Il messaggio dell’Esortazione Africae Munus è all’insegna della speranza. Firmata ufficialmente sabato scorso da Benedetto XVI a Cotonou, nel Benin, il documento, fin dalle prime battute, si qualifica come espressione di una “sollecitudine paterna e pastorale dell’Africa di oggi, che ha conosciuto i traumi e i conflitti che sappiamo”. Redatta sulla base di 57 Proposizioni finali del Secondo Sinodo speciale per l’Africa, svoltosi a Roma nell’ottobre del 2009, l’Esortazione Apostolica rappresenta, nel suo complesso, un messaggio di speranza, nella consapevolezza del patrimonio intellettuale, culturale e religioso del continente, ma anche delle grandi sfide che esso è chiamato ad affrontare nel Terzo Millennio. In questa prospettiva, il Papa incoraggia le Chiese africane a farsi interpreti del messaggio evangelico, emancipandosi da ciò che sembra a volte paralizzarle, trovando al proprio interno le forze e le risorse per rilanciare la propria vita e la propria storia. È stata dunque recepita quell’istanza, ben espressa due anni fa nel messaggio finale del Sinodo, secondo cui è giunta l’ora di voltare pagina attraverso una decisa assunzione di responsabilità. Il punto di partenza deve essere il rinnovamento delle comunità cristiane locali, rifuggendo da sterili pietismi, nella certezza che occorre mettere in discussione una mentalità remissiva di fronte alle sfide imposte dal tempo presente.
Facendo tesoro del contributo dei padri sinodali – che lo stesso Pontefice ricorda come lo abbiano “impressionato per realismo e lungimiranza” – Africae Munus illustra le urgenze dell’evangelizzazione a partire da quella che assilla maggiormente l’animo umano a tutte le latitudini: la questione antropologica. Una sfida che nel concreto si traduce nel promuovere l’inculturazione del Vangelo, distinguendo il grano buono dalla zizzania. “Come il resto del mondo, l’Africa vive uno ‘choc’ culturale che minaccia le fondamenta millenarie della vita sociale e rende talvolta difficile l’incontro con la modernità”. È questa la cornice nella quale si colloca, ad esempio, il tema della riconciliazione con Dio e con il prossimo, via necessaria alla pace, come quello del dialogo ecumenico e interreligioso. Anche con il mondo islamico, nel rispetto della libertà religiosa e di coscienza. Il Papa sottolinea, poi, che sebbene la costruzione di un ordine sociale giusto competa alla sfera politica, la Chiesa ha comunque il dovere di formare le coscienze degli uomini e delle donne, educandole alla sacrosanta sfera dei valori.
Vivere la giustizia di Cristo significa, allora, adoperarsi per porre fine alla confisca dei beni a scapito di popoli interi, definita inaccettabile e immorale , guardare alla sussidiarietà e alla carità, nella logica delle Beatitudini. La Chiesa deve, dunque, offrire il proprio apporto alla formazione di una nuova Africa, dando voce al “grido silenzioso degli innocenti perseguitati o dei popoli i cui governanti ipotecano il presente e il futuro in nome di interessi personali”. Ciò che colpisce, leggendo il testo, è l’estrema concretezza, sia per quanto concerne la politica – l’Africa ha davvero bisogno del buon governo degli Stati, che si esprime nel rispetto delle Costituzioni, delle elezioni libere, di sistemi giudiziari indipendenti, di amministrazioni trasparenti e non tentate dalla corruzione – come anche in riferimento a temi socio-economici più scottanti. A questo proposito, il Papa invoca il rispetto dei beni essenziali come l’acqua, la terra e le materie prime più in generale; ma parla anche dell’attenzione da rivolgere al fenomeno delle migrazioni. Illuminante anche il pensiero di Benedetto XVI sulla “globalizzazione della solidarietà”, un impegno che coinvolge tutte le nazioni. Sul piano pastorale, nessuno deve tirarsi indietro, ministri di Dio, laici impegnati e tra questi le donne che hanno il compito di umanizzare la società. L’augurio del Papa, attraverso l’intercessione della Vergine Maria, è che la Chiesa in Africa possa essere davvero “uno dei polmoni spirituali dell’umanità”.
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