposati quando entrambi avevamo 42 anni, abbiamo iniziato il percorso a 45 perché dovevamo aspettare che passassero i tre anni di convivenza accertata o matrimonio. E poi siamo partiti con le richieste, gli incontri con la psicologa, i corsi di formazione, gli assistesti sociali…adesso abbiamo entrambi 52 anni», racconta Edvige.
Giorgio ed Edvige si sono affidati al Ciai – Centro Italiano aiuti all’infanzia: «A giugno 2021 ci hanno chiamato per dirci che avevano trovato un abbinamento. Abbiamo detto sì, poi dopo una settimana ci hanno mostrato la prima foto di Ahmed. “È bellissimo”, ho pensato. E poi anche che fossimo due genitori molto fortunati». Giorgio ed Edvige sono il 18 luglio 2021 sono partiti per il Burkina Faso, il 21 luglio dello stesso anno, per la prima volta, incontravano il loro bambino.
«Il Burkina Faso è un Paese a rischio, delicato, e la diffusione del Covid ha reso tutto più complesso e allungato i tempi». Quella di Ahmed è una storia un po’ diversa. Ha vissuto i primi due anni della sua vita in un istituto. Quando la struttura ha chiuso per mancanza di fondi, una tata che lavorava lì lo ha portato portato a casa con lei, nel suo villaggio.
«Dopo la chiusura dell’istituto», spiega Marina Raymondi, specialista adozioni internazionali di Ciai che ha seguito l’adozione del bambino, «Ahmed è stato affidato ad una famiglia composta dal marito, due mogli e altri figli». Il Ciai segue i bimbi i che vivono con le famiglie affidatarie durante tutto la strada che poi li porterà alle famiglie adottive. «A livello puramente teorico», spiega Raymondi, «l’accoglienza in famiglia anziché in istituto è preferibile. Ma questo assioma non è sempre vero. I fattori da considerare infatti sono molto diversi, come il Paese d’origine o l’età del minore. Quindi si valuta sempre in base al singolo caso».
Edvige se lo ricorda bene il giorno in cui ha incontrato suo figlio la prima volta: «Mi commuovo ancora quando penso a come questo bambino si è affidato a noi. Mi commuove il ricordo della festa che abbiamo fatto al villaggio prima della partenza, e di questo passaggio da famiglia a famiglia. Mi chiedevo: “è la cosa giusta portarlo via?”. Il capo famiglia ha due mogli, una aveva l’affido di Ahmed. Salutarli è stata durissima: io continuavo a piangere e anche la mamma affidataria di Ahmed, poi mi abbracciava e diceva “tranquilla, tranquilla va tutto bene”. Ma io pensavo che stavo strappando mio figlio dalla sua realtà, da un ambiente – seppur povero – dove è cresciuto con amore, dove è stato bene, dove lo hanno trattato bene».
I primi giorni di convivenza sono stati difficilissimi: «riuscivo solo a pensare “non sono in grado di fare la mamma, ho sbagliato tutto”. Mentre tra Ahmed e mio marito il rapporto cresceva a me sembrava invece che con me tutto rimasse fermo, fosse più difficile». Ma quale famiglia nasce al primo incontro? «Poco alla volta i pezzi si sono incastrati. Ahmed ogni tanto chiede di vedere le foto del villaggio. Però lo fa non con tristezza. Mi sembra un bambino sereno, pieno di risorse. Capita che mi chieda: “Io da dove arrivo?”, “Io non sono uscito dalla tua pancia vero?”. Dentro di lui ci sono queste domande, a volte esplicite, a volte meno. Ma è giusto così, lavoreremo insieme per trovare le risposte di cui ha bisogno e torneremo in Burkina Faso quando lo vorrà. Intanto adesso mi guarda e dice “mamma basta, mi consumi di baci”. Ma alla fine i baci se li lascia dare lo stesso».
Il numero di Vita di febbraio è dedicato al tema delle adozioni. Il megazine è disponibile nelle edicole e può essere scaricato in pdf a questo link
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