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Agenzia delle Entrate su Decreto legge 15 aprile 2002, n. 63, convertito dalla legge 15 giugno 2002, n. 112. Disposizioni riguardanti le cooperative

di Redazione

Circolare del 18/06/2002 n. 53
Agenzia delle Entrate – Direzione Centrale Normativa e Contenzioso

Oggetto:
Decreto – legge 15 aprile 2002, n. 63, convertito dalla legge 15 giugno
2002, n. 112. Disposizioni riguardanti le cooperative.

Testo:
INDICE

1 PREMESSA
2 RISERVA MINIMA OBBLIGATORIA
3 RISTORNI
4 RITENUTA SU INTERESSI AI SOCI
5 TRATTAMENTO DEGLI UTILI ACCANTONATI A RISERVA INDIVISIBILE
6 DETERMINAZIONE DELLA BASE IMPONIBILE (art. 21, comma 10, della legge 27 dicembre 1997, n. 449)
7 ACCONTI D’IMPOSTA
8 LE ESCLUSIONI SOGGETTIVE

PREMESSA
Il decreto-legge 15 aprile 2002, n. 63, convertito dalla legge15
giugno 2002, n. 112, concernente “disposizioni finanziarie e fiscali urgenti
in materia di riscossione, razionalizzazione del sistema di formazione del
costo dei prodotti farmaceutici, adempimenti ed adeguamenti comunitari,
cartolarizzazioni, valorizzazione del patrimonio e finanziamento delle
infrastrutture”, all’articolo 6 reca disposizioni sul trattamento fiscale
delle societa’ cooperative.
Tali disposizioni, che attuano un progressivo adeguamento del regime
tributario delle societa’ cooperative ai principi comunitari, si collocano
nell’ambito del processo di sostanziale riforma delle societa’ cooperative
previsto dall’articolo 12 della legge 3 ottobre 2001, n. 366. Quest’ultima
legge, recante delega al Governo per la riforma del diritto societario, si
propone tra l’altro di riordinare il settore in esame innovando
profondamente l’attuale assetto normativo, con l’obiettivo di valorizzare la
cooperazione “costituzionalmente riconosciuta”.
Come si evince dalla relazione governativa, la delega intende
superare l’incongruita’ di un regime unitario a valere per la generalita’
delle imprese mutualistiche, delineando interventi diretti ad assicurare
alle cooperative una articolazione di modelli organizzativi analoga a quella
disponibile per le imprese lucrative.
Nel quadro della riforma tracciata dalla legge n. 366 del 2001, le
agevolazioni fiscali previste per il settore cooperativo spetteranno
esclusivamente alle cooperative che perseguono fini mutualistici, cui
l’articolo 45 della Costituzione riconosce una funzione sociale nell’ambito
di attivita’ senza fini di speculazione privata.
Le disposizioni agevolative fiscali dovranno peraltro coordinarsi con
l’obiettivo di estendere alle societa’ cooperative i principi generali
previsti per le societa’ di capitali dalla normativa civilistica, al fine di
“favorire la nascita, la crescita e la competitivita’ delle imprese,
definendo, tra l’altro, con chiarezza, i compiti e le responsabilita’ degli
organi sociali, ampliando gli ambiti dell’autonomia statutaria e adeguando
la disciplina dei modelli societari alle esigenze delle imprese”.
Nelle more della riforma e sulla base dei principi ispiratori della
stessa, e’ stato approvato il decreto legge n. 63 del 2002, che all’articolo
6 contiene disposizioni caratterizzate da una diversa valenza temporale.
I commi 1, 2 e 3 dell’articolo citato, infatti, prevedono norme di
carattere generale, che appartengono gia’ al corpus normativo che si
rendera’ definitivo con la riforma del diritto societario.
Il comma 4, al fine di consentire un avvicinamento graduale alle
norme che daranno attuazione alla citata legge n. 366/2001, introduce un
regime transitorio per i due periodi d’imposta successivi a quello in corso
al 31 dicembre 2001.

1 RISERVA MINIMA OBBLIGATORIA
Il comma 1 dell’articolo 6 prevede l’esclusione dal reddito
imponibile della quota minima di utili netti annuali destinati a riserva
legale. Sul punto si rinvia al disposto dell’articolo 2536 del codice
civile, che fissa la destinazione a riserva di almeno un quinto degli utili
netti annuali, qualunque sia l’ammontare complessivo della suddetta riserva.
In particolare, per le banche di credito cooperativo, la misura
minima del predetto accantonamento e’ fissata dall’articolo 37 del decreto
legislativo 1 settembre 1993, n. 385 (Testo unico delle leggi in materia
bancaria e creditizia) nel 70 per cento degli utili netti annuali.
L’esclusione dal reddito imponibile di cui al comma 1, gia’ prevista
per le societa’ cooperative e i loro consorzi dall’articolo 12 della legge
16 dicembre 1977, n. 904, opera sulla quota minima di utili destinata alla
riserva legale che, per le cooperative diverse dalle banche di credito
cooperativo, e’ pari al 20 per cento dell’utile netto.
Il trattamento fiscale della quota di utili accantonata a riserva
indisponibile, per la parte eccedente la percentuale minima prevista dalla
legge, e’ affrontato al successivo comma 4; come si dira’ piu’ avanti, detta
eccedenza concorrera’ al computo della quota esclusa dalla tassazione, a
condizione che l’accantonamento risulti da apposita delibera.
Dal punto di vista fiscale la riserva legale continua ad essere
sottoposta al regime giuridico delle riserve indivisibili per le quali
l’art. 12 della legge 16 dicembre 1977, n.904, esclude che possano essere
distribuite ” tra i soci sotto qualsiasi forma, sia durante la vita
dell’ente che all’atto del suo scioglimento”.
La norma agevola, infatti, le somme destinate a rafforzare – nel
corso della loro attivita’ – il patrimonio delle cooperative e a realizzare,
nel momento dello scioglimento, le finalita’ mutualistiche di cui
all’articolo 26, comma 1, lettera c), del d.l.C.P.S. 14 dicembre 1947, n. 1577.
Occorre precisare, pertanto, che continua ad applicarsi alla riserva
legale, in quanto parte delle riserve indivisibili, il regime di parziale
indisponibilita’ previsto dall’articolo 3, comma 1, della legge 18 febbraio
1999, n. 28. Tale disposizione consente l’utilizzabilita’ delle riserve
indivisibili a copertura di perdite d’esercizio, a condizione che “non si
dia luogo a distribuzione di utili fino a quando le riserve non siano state
ricostituite”.
Si tratta di una condizione che deve essere tassativamente osservata,
in quanto, a differenza di quanto previsto per alcune riserve in sospensione
d’imposta, non e’ consentito, in alternativa, ridurre la suddetta riserva in
misura corrispondente, neppure con formale deliberazione dell’assemblea
straordinaria.

2 RISTORNI
Il comma 2 disciplina la fattispecie dei cosiddetti “ristorni”
operati dalle societa’ cooperative e loro consorzi. Tali somme, se destinate
ad aumento del capitale sociale della cooperativa o del consorzio, non
concorrono – in capo ai soci – a formare il reddito imponibile ai fini delle
imposte sui redditi ne’ il valore della produzione netta rilevante ai fini IRAP.
La disposizione del comma 2 in esame si applica a tutte le
cooperative che prevedono la facolta’ di destinare somme a titolo di
ristorno in favore dei soci.
Si tratta, in particolare:
– delle somme attribuite ai soci delle cooperative di produzione e
lavoro, sotto forma di integrazione retributiva, in misura non
superiore al 30 per cento dei trattamenti retributivi complessivi
(articolo 3, comma 2, lettera b), della legge n. 142 del 2001);
– delle somme attribuite dalle societa’ cooperative e loro consorzi ai
propri soci a titolo di restituzione di una parte del prezzo dei beni
e servizi acquistati o di maggiore compenso per i conferimenti
effettuati (articolo 12 del decreto del Presidente della Repubblica
n. 601 del 1973).
Ai sensi delle norme appena richiamate, i ristorni sono deducibili
dal reddito delle cooperative e dei loro consorzi.
In particolare, giova ricordare che ai sensi dell’art. 12 del decreto
del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 601, cosi’ come
riformulato dall’articolo 6 della legge 23 dicembre 2000, n. 388 sono
ammessi in deduzione dal reddito delle societa’ cooperative di ogni tipo (e
i loro consorzi) le somme (ristorni) ripartite tra i soci sotto forma – come
si e’ detto – di restituzione di una parte del prezzo pagato per acquistare
beni e servizi, nonche’ sotto forma di eventuali maggiori compensi per i
conferimenti effettuati.
Per effetto delle modifiche recate dalla legge n. 388/2000 la portata
originaria dell’art. 12 risulta ampliata sotto l’aspetto sia soggettivo sia
oggettivo, essendo ora consentita la deduzione alle cooperative in genere
(non solo a quelle di consumo) in relazione alla restituzione di una
parte del prezzo pagato dai soci per acquisti anche di servizi (non solo di
beni), nonche’ delle somme ripartite tra i soci sotto forma di “maggiore
compenso per i conferimenti effettuati”.
La novita’ introdotta dal comma 2 della disposizione in commento
consiste nel subordinare l’esclusione dei ristorni dal reddito imponibile e
dal valore della produzione netta del socio alla condizione che gli stessi
siano destinati ad aumento del capitale sociale.
Nell’ambito del settore cooperativo e’ stato sempre utilizzato il
ristorno quale modalita’ tipica di distribuzione dell’eccedenza dei ricavi
rispetto ai costi derivanti dalla gestione mutualistica.
Caratteristica peculiare del ristorno e’ che lo stesso e’ commisurato
all’apporto dato dal socio all’attivita’ mutualistica e quindi ai rapporti
instaurati dal socio con la cooperativa di appartenenza.
Per l’individuazione degli aspetti fiscalmente rilevanti del concetto
di ristorno, ed in particolare sulle modalita’ di quantificazione, si rinvia
a quanto precisato nella recente risoluzione 5 giugno 2002, n. 172.
Come detto, il comma 2 della disposizione in commento prevede la
possibilita’ di destinare ad aumento del capitale sociale della cooperativa
o del consorzio, esclusivamente somme che costituiscono ristorni e non utili.
Pertanto, non concorre a formare il reddito imponibile ai fini delle
imposte sui redditi e il valore della produzione netta rilevante ai fini
IRAP dei soci solo la parte del risultato della gestione della cooperativa
che deriva dall’attivita’ della stessa effettuata nei confronti dei soci,
non anche l’eventuale avanzo della gestione nei confronti dei terzi. Tale
ultimo valore rappresenta, infatti, utile dell’esercizio sul quale non si
applica il differimento d’imposta per il socio, neppure in caso di
destinazione ad aumento del capitale.
Inoltre, occorre evidenziare che il ristorno, ovvero la restituzione
ai soci di parte del prezzo di beni o servizi acquistati o la maggiore
remunerazione del lavoro e in genere dei conferimenti di beni e servizi
effettuati, e’ possibile solo se risulta in utile l’attivita’ che la
cooperativa svolge con i soci.
Cio’ che puo’ essere retrocesso e’ l’avanzo – documentato – di
gestione generato esclusivamente con le transazioni intercorse con i soci e
non anche quelle con i non soci.
Inoltre, la qualita’ di socio e’ necessaria per il diritto al
ristorno, ma l’ammontare dei ristorni spettanti ai soci non e’ commisurato
alle quote di partecipazione al capitale sociale, bensi’ alle transazioni
economiche effettivamente intercorse tra il singolo socio e la cooperativa.
In merito alla deducibilita’ dei ristorni dal reddito imponibile ai
fini IRPEG e dal valore della produzione rilevante ai fini dell’IRAP dovuta
dalla societa’, si ritiene, in coerenza con la relazione di accompagnamento
al provvedimento in commento, che le somme erogate a tale titolo sono
deducibili nell’esercizio con riferimento al quale sono maturati gli
elementi di reddito presi a base di commisurazione dei ristorni.
Tale deducibilita’ – prevista in ogni caso per tutte le societa’
cooperative – e’ vincolata (nei casi in cui non sia applicabile la
previsione di cui all’articolo 12 del decreto del Presidente della
Repubblica n. 601 del 1973) all’oggettiva determinabilita’ dell’importo del
ristorno medesimo entro la data di chiusura dell’esercizio, in coerenza con
le disposizioni dell’articolo 75 del TUIR.
Per cio’ che riguarda le modalita’ concrete attraverso cui le
cooperative possono rilevare la quota di competenza a carico dell’esercizio
con riferimento al quale sono maturati gli elementi di reddito presi a base
di commisurazione dei ristorni, si ritiene che possa adottarsi sia il metodo
di imputazione diretta al conto economico dell’esercizio di competenza, sia
quello di effettuare una variazione in diminuzione del reddito imponibile
(sempre con riferimento all’esercizio di competenza) considerando i ristorni
stessi come impiego degli utili stessi.
L’esempio numerico di seguito riportato chiarisce la “neutralita’”
della scelta effettuata dalle cooperative, focalizzando l’attenzione sulla
parte di utile che rimane assoggettato al calcolo per la tassazione
ordinaria.
Risultato economico = 100 (di cui 60 dall’attivita’ mutualistica e
40 da quella “esterna”)

Ipotesi 1
Ristorno imputato a costo (60)
Utile netto 40
Riserva obbligatoria (20% di 40) 8
Fondo mutualistico (3% di 40) 1,2
Residuo (base per la tassazione) 40 – 8 – 1,2 = 30,8

Ipotesi 2
Ristorno come quota di utile
Utile netto 100
Riserva obbligatoria (20% di 100) 20
Fondo mutualistico (3% di 100) 3
Utile destinato a ristorno (60% di 77) = 46,2
Residuo (base per la tassazione) 100 – 20 – 1,2 – 46,2 = 30,8
In tale seconda ipotesi, il ristorno assegnato ai soci sara’ meno elevata,
in quanto si ipotizza che l’accantonamento a riserva minima obbligatoria
avvenga prelevando sia dagli utili derivanti dall’attivita’ nei confronti
dei soci, sia da quelli che derivano dall’attivita’ nei confronti di “terzi
non soci”. Per tale motivo, la quota da destinare a ristorno, e’ inferiore
rispetto a quella prevista in sede di accantonamento al bilancio
dell’esercizio di competenza come posta negativa di reddito.

L’esempio chiarisce la perfetta neutralita’ fiscale della scelta tra
accantonamento al bilancio come costo e distribuzione di utile, valido per
la generalita’ delle cooperative, salvo particolari disposizioni della Banca
d’Italia per le Banche di credito cooperativo. E’ altresi’ coerente con
quanto affermato dal Ministero del Lavoro con la circolare n. 83/93 del 10
agosto 1993, in relazione ai criteri di determinazione della base di calcolo
del contributo del 3 per cento.

Il secondo periodo del comma 2 disciplina l’ipotesi della successiva
restituzione del capitale sociale costituito mediante la destinazione delle
somme sopra indicate a titolo di ristorno.
In questo caso:
– se la restituzione del capitale avviene nell’ambito di una
cooperativa di produzione e lavoro, essa comporta l’assoggettamento
a tassazione ai fini IRPEF in capo al socio percettore, nel
presupposto che il ristorno sarebbe stato comunque assoggettato a
tassazione qualora, anziche’ destinato ad aumento del capitale
sociale, avesse direttamente integrato la retribuzione.
L’assoggettamento a tassazione delle somme restituite a titolo di
ristorno riguarda anche i soci lavoratori autonomi o esercenti
attivita’ d’impresa, ovvero i soci di cooperative di credito, nel
caso di maggiorazione di interessi. In tutti i casi di restituzione
del capitale precedentemente aumentato con imputazione di ristorni,
si rende applicabile il disposto dell’articolo 7, comma 3, della
legge 31 gennaio 1992, n. 59, secondo cui la restituzione del
capitale sociale e’ imponibile ai fini delle imposte sui redditi
fino a concorrenza dell’ammontare imputato ad aumento delle quote o
delle azioni. La restituzione di tali somme e’ assimilata alla
distribuzione di utili con la conseguente applicazione
dell’articolo 27 del decreto del Presidente della Repubblica n. 600/1973;
– si precisa tuttavia che qualora la restituzione riguarda ristorni a
suo tempo deliberati per ridurre i costi per l’acquisizione di beni
o di servizi, la restituzione del capitale sociale non comporta la
tassazione in capo al socio percettore (non imprenditore ne’
lavoratori autonomi), in quanto, per tali soggetti, il ristorno
consiste nella restituzione di una parte del corrispettivo della
cessione dei beni o servizi acquisiti.

In sostanza, il presupposto impositivo in capo al socio
relativamente alla restituzione dei ristorni imputati ad incremento del
capitale sociale si realizza ogni qualvolta le medesime somme – ove
corrisposte immediatamente, senza la preventiva destinazione ad
incremento del capitale sociale – sarebbero state assoggettate a
tassazione.
Anche in caso di immediata corresponsione delle somme a titolo
di ristorno, infatti, il trattamento fiscale applicabile e’ differente a
seconda della natura delle medesime somme.
Nell’ipotesi in cui siano direttamente ristornate al socio
somme relative a beni ceduti o servizi prestati, le stesse costituiranno
per il socio un minor costo del servizio acquisito e quindi non sono
assoggettabili a tassazione, non verificandosi alcun presupposto impositivo,
salvo l’ipotesi di socio esercente attivita’ d’impresa o di lavoro autonomo
(per i quali, rispettivamente, rappresentano sopravvenienze attive o
minori spese).
Se, invece, le somme erogate a titolo di ristorno sono relative ad
una maggiore remunerazione dei capitali impiegati o dell’opera prestata,
sotto forma – per esempio – di una maggiorazione d’interessi attivi o di
maggiore retribuzione, le stesse configurano per il socio redditi di
capitale o di lavoro dipendente da assoggettare ad imposizione secondo le
vigenti disposizioni in materia.
Sempre con riferimento al comma 2 in esame, che introduce un regime
di “sospensione d’imposta” per il socio della cooperativa, si ritiene che lo
stesso si renda applicabile gia’ in sede di destinazione dell’utile
dell’esercizio 2001. Infatti, il ristorno deliberato dall’assemblea ovvero
imputato direttamente al bilancio di tale esercizio, se imponibile, concorre
a formare il reddito del socio nell’esercizio 2002. Trattandosi di una norma
che esplica i suoi effetti “a decorrere dal periodo d’imposta successivo a
quello in corso al 31 dicembre 2001”, a partire da tale esercizio i ristorni
imputati ad aumento del capitale sociale non concorreranno a formare il
reddito imponibile e il valore della produzione netta del socio.

3 RITENUTA SU INTERESSI AI SOCI
Il comma 3 stabilisce che sugli interessi corrisposti dalle societa’
cooperative e loro consorzi ai propri soci finanziatori, purche’ persone
fisiche residenti nel territorio dello Stato, la ritenuta prevista
dall’articolo 26, comma 5, del decreto del Presidente della Repubblica 29
settembre 1973, n. 600, relativamente ai prestiti erogati alle
condizioni stabilite dall’articolo 13 del decreto del Presidente della
Repubblica 29 settembre 1973, n. 601 si applica in ogni caso a titolo di
imposta.
Sul punto, giova ricordare che le societa’ cooperative possono
essere finanziate dai propri soci a condizione che siano soddisfatte le
disposizioni dettate dall’articolo 13 del decreto del Presidente della
Repubblica 29 settembre 1973, n. 601. In particolare:
– i versamenti e le trattenute devono essere effettuati
esclusivamente per il conseguimento dell’oggetto sociale e non devono
superare, per ciascun socio, la somma di 20.658,25 euro e successive
rivalutazioni. Tale limite e’ elevato a 41.316,56 euro per le
cooperative di conservazione, lavorazione, trasformazione ed
alienazione di prodotti agricoli e per le cooperative di produzione e
lavoro;
– gli interessi corrisposti sulle predette somme non devono superare
la misura massima degli interessi spettanti ai detentori di buoni
postali fruttiferi aumentata di 2,5 punti percentuali.

4 TRATTAMENTO DEGLI UTILI ACCANTONATI A RISERVA INDIVISIBILE
In attesa di un riordino della disciplina tributaria delle societa’
cooperative e loro consorzi, il comma 4 detta disposizioni transitorie
valide per i due periodi d’imposta successivi a quello in corso al 31
dicembre 2001.
In particolare, la lettera a) del comma 4 limita l’applicazione
dell’articolo 12 della legge 16 dicembre 1977, n. 904, nella parte che
prevede l’esclusione dal reddito imponibile delle somme destinate a riserve
indivisibili, al 39 per cento di quanto residua dopo l’accantonamento della
quota di utili destinata alla riserva minima obbligatoria, la quale resta,
comunque, esclusa dalla tassazione.
La successiva lettera b), relativamente alle cooperative agricole e
della piccola pesca e loro consorzi, eleva al 60 per cento la quota di utile
netto annuale non soggetta a tassazione.
In assenza di specificazioni normative, si rende necessario chiarire
l’ambito soggettivo di applicazione della lettera b) appena citata e quindi
individuare i soggetti da ricomprendere nella definizione di cooperativa
agricola.
Al fine di individuare le societa’ cooperative da ammettere al
beneficio, si ritiene che debba farsi riferimento alle relative disposizioni
in materia di impresa agricola contenute nell’articolo 2135 del codice
civile, cosi’ come novellato dall’articolo 1 del decreto legislativo 18
maggio 2001, n. 228.
In particolare, sono da ricomprendere le societa’ cooperative che
svolgono le seguenti attivita’:
a) coltivazione del fondo, del bosco ovvero allevamento di animali
ed, eventualmente, attivita’ agricole connesse di manipolazione,
conservazione, trasformazione, commercializzazione e
valorizzazione dei prodotti agricoli propri e, in misura non
prevalente, anche di prodotti acquisiti da terzi;
b) manipolazione,conservazione,trasformazione,commercializzazione e
valorizzazione di prodotti agricoli prevalentemente prodotti da
soci, ovvero fornitura, prevalentemente ai soci, di beni e servizi
per l’agricoltura.

Risulta cosi’ chiaramente delimitato l’ambito soggettivo di
applicazione della lettera b) del comma 4 in commento il quale, nel contesto
di un graduale ridimensionamento della portata agevolativa dell’articolo 12
della legge n. 904 del 1977 operata dalla precedente lettera a), si propone,
comunque, di riservare un trattamento fiscale di favore per la cooperazione
in agricoltura.
Giova, infine, ricordare che, ai fini che qui interessano, le
societa’ cooperative agricole in discorso devono risultare iscritte nella
sezione cooperazione agricola dei registri prefettizi previsti dall’articolo
13 del decreto legislativo del Capo Provvisorio dello Stato 14 dicembre
1947, n. 1577.

Data la complessita’ delle varie disposizioni normative a favore
delle societa’ cooperative, la lettera c) del comma 4 chiarisce
l’operativita’, nel periodo transitorio, delle diverse norme agevolative.
Per quanto concerne le cooperative agricole e della piccola pesca, la
norma stabilisce che le disposizioni esentative contenute nell’articolo 10
del decreto del Presidente della Repubblica n. 601 del 1973 non si applicano
sulle quote di utili netti annuali da assoggettare a tassazione in base alle
precedenti lettere a) e b).
Continuano, invece, a fruire dell’esenzione gli imponibili derivanti
dalle variazioni fiscali apportate al risultato d’esercizio ai sensi
dell’articolo 52 del TUIR.
Inoltre, per quanto concerne le cooperative di produzione e lavoro,
la citata lettera c) limita l’applicabilita’ del regime di esenzione di cui
all’articolo 11 del decreto del Presidente della Repubblica n. 601 del 1973
alla sola quota di imponibile derivante dall’indeducibilita’ dell’IRAP.

5 DETERMINAZIONE DELLA BASE IMPONIBILE (art. 21, comma 10, della
legge 27 dicembre 1997, n. 449)
La norma di cui all’art. 21, comma 10, della legge 27 dicembre 1997,
n. 449 prevede che, a partire dal periodo d’imposta in corso al 31 dicembre
1997, non concorrono a formare il reddito imponibile le imposte sui redditi
riferibili alle variazioni effettuate ai sensi dell’art. 52 del TUIR,
diverse da quelle riconosciute dalle leggi speciali per la cooperazione. Il
meccanismo di funzionamento della norma postula la necessita’ di effettuare
– in sede di dichiarazione – una variazione in diminuzione corrispondente
alla variazione in aumento operata con riferimento all’imposte pagate.
Come espressamente indicato, la norma e’ applicabile solo se tale
variazione in diminuzione determina un utile o un maggior utile da destinare
alle riserve indivisibili. Essa non si applica, invece, nell’ipotesi in cui
l’utile sia distribuito in favore dei soci.
La disposizione ha la finalita’ di evitare l’effetto “imposte su
imposte” che verrebbe a determinarsi in presenza di un carico fiscale
superiore al 36 per cento.
Si ipotizzi, ad esempio, la seguente situazione.
L’utile lordo e’ pari a 1000 e le variazioni in aumento previste
dall’art. 52 del TUIR sono pari a 100. Il carico fiscale, pertanto, deve
essere pari a 36 (36% di 100). Si supponga che venga accantonato a riserva
indivisibile l’intero utile disponibile al netto delle imposte, ovvero 964
(1000 – 36).
Per ottenere tale risultato e’ necessario, come previsto dalla norma,
riconoscere un’ulteriore variazione in diminuzione di 36, pari all’imposta
dovuta sulle variazioni in aumento.
Diversamente il reddito imponibile sarebbe pari a: 1000 + 100 – 964 =
136 cui corrisponde un’imposta di 49 e non di 36; con la conseguenza di dover ricalcolare l’importo dell’utile da accantonare a riserva
indisponibile e di rideterminare l’imponibile stesso.
Per effetto della norma in esame, invece, puo’ essere effettuata
un’ulteriore variazione in diminuzione pari al 36 per cento di 100 e,
pertanto, la quantificazione dell’imponibile sara’: 1000 + 100 – 964 – 36 =
100, cui corrisponde un’imposta di 36.
Schematizzando:

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CALCOLO DELLE IMPOSTE PRIMA DEL D.L. 63
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Utile netto 964
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Variazione in aumento per imposte 36
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Variazione in aumento per costi non deducibili 100
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Totale 1100
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Variazione in diminuzione per imposte (art. 21, c. 10, L.449/1997) 36
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Variazione in diminuzione per accantonamento riserve indivisibili 964
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Totale 1000
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Reddito imponibile 100
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Imposta 36
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La norma, come sopra precisato, persegue la finalita’ di evitare
l’effetto “imposte su imposte” in un contesto normativo in cui era
consentito accantonare l’intero l’utile a riserve indivisibili ed
intassabili, ai sensi dell’art. 12 della l. n. 904 del 1977.
Si ritiene che la disposizione in esame sia applicabile anche a
seguito delle modifiche introdotte in via transitoria dall’art. 6, comma 4,
del d.l. 63 che, come anticipato, limita l’esclusione dal reddito imponibile
al 39 per cento dell’utile netto destinato a riserve indivisibili.
Infatti, la relazione di accompagnamento al d. l. 63 ha precisato che
si rende applicabile la disposizione contenuta nell’art. 21, comma 10, in
esame, “con riferimento alle imposte sui redditi (IRPEG) derivanti
dall’assoggettamento ad imposizione di quote di utili destinati a riserva”.
Ne consegue che in presenza di una tassazione parziale degli utili
che incide sul carico fiscale complessivo, la norma dovra’ applicarsi in
modo proporzionale rispetto alla quota di utile netto non imponibile per
effetto delle nuove disposizioni.
Per determinare il carico fiscale occorre in primo luogo applicare il
36 per cento sulle variazioni nette ed in secondo luogo il 36 per cento
sulla parte di utile che rimane tassata.
Tale ultimo importo viene determinato nel seguente modo.
Si supponga che:
– l’utile lordo sia 100;
– il 20 per cento dell’utile netto sia accantonato a riserva legale,
escluso da tassazione ai sensi dell’art. 6, comma 1, del d.l. 63;
– il 3 per cento al fondo mutualistico, escluso da tassazione ai
sensi dell’art. 6, comma 2, del d.l. 63;
– il residuo utile netto sia accantonato a riserva indivisibile, di
cui il 39 per cento non imponibile ai sensi dell’art. 6, comma
4,lettera a) del d.l. 63.
Dopo la destinazione dell’utile a riserve obbligatorie residuera’ un
importo pari a 77 che sara’ accantonabile a riserva indivisibile e, quindi,
sara’ escluso da tassazione nella misura del 39 per cento e cioe’ per un
importo pari a 30.03 (39 % di 77).
Ne consegue che la parte dell’utile esclusa da tassazione sara’
dunque pari a 53.03 (20 + 3 + 30,03), mentre la parte residua e cioe’ un
importo pari a 46,97 sara’ tassato ai sensi del comma 4, lettera a) citato.
Riprendendo i valori riportati nell’esempio precedente, il carico
fiscale sara’ dato dal 36 per cento calcolato sia sulle variazioni fiscali
in aumento, pari a 100, sia sul 46,97 per cento degli utili al netto delle
variazioni:
a) 36% di 100= 36;
b) 36% di 1000 x 46,97% = 169,09
Totale carico fiscale a) + b) = 205,09
Schematizzando:

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CALCOLO IMPOSTE DOPO IL D.L. 63
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Utile netto 794,91
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Variazione in aumento per imposte 205,09
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Variazione in aumento per costi non deducibili 100
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Totale 1100
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Variazione in diminuzione per imposte (art. 21, c. 10, L. n.449/1997) 108,76
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Var. in dimin. per accantonamento riserve indivisibili (53.03%di794.91) 421,54
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Totale 530,3
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Reddito imponibile 569,7
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Imposta 205,09
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In sostanza, l’IRPEG riferibile alle variazioni fiscali e all’utile
soggetto ad imposizione non concorre a formare il reddito imponibile, in
applicazione dell’art. 21, comma 10, limitatamente alla parte corrispondente
al rapporto tra l’utile escluso da tassazione ed il totale dell’utile stesso.
Per le cooperative in genere tale rapporto, espresso in percentuale,
e’ pari al 53,03 per cento, per le cooperative agricole al 69,2 per cento,
per le banche di credito cooperativo all’82,25 per cento.
Ne consegue che la variazione in diminuzione da operare ai sensi
dell’art. 21 citato dovra’ essere proporzionale alla quota di utile non
tassata e corrispondera’ solo ad una quota della variazione in aumento
corrispondente all’imposta liquidata sulle variazioni in aumento, calcolata
applicando le percentuali sopra indicate.

6 ACCONTI D’IMPOSTA
L’art. 6, comma 5, del d.l. 63 prevede che le societa’ cooperative e
i loro consorzi devono determinare l’acconto dell’IRPEG, per il periodo
d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2001, assumendo come
imposta del periodo precedente quella che sarebbe scaturita
dall’applicazione delle disposizioni indicate nelle lettere a), b), e c) del
comma 4 del medesimo articolo.
Pertanto, le societa’ cooperative che si avvalgano del c.d. metodo
storico dovranno commisurare l’acconto sull’imposta che avrebbero liquidato
per il periodo d’imposta precedente in applicazione dei limiti introdotti
dal comma 4.
A titolo esemplificativo, riprendendo i dati riportati nelle due
tabelle precedenti, si puo’ ipotizzare che la prima tabella esponga i valori
relativi alla dichiarazione di una cooperativa con periodo d’imposta
coincidente con l’anno solare chiuso al 31 dicembre 2001 e la seconda
riporti i medesimi dati ricalcolati extracontabilmente in applicazione del
comma 5 in esame.
L’acconto dovra’, dunque, essere determinato sull’imposta risultante
dalla riliquidazione della dichiarazione del periodo d’imposta 2001 tenendo
conto del nuovo carico fiscale risultante dall’applicazione del comma 4.
Nell’esempio proposto l’acconto sara’ pari al 98,5 per cento di 205,09 da
versare, come e’ noto, in due rate di cui la prima in misura pari al 40 per
cento e la seconda in misura pari al 60 per cento.

7 LE ESCLUSIONI SOGGETTIVE
Al comma 6 viene stabilito che le disposizioni contenute
nell’articolo in esame si applicano alle cooperative e loro consorzi
soggetti alla disciplina di cui alla legge n. 59 del 1992, ad eccezione dei
commi 4 e 5 che non si applicano alle cooperative sociali e loro consorzi.
Vanno ricomprese in tale esclusione tutte le cooperative sociali, iscritte
nel registro prefettizio ai sensi della legge dell’8 novembre 1991, n. 381,
che hanno lo scopo di perseguire l’interesse generale della comunita’ alla
promozione umana e all’integrazione sociale dei cittadini. Si tratta, in
altri termini, sia delle cooperative sociali che gestiscono i servizi
socio-sanitari ed educativi, sia di quelle che hanno per oggetto lo
svolgimento di attivita’ diverse – agricole, industriali, commerciali o di
servizi – finalizzate all’inserimento lavorativo di persone svantaggiate
che, cosi’ come definite all’art. 4, devono costituire almeno il 30 per
cento dei lavoratori della cooperativa. L’esclusione e’ estesa anche ai
consorzi costituiti come societa’ cooperative con base sociale formata in
misura non inferiore al 70 per cento da cooperative sociali.
Viene, infine, previsto che le disposizioni del presente articolo non
si applicano alle societa’ cooperative di garanzia collettiva fidi di primo
e secondo grado e loro consorzi, previste dagli articoli 29 e 30 della legge
5 ottobre 1991, n. 317, a condizione che risultino iscritte nell’apposita
sezione dell’elenco previsto dall’articolo 106 del testo unico di cui al
decreto legislativo 1ª settembre 1993, n. 385.

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