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agli italiani piace correre(nonostante il coni)

Sport per tutti Il j'accuse di Nicola Porro, presidente della Uisp

di Redazione

Avrebbe potuto essere un buon mezzofondista, se il modello che regola lo sport in Italia fosse stato quello degli altri Paesi. Ma allo sport Nicola Porro non ha voluto comunque rinunciare. E così lo ha studiato e vi si è dedicato con passione non più agonistica ma organizzativa. Ed è stato una delle bandiere dello sport per tutti come presidente della Uisp. Oggi Porro è tornato agli studi. E il suo è un osservatorio prezioso per interpretare quest’estate che dagli Europei di calcio appena conclusi ci porterà alle attesissime Olimpiadi cinesi.
Vita: Partiamo proprio dal calcio. Ha notato quanti atleti stranieri nelle squadre nazionali ai recenti Europei? Effetto della globalizzazione?
Nicola Porro: È una tendenza destinata a consolidarsi. Il calcio inteso come business mondiale e gli spettatori multietnici degli spettacoli sportivi, enfatizzano enormemente la globalizzazione già verificatasi in altri ambiti. Ma non dimentichiamo quello che dice Appadurai, un antropologo indiano studioso della globalizzazione, che osserva il calcio come metafora del fenomeno: un conto è la mediazione culturale che caratterizza l’offerta spettacolare, gradita a tutti, altro il significato culturale che le diverse comunità attribuiscono al calcio, come le identità nazionali, che si differenziano a seconda delle diverse situazioni locali. Si prenda il calcio inglese, dove vivono quattro identità diverse – inglese, gallese, scozzese e irlandese – per evidenziare come nel calcio vi siano forti resistenze ad aprirsi all’esterno. Anche in Italia vi fu un tentativo folcloristico, quando la Lega cercò di dar vita a una nazionale di calcio padana.
Vita: La globalizzazione contaminerà certe caratteristiche di gioco nazionali, come il catenaccio all’italiana?
Porro: Sicuramente. Se pensiamo alle radici del nostro calcio, diffusosi tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento attraverso i marinai inglesi, che approdavano nei vari porti delle città italiane, e le società di ginnastica collegate a quelle svizzere, soprattutto le società del Nord, le prime contaminazioni avvennero allora: l’impostazione svizzera era basata sulla forza fisica e poco sugli aspetti tecnici, fino agli anni 30 quando gli oriundi provenienti dall’America Latina, grazie ai loro palleggi eleganti e ai dribbling, resero il gioco più tecnico.
Vita: Per quale squadra tifa?
Porro: Mio padre era tifoso del Bari, mia madre del Torino e io mi sono trovato in mezzo. Sono juventino, appartengo alla generazione di ragazzi che tra la metà degli anni 50 e 60 si identificava con i campioni bianconeri, Charles e Sivori tra tutti.
Vita: Come studioso lei si è occupato dello sport per tutti. Come vede la situazione in Italia?
Porro: È difficile tracciare un quadro perché i dati forniti dal Coni sono diversi da quelli rilevati dall’Istat e dal Censis. L’Italia negli anni90 si era avvicinata molto agli standard degli altri Paesi europei, grazie all’incremento della pratica sportiva diffusa, ma oggi sta perdendo il passo per due motivi: siamo tra le popolazioni più vecchie d’Europa, e vuol dire che la pratica sportiva subisce una penalizzazione. È vero che rispetto a vent’anni fa la popolazione anziana che pratica sport è aumentata del 5-6%, ma resta pur sempre una percentuale minima. Il secondo motivo è che se da un lato la pratica sportiva giovanile ha registrato un notevole aumento, dall’altro lo sport a scuola è ancora inadeguato rispetto alla domanda degli studenti.
Vita: Perché lo sport a scuola non decolla?
Porro: Per due ragioni. La prima è dovuta a un certo pregiudizio culturale vigente nella scuola italiana, che stenta ad associare lo sport al processo formativo degli studenti, un pregiudizio che per fortuna si è in parte attenuato con il passare degli anni. La seconda ragione è che l’Italia sul fronte dello sport a scuola ha perso la sua battaglia rispetto agli altri Paesi dell’Unione europea, perché il rapporto tra la scuola, il sistema sportivo ufficiale e quello del volontariato, rappresentato dalle società sportive che operano sul territorio, è stato ed è molto carente. Sono tre ambiti tra loro separati, che si ignorano. Da ragazzo praticavo l’atletica leggera, ma ho dovuto smettere, pur essendo un discreto mezzofondista, perché finite le superiori non potevo più frequentare la società sportiva della scuola, mentre all’università il Cus (Centro universitario sportivo, ndr) promuoveva sport in orari penalizzanti.
Vita: In Italia per tradizione non c’è il ministero dello Sport, ma un Coni “pigliatutto”: questo ha finito per condizionare le politiche dello sport a scuola e dell’associazionismo sportivo?
Porro: Il Coni è un’agenzia che si occupa di sport di alta prestazione, e dobbiamo riconoscere che ha ottenuto degli ottimi risultati da un punto di vista tecnico e agonistico, soprattutto in tempi passati in cui lo sport era poco diffuso. Ma si è sostanzialmente disinteressato della diffusione della pratica sportiva e perciò di un rapporto con la scuola che propone lo sport educativo. Con il governo Berlusconi, nella logica della riduzione dei ministeri, la soppressione del ministero dello Sport non ha sollevato la minima discussione: una scelta che ha rallegrato il Coni, che si è tolto di mezzo un ostacolo al quale dar conto. Il Coni vuole continuare a svolgere il vecchio ruolo egemone dello sport, ma non è chiaro se abbia l’investitura ufficiale e se abbia gli strumenti per farlo. Un dato indicativo riguarda i cittadini che praticano lo sport da soli, senza avere la tessera di una società o un ente di promozione sportiva, sono gli sportivi “fai da te” che corrono nei parchi, vanno in bicicletta, e dichiarano di praticare sport con una certa continuità: nel nostro Paese sono l’80%, una maggioranza schiacciante. In Italia questa maggioranza è completamente ignorata dal Coni, dal sistema sanitario nazionale, dagli enti locali, dai responsabili delle politiche urbanistiche. Negli altri Paesi dell’Ue, la maggioranza silenziosa degli sportivi è oggetto di costante attenzione, in Germania chi ama andare in bicicletta ha a disposizione una vasta rete di piste ciclabili dal Nord del Paese fino alla Svizzera. In Spagna hanno recuperato le vecchie linee ferroviarie dismesse e le hanno trasformate in percorsi ciclabili. Migliaia di giovani provenienti da tutta Europa raggiungono Santiago di Compostela in bicicletta, un percorso ciclabile parallelo a quello dei pellegrini.
Vita: Che cosa porteranno di nuovo le Olimpiadi in Cina?
Porro: Due novità. La Cina, che rappresenta una ricchezza di esperienze sportive varie su tutto il territorio nazionale e ha un serbatoio enorme di giovani sportivi. E poi il Cio, che ha dato le massime garanzie sul controllo antidoping. Spero che l’appuntamento di Pechino rappresenti una svolta epocale nella lotta al doping.

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