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Africa. Una tangentopoli in Guinea quell’italiano tuttofare, re di Conakry

Migliaia di beni importati eludendo le tasse, un buco di milioni di euro. Protagonisti un funzionario locale e un faccendiere nostrano. E il presidente è in bilico

di Joshua Massarenti

Soriba Bangoura non ha mai giocato al lotto. Non ne ha bisogno. Giovane burocrate africano senza storia, ha fatto cinquina quando Lansana Conté, padre padrone di una terra chiamata Guinea, gli ha consegnato le chiavi del porto di Conakry, la capitale. E se c?è un buon motivo per cui Bangoura ha storto il naso vedendo sbarcare nei suoi uffici consulenti indipendenti cresciuti da Ernst&Young e PricewaterhouseCoopers, lo si scopre nell?audit più esplosivo che un?amministrazione pubblica africana ricordi.

Duecento pagine degne di una tragicommedia in cui Bangoura non fa certo la figura della comparsa. Tra i suoi amici, c?è chi ha dato la colpa al caldo che avvolge la Guinea, altri hanno puntato il dito contro il peso insopportabile di un incarico che nei giorni più tormentati ti costringe a sdoganare macchine di lusso, vestiti griffati, computer di ultima generazione, cibo a cinque stelle. Fatto sta che per frenare le sue tentazioni, lo Stato gli aveva messo a disposizione casa, auto di servizio e un conto in banca ben alimentato.

Purtroppo non è bastato. Nonostante uno status sopra la media, Bangoura ha iniziato a dare i numeri. Quanti, nessuno lo sa. Di sicuro, il 2006 è stato un anno indimenticabile: in soli dodici mesi, almeno 450 veicoli sono entrati nel mercato guineano senza passare dalla dogana. Stesso discorso per 805 gruppi elettrogeni, 271 cisterne, 272 radiatori di veicoli e? apparecchi dentari. Roba non proprio lussuosa, ma in un Paese come la Guinea, dove il 46% della popolazione vive sotto la soglia della povertà, anche una dentiera vale oro. Come il non profit: assieme al vicedirettore della dogana nazionale, tale Boubacar Bangoura (un cugino?), Soriba avrebbe consentito alla fondazione guidata dalla First Lady guineana di ritirare dal porto oltre 380 container senza pagare un euro di tasse.

Trasmesso al ministero delle Finanze nell?aprile scorso, il rapporto anti corruzione smonta, secondo il settimanale Jeune Afrique «i meccanismi di un sistema che ha messo in ginocchio la Banca centrale guineana, favorito un?inflazione al 40%, fatto crollare il budget nazionale a 3mila miliardi di franchi guineani (circa 500 milioni di euro) e messo lo Stato nell?impossibilità di fornire ai cittadini servizi di base come l?acqua potabile, l?elettricità o i trasporti pubblici». Risultato: nei ministeri i revisori hanno scoperto un buco di 226 miliardi di franchi guineani (32 milioni di euro). Tra le malversazioni più ricorrenti spiccano tangenti, lavori pubblici fantasma, spese non autorizzate che fanno capo, nel caso del ministero dell?Istruzione, a 13mila funzionari fittizi.

Protagonista dell?audit è l?entourage del presidente Lansana Conté, peraltro mai nominato. Ma nella farsa guineana compare un altro nome illustre: Guido Santullo, il Rasputin della Guinea, l?imprenditore italiano da anni oggetto di accuse per il modo con cui la sua azienda, la Sericom Guinée, è riuscita ad aggiudicarsi una serie di appalti pubblici. Tra alberghi, palazzi governativi e manto stradale, molti si sono convinti che Santullo deve il suo successo al fatto di essere diventato il consigliere più ascoltato di Conté.
A circa un mese di distanza dalla sua consegna alle autorità nazionali, il rapporto potrebbe già aver fatto una prima vittima. Nominato a febbraio per mettere a tacere le proteste sindacali contro il regime, Lansana Kouyaté è stato destituito da primo ministro il 21 maggio per manifesta incapacità a rilanciare un?economia guineana in agonia. La versione ufficiosa parla invece delle continue pressioni effettuate dal clan presidenziale per ostacolare l?operazione Mani pulite. Oggi più che mai la Guinea è a un bivio: o imbocca la strada della good governance, o torna a sprofondare nel vecchio sistema clientelare e corrotto di Lansana Conté.

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