Sostenibilità

Aggiungi un postoa tavola, c’è Frankestein

Ecco come le nuove direttive europee aprono di fatto le porte ai cibi contenenti organismi modificati

di Gabriella Meroni

L?Europa ha parlato chiaro. D?ora in poi sulle etichette dei cibi bisognerà indicare la presenza di alimenti transgenici in quantità superiore all?1 per cento. Una misura che tutti hanno considerato dalla parte dei consumatori, ma che in realtà è un regalo alle multinazionali del biotech. Fino a ieri, infatti, gli organismi geneticamente modificati (ogm) dovevano essere dichiarati in etichetta sempre, anche se in quantità inferiore all?1 per cento: così imponeva una direttiva del settembre 1998, regolarmente disattesa da tutte le aziende alimentari europee. Che infatti oggi si uniscono ipocritamente al coro di chi saluta questa nuova decisione come una dovuta presa di posizione dell?Unione sui cibi Frankestein. Un capolavoro di marketing – ma c?è chi la chiama ?manipolazione genetica dell?informazione?- ci fa credere più tutelati di prima. Niente di più sbagliato, come denunciano Greenpeace e Legambiente, e come conferma a ?Vita? l?onorevole Gianni Tamino dei Verdi, già parlamentare europeo e oggi membro del Comitato nazionale per la biosicurezza presso la presidenza del Consiglio. «Le etichette trasparenti erano obbligatorie da due anni», dice, «ma in pratica inesistenti, innanzitutto perché la norma del ?98 non obbligava a indicare i derivati da materie prime modificate, che sono i più usati nell?industria. E poi perché nel ?98 non c?era ancora stata Seattle, la pressione dei consumatori era meno forte e le aziende non applicavano la direttiva, dicendo di non sapere se il mais che compravano dai produttori era transgenico».

Un passo avanti e due indietro
In effetti la nuova direttiva, entrata in vigore il 10 aprile, ha fatto un passo avanti e due indietro. Il passo avanti riguarda proprio i derivati, come il comunissimo olio di semi di mais o di soia, e altri molto diffusi come l?amido di mais o la lecitina di soia: cibi che fino a ieri non entravano nella conta degli ogm, indipendentemente dalla loro origine, ma che oggi vanno dichiarati in etichetta. I passi indietro riguardano lo sbarramento dell?1 per cento e l?assenza di controlli sulla lavorazione dei prodotti. Due scivoloni che non mettono al riparo il consumatore dal possibile contatto con i cibi modificati, neppure nel caso che – e qui sta il paradosso – l?etichetta garantisse che in quel prodotto gli ogm non ci sono. «Il limite dell?1 per cento non ha ragione di esistere», sostiene Francesco Ferrante di Legambiente. «In laboratorio oggi siamo in grado di scoprire le presenza di ingredienti modificati anche se superano lo 0,3%. Perché allora alzare la soglia all?1? È una misura convenzionale che non ha alcun valore scientifico. E soprattutto può coprire la presenza di ogm in percentuali inferiori». La certezza che un prodotto sia naturale, dunque, difficilmente si potrà avere, a meno che non si parta dalla garanzia sul seme. «Nessuno controlla i semi modificati, che ovviamente danno origine a piante modificate», dice l?onorevole Tamino. «Le multinazionali ormai utilizzano regolarmente sementi ogm, ma si guardano bene dal certificarlo. Di fatto non sono nemmeno obbligate, perché la questione delle etichette riguarda solo il prodotto finito». Quindi nessuno è in grado di garantire se l?olio di semi di mais che portiamo in tavola è stato ottenuto da sementi biotech? «No», risponde Tamino, soprattutto perché quando i semi di mais o di soia sono trasformati in olio le analisi sul Dna non sono più possibili. La garanzia deve partire dal seme, e deve essere verificabile».
Sempre che le multinazionali siano d?accordo. Il commercio dei semi a livello mondiale infatti è concentrato nelle mani di pochi gruppi (Monsanto, Novartis, Agrevo, Pioneer) da tempo impegnati nella commercializzazione di sementi modificate, specie negli Usa: qui la Monsanto gestisce il 39% dei terreni in cui si coltiva mais transgenico. E l’Italia è il maggior paese europeo importatore di mais e soia dagli Usa: nel 1999 oltre il 53% del mais americano e l?85 % della soia arrivati in Europa sono stati esportati da noi. Erano naturali o modificati? Probabilmente mescolati, dato che le autorità statunitensi hanno ammesso di non poter garantire che tutti i semi esportati siano naturali. Eppure, anche se fossero modificati, nessuno lo verrebbe mai a sapere, tanto meno leggendo l?etichetta.

L?agricoltura italiana dice no
La contaminazione è sempre più diffusa e non esistono norme tese a evitarla. Anzi, alcuni sostengono che la soglia dell?1 per cento sia stata introdotta per consentire una certa ?tolleranza? sulla probabilità che semi modificati vengano a contatto con quelli naturali. Anche in Italia, dove sono in corso 58 progetti di coltura transgenica. Il nostro comunque è uno dei Paesi in cui è più forte l?opposizione del settore agricolo verso le nuove tecnologie. Confagricoltura ha rivolto un appello ai suoi associati perché «raccolgano tutti gli elementi che possono dimostrare l?assenza di ogm», e si facciano rilasciare una dichiarazione scritta dal fornitore di sementi.
«Una precauzione insufficiente», avverte però Fabrizio Fabbri di Greenpeace. «Perché basata su un?autocertificazione. Se non si interverrà subito verrà un momento in cui sarà impossibile essere sicuri della genuinità dei semi. Già oggi chi garantisce di non usare ogm lo fa a suo rischio e pericolo, fidandosi della buona fede del fornitore». Insomma il panorama è incerto. «Non siamo per niente al sicuro», ammette Tamino. «Anche molti membri del Comitato per la biosicurezza, un tempo entusiasti del transgenico, hanno cambiato idea. Soprattutto se si considera la caratteristica vincente della nostra agricoltura, che è la qualità e la genuinità. Se le multinazionali dei semi ogm e brevettati sbarcassero da noi in poco tempo conquisterebbero il mercato con i loro bassi costi, e l?agricoltura italiana scomparirebbe».

Le etichette di domani

CREMA al cioccolato
Ingredienti: Zucchero – oli vegetali – nocciole (13%) – cacao magro – latte scremato in polvere (5%) – lattosio – siero di latte in polvere – emulsionante: lecitina di soia (*) – aromi

(*) da soia geneticamente modificata

Così potrebbe apparire tra qualche tempo l?etichetta di un prodotto in cui venisse utilizzata lecitina di soia derivata da semi di soia geneticamente modificata. Ma solo se l?ingrediente supera l?1 per cento del totale del prodotto.

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