Mondo

Africa. Ucciso Garang il Sudan trema

Era l’uomo che rappresentava i diritti del Sud. È morto nello schianto dell’elicottero che lo trasportava. Con lui se ne sono andate anche le speranze di pace?

di Joshua Massarenti

Quando un responsabile politico viene a mancare, la sua statura o perlomeno la sua importanza strategica, si misura sempre con le reazioni della comunità internazionale. Per John Garang, ex leader ribelle dell?Splm – Sudan People?s Liberation Movement di ispirazione marxista-leninista e giunto di recente ai vertici del potere sudanese in qualità di vicepresidente dopo vent?anni di guerra civile, i leader del mondo intero hanno speso lacrime e parole di cordoglio a non finire. Per la sua morte, terribile quanto brutale, in seguito allo schianto dell?elicottero su cui viaggiava il 1° agosto tra le montagne impervie di Amatonj, nel sud del Paese, ma soprattutto perché ora il Sudan rischia di precipitare in un caos da cui non sarà facile risollevarlo. Una prospettiva impensabile quando si rivede il felice epilogo, ormai rimosso nell?oblio, di una guerra civile iniziata nel 1983 tra il regime arabo-musulmano di Khartoum e i ribelli di un Sudan meridionale a maggioranza animista (e cristiana). Solo l?8 luglio scorso Garang mandava in delirio un milione di persone scese per le strade della capitale a festeggiare il suo insediamento, ufficializzato il giorno dopo nel nuovo governo transitorio capeggiato dal rivale di sempre, Omar el Beshir. Il 9 luglio entrava in vigore una Costituzione transitoria che, in base agli accordi di pace siglati a Naivasha il 9 gennaio 2005 tra gli stessi Beshir e Garang, prevedeva (e prevede tuttora), un periodo di sei anni al termine del quale i sudanesi voteranno sull?autonomia del Sud Sudan. La nuova legge fondamentale riconosce il pluralismo politico, consente al Sud di sottrarsi alla sharia in vigore nel Nord e prevede una gestione del potere con una presidenza collegiale composta dal presidente Beshir e due vice presidenti, tra cui l?attuale ministro degli Esteri, Ali Osman Taha. Ma il vero pilastro degli accordi è la spartizione dei proventi petroliferi ricavati dai 300mila barili sfornati ogni giorno dai pozzi del Sud del Paese. Con la morte di Garang e i sospetti che l?accompagnano (le voci di un complotto dei falchi del regime Beshir sono insistenti), gli accordi rischiano il collasso, e insieme a loro un intero Paese. Il timore è che il sangue versato nei disordini scoppiati a Khartoum e in alcune città del Sud sia destinato a dilagare ai quattro angoli del Sudan. Per tamponare le prime ferite, l?Splm e il governo di Khartoum hanno riaffermato la volontà comune di proseguire il cammino della pace. In fretta e furia, i vertici del movimento sudista hanno rimpiazzato Garang con il suo braccio destro Salva Kiir, pure lui di etnia dinka, ma pessimo oratore e privo del carisma che permise al suo predecessore di assicurarsi i servizi degli Stati Uniti e il sostegno della comunità internazionale. Perché di una cosa si è certi: sebbene non fosse un santo, Garang era l?unico politico sudanese in grado di reggere il confronto con gli accoliti di Beshir, ponendosi come interlocutore insostituibile di Khartoum rispetto ai movimenti secessionisti del Paese. A partire dall?immensa regione del Darfur, dove dal febbraio 2003 una guerra civile ha causato 180mila morti e oltre due milioni di rifugiati. La comunità internazionale voleva contare sull?influenza che Garang esercitava sui ribelli del Darfur per raggiungere un accordo di pace simile a quello siglato in Sud Sudan. Allo stesso modo i ribelli Beja dell?Est, da mesi in subbuglio per essere stati esclusi dagli accordi, non avevano altro referente politico a Khartoum che Garang. A Sud, i rancori accumulati negli ultimi anni dai clan esclusi da Garang rischiano di esplodere in un?ondata di violenza che sprofonderebbe la regione in una crisi umanitaria e politica devastante. A gongolare sono solo i baroni islamisti e radicali di Khartoum, pronti a fare un solo boccone del futuro vice presidente Kiir, vittima predestinata di un caos dagli esiti incerti non solo per il Sudan, ma per buona parte del continente africano.


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