Formazione

Agnesi, se questo è un ghetto

Progetti di solidarietà, un 20% di studenti che fa volontariato, un preside che ama il Vangelo e Vittorini, docenti che insegnano integrazione...

di Benedetta Verrini

La tempesta di polemiche sembra quasi un?eco lontana, nei grandi corridoi dell?istituto Gaetana Agnesi. L?ex magistrale di via Tabacchi a Milano, un colosso architettonico da 1.300 studenti, è in fase di ristrutturazione edilizia. Fino a pochi giorni fa, prima che i muratori montassero un?impalcatura, in cima all?ingresso del piano terreno campeggiava uno striscione artigianale, con una scritta verde: «No a ogni terrorismo». Chissà come l?avrebbero letta i 20 ragazzi islamici che a settembre avrebbero dovuto iniziare a frequentare l?istituto. Certamente, non sarebbero entrati in una scuola ostile. Anzi. Forse, senza nemmeno saperlo, sarebbero entrati nella realtà scolastica ?pioniera? della solidarietà. Dal 2002 l?Agnesi è sede dello Sportello regionale Scuola&Volontariato, istituito con un protocollo d?intesa tra l?Ufficio scolastico regionale e la Caritas Ambrosiana e nato per promuovere la cultura della solidarietà e diffonderla tra tutte le scuole della Lombardia. Una percentuale molto significativa dei suoi studenti, il 20%, partecipa a esperienze di volontariato: 250 ragazzi che per tutto il corso dell?anno scolastico (e su un territorio che si spinge fino a Opera, a Binasco, a Pieve Emanuele, come dire hinterland allargato), una volta alla settimana entrano in contatto con mondi completamente diversi, quelli dell?emarginazione, della disabilità, dell?infanzia in difficoltà. L?augurio della carità Tutto è iniziato nel 1998, in coincidenza, guarda caso, con la nomina a dirigente scolastico di Giovanni Gaglio. Il discusso preside dell?Agnesi è uno che non ha mai avuto paura a parlare di diritti e di esporsi per la crescita degli studenti, che ritiene «la cosa più bella della scuola italiana». Uno che mette tra le sue letture fondamentali il Vangelo e Conversazione in Sicilia di Vittorini. E che quando era ancora professore di italiano regalava ai suoi studenti, a fine anno scolastico, un cartoncino con riprodotta la prima lettera ai Corinzi di San Paolo, che ammonisce: «Se anche parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi la carità?non sono nulla». Ma non è un mistico, il preside Gaglio. Sulla cinquantina, senza l?ufficialità della cravatta e con una collanina al collo, ha un?aria sportiva e bonaria, baffi curati, due occhi scuri e attenti. È uno che, con le foto di Falcone e Borsellino appese al muro dietro la scrivania, cerca di mettere in atto il principio della coscienza civile. Sarà per questo che in sei anni ha saputo traghettare l?Agnesi nel grande territorio della solidarietà, trasformandola gradatamente da sportello provinciale a sportello regionale del progetto Scuola&Volontariato. E il dialogo? Sulla vicenda della classe islamica, adesso Gaglio ha deciso di mantenere il silenzio stampa. In fondo, ormai, c?è ben poco da dichiarare: quel delicato progetto d?integrazione per cui il suo istituto era davvero il miglior ambiente possibile, ormai è stato affossato. E a conferma che ora sarà molto difficile riallacciare il dialogo e intercettare quelle studentesse che desideravano frequentare il liceo, c?è il fatto che nessuna delle famiglie egiziane coinvolte, in questi giorni, ha mai chiamato a scuola per informarsi direttamente sulla vicenda. «Mi sono chiesta spesso come sarebbe andata, se avessimo potuto partire», commenta Claudia Gariboldi, docente di tedesco e referente per il Volontariato dello Sportello regionale. Da diversi anni indirizza e coordina i suoi ragazzi verso esperienze di integrazione, con il motto «Tempo libero uguale tempo solidale». L?iniziativa di cui va più fiera è il volontariato che gli studenti (molti del biennio) fanno proprio con i ragazzini stranieri, presso le vicine scuole elementari di via Palmieri. «Non nego che con la classe islamica ci sarebbero state delle difficoltà iniziali», prosegue, «soprattutto a presentare ai nostri ragazzi questo particolare inserimento. E certamente, anche a far capire ai ragazzi islamici alcune regole e prassi della scuola pubblica. Ma quella classe non sarebbe mai stata un ghetto! Basta solo immaginare a quanto è naturale il contatto tra i ragazzi nella vita quotidiana di una scuola. Avremmo fatto un percorso graduale, un?opera d?integrazione senza strappi né choc culturali, e nel biennio avremmo proposto anche delle lezioni in comune con gli studenti delle altre classi e qualche uscita in gruppo, magari a visitare un museo o a vedere una mostra». Primo, il rispetto Quando il Cisem ha chiesto la disponibilità dell?Agnesi per accogliere i 20 studenti egiziani, gli insegnanti si sono consultati a lungo. «La nostra prima preoccupazione è stata di chiederci che cosa servisse di più a questi ragazzi», spiega Ivana Gobbi, che avrebbe dovuto insegnare la materia principale, scienze sociali. «La risposta è stata immediata: il bisogno innanzitutto di apprendere la lingua italiana e l?opportunità di istruirsi, un diritto sancito dalla Dichiarazione universale dei diritti del fanciullo, oltre che, per noi, un dovere di solidarietà prescritto dalla nostra Costituzione». La professoressa Gobbi avrebbe dovuto introdurli a una delle discipline più delicate, «perché le scienze sociali interrogano dal profondo la nostra cultura e il nostro agire. Penso che il contatto stesso con la lingua italiana e le nostre materie avrebbe offerto loro il primo ponte verso l?integrazione sociale, in una scuola dove si pone grande attenzione allo studente come persona in formazione, nella delicata fase dell?adolescenza. La scuola laica li avrebbe non solo formati, ma anche profondamente rispettati». Peccato che tutto questo adesso resti solo al condizionale.


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