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Africa: Trump sbatte la porta in faccia alle crisi e alla povertà

Il presidente americano stravolge la strategia africana del suo predecessore, Barack Obama. Al menù, un taglio di quasi 3 miliardi di dollari sulla cooperazione diplomatica, allo sviluppo e gli aiuti umanitari in Africa e fondi da ri-orientare su programmi di assistenza militare. A rischio progetti per la lotta contro l’Aids e il sostegno alla società civile

di Joshua Massarenti

Nel corso di una riunione che si è tenuta durante l'ultimo Summit del G20, c'è una scena che non è passata inosservata tra gli esperti più attenti alle vicende africane: nel momento in cui l'Africa è stata al centro delle discussioni, il Presidente americano Donald Trump ha pensato bene lasciare la sala e farsi sostituire dalla figlia Ivanka. Al di là dell'ennesima gaffe diplomatica, il gesto di Trump conferma i rischi ventilati da Vita.it in gennaio sul livello di attenzione che la Casa Bianca porta nei confronti di 1,2 miliardi di abitanti africani. I tagli annunciati alcuni mesi fa alle ong e al Fondo delle Nazioni Unite per la popolazione (Unfpa) che sostengono progetti sulla pianificazione familiare e la salute di mamme e bambini in oltre 150 Paesi nel mondo, e giustificati dal Dipartimento di Stato con l’accusa di “partecipare alla gestione di un programma di aborto coercitivo o di sterilizzazione involontaria” in Cina, erano soltanto un assaggio del cambio di rotta radicale che Trump intende dare alla politica estera degli Stati Uniti.

Un assaggio prima del piatto forte

I 32,5 millioni di dollari che verranno negati a UNFPA nel 2017 appaiono infatti ben poca cosa di fronte ai 2,8 miliardi di dollari che l’amministrazione Trump vuole tagliare negli aiuti all’Africa per l’anno fiscale 2018. Se il Congresso americano, chiamato a pronunciarsi sulle prossima legge finanziaria, accetterà la richiesta della Casa Bianca, questi aiuti passeranno da 8 miliardi a 5,2 miliardi di dollari.

All’indomani della sua vittoria elettorale, Trump e la sua amministrazione avevano messo in piedi una commissione di cui fanno parte dipartimento di Stato, Pentagono, dipartimento della Giustizia, l'ufficio del direttore dell'Intelligence, l'ufficio del Bilancio e il Consigliere per la Sicurezza Nazionale, con lo scopo di rivedere la politica americana e fissare i nuovi criteri da seguire per tagliare i contributi federali.

Gli Stati Uniti “stanno cambiando in modo radicale il loro approccio sull’Africa, con una ridefinizione del perché e del come questo continente possa rientrare negli interessi nazionali degli USA”, sostiene al New York Times J. Stephen Morrison, vice presidente del Center for Strategic and International Studies, un think-tank americano bipartisan tra i più influenti al mondo. “Sono finiti i tempi in cui i diritti umani, lo sviluppo, la crescita economica e gli aiuti umanitari dominavano l’agenda americana sul continente africano”.

Sono finiti i tempi in cui i diritti umani, lo sviluppo, la crescita economica e gli aiuti umanitari dominavano l’agenda americana sul continente africano.

J. Stephen Morrison, vice presidente del Center for Strategic and International Studies

Un miliardo in meno per la lotta all'Aids

Ora a dettare legge sono difesa e sicurezza. Per ora il Pentagono non ha indicato cifre precise sulle future spese militari, ma vari ufficiali dell’esercito hanno assicurato che fondi supplementari saranno allocati per programmi di formazione, esercitazioni congiunte con soldati africani e la lotta contro il terrorismo. Gli indizi di questa rivoluzione copernicana si stanno molteplicando. Al Congresso, l’amministrazione Trump ha proposto di ridurre di almeno 1,1 miliardi dollari – un quinto del totale – i fondi destinati ai programmi per l’acquisto di farmaci antiretrovirali in Africa, con il rischio di mettere in pericolo la vita di oltre un milioni di persone, assicurano i ricercatori americani. A questo si somma un taglio di quasi un terzo degli aiuti esteri del Dipartimento di Stato e un altro taglio ai programmi di formazione di leader della società civile.

E ancora. Nel documento di programmazione economica e finanziaria sottoposto dall’amministrazione Trump al Congresso, svaniscono nel nulla le sovvenzioni federali riservate ai programmi africani di due importanti think-tank statunitensi: il Woodrow Wilson International Center for Scholars e lo United States Institute of Peace. Sul piano politico, le nomine del nuovo vice-segretario di Stato con delega agli Affari africani e del direttore del dipartimento Africa del Consiglio di sicurezza nazionale si fanno attendere.

I militari tornano a sorridere

Risultato: l’Africa è ormai un terreno disertato dai responsabili civili, a cui si è sostituita la leadership militare. Mentre il Segretario di Stato, Rex Tillerson, si sottrae alle visite ufficiali di leader africani (vedi il caso del Presidente della Commissione dell’Unione Africana), “gli unici alti responsabili americani ad essersi recati sul continente africano sono tutti generali”, scrive il settimanale panafricano Jeune Afrique. Tra loro, ci sono nomi illustri come James Mattis, segretario della Difesa e generale del Corpo dei Marine; Daniel Allyn, vice-capo di Stato di maggiore dell’esercito USA; Thomas Waldhauser, comandante dello United States Africa Comand (Africom), responsabile per le relazioni e le operazioni militari statunitensi che si svolgono in tutto il continente africano (ad esclusione dell’Egitto).

Se il Congresso americano, chiamato a pronunciarsi sulle prossima legge finanziaria, accetterà la richiesta della Casa Bianca, gli aiuti all'Africa passeranno da 8 miliardi a 5,2 miliardi di dollari nel 2018.

Prima Allyn in gennaio, e poi Mattis in aprile hanno visitato a Djibuti il Campo Lemmonier, la più importante base militare americana in Africa, promettendo nuovi contributi federali. A maggio è stata la volta di Waldhauser, il primo alto ufficiale ad essersi recato in Libia dopo gli attenti del 2012 contro il consolato americano a Bengazi. Sempre a maggio, l’amministrazione Trump ha speso 1,2 milioni di dollari per consentire ad alti responsabili militari statunitensi e ufficiali di oltre 40 eserciti nazionali africani di partecipare all’African Land Forces Summit (il Summit delle forze terrestri africane) che si è tenuto a Lilongwe, in Malawi. In un’intervista concessa durante la conferenza, il comandante delle Forze di difesa del Malawi, il generale Griffin Phiri, ha evocato “i tagli che Washington sta compiendo negli aiuti esteri”, sottolineando che “diplomazia e sicurezza devono camminare insieme”.


Più morti e fondi spesi meno bene: il caso di Fews Net

Non tutti condividono lo stesso entusiasmo del generale Phiri. In un articolo pubblicato a marzo, la rivista americana Foreign Policy cita un alto funzionario della diplomazia keniota, convinto “che stiamo entrando in territorio sconosciuto. Non sappiamo ancora cosa accadrà, ma temiamo che si venga a creare un grande vuoto sugli aiuti che le persone stanno ricevendo”.

Intanto, “il rischio che una parte dei fondi destinati allo sviluppo e agli aiuti umanitari vengano dirottati nella sicurezza è reale”, sostiene il New York Times citando esperti di politica estera americana. La formazione militare condotta a marzo in Ciad dalle Forze speciali statunitensi con soldati e ufficiali di oltre 20 nazioni africane è un’altra conferma della direzione che sta prendendo la politica africana di Trump, la cui priorità assoluta sul continente è ormai la lotta contro il terrorismo.

Secondo il sito d’informazione Devex, “ gli aiuti ad alcuni paesi come il Centrafrica, il Niger e la Sierra Leone, verranno ridotti in modo considerevole, se non azzerati”. La proposta budgetaria dell’amministrazione Trump prevede poi tagli in programmi specifici come il Famine Early Warning Systems Network (Fews Net), un’organizzazione fondata nel 1985 dall’Agenzia di sviluppo americana (USAID), con il compito di prevenire e lottare contro le carestie e altre forme d’insicurezza alimentare.

Fews Net ha dimostrato di essere efficace. Ci consente di utilizzare fondi privati in modo più efficiente per salvare vite umane nel mondo. I tagli che l'amministrazione Trump vuole imporre a questa organizzazione avrà conseguenze disastrose.

Nora O’Connell, Save the Children

Una decisione tanto più incauta che, assieme ad altre organizzazioni internazionali, Fews Net è una fonte preziossima d’informazione sulle crisi umanitarie. Ne è la prova un lungo articolo di The Economist sulla carestia in quattro paesi africani, in cui il prestigioso giornale britannico cita l’allarme lanciato da Fews Net a inizio di questo anno sui rischi che incorrono più di 70 milioni di persone nel mondo per via della siccità e delle guerre che colpiscono il Sud Sudan, la Nigeria, la Somalia o lo Yemen.

Per Nora O’Connell, vice presidente del Dipartimento policy e advocacy di Save the Children, “Fews Net ha dimostrato di essere efficace. Ci consente di utilizzare fondi privati in modo più efficiente per salvare vite umane nel mondo”. In altre parole, togliere fondi a questa organizzazione significa più morti e fondi spesi meno bene.

Comprare un elicottero Apache o sostenere la prevenzione contro le carestie?

Oggi nessuna struttura, o quasi, implicata nella cooperazione allo sviluppo e negli aiuti umanitari può ritenersi al riparo di brutte sorprese. A rischio potrebbe essere la U.S. African Development Foundation (USADF), “la cui richiesta di budget per il 2017 è stata pari 28,2 milioni di dollari, una cifra inferiore al costo di un elicottero apache”, sostiene Foreign Policy. Eppure “attraverso il suo sostegno ad organizzazioni di base presenti nel Corno d’Africa, nel Sahel e nell’Africa dei Grandi Laghi, i programmi di USADF vanno a beneficio di oltre 1,5 milioni di persone”.

Se i programmi che stiamo portando avanti non verranno sostenuti, i danni per le comunità locali saranno immensi.

Albino Gaw Dar, direttore della Foundation for Youth Initiative (Sud Sudan)

Dal Sud Sudan, Albino Gaw Dar, direttore della Foundation for Youth Initiative, un’organizzazione partner di USADF, è in stato di allarme. “La situazione nel nostro paese è molto critica, con tante persone che sopravvivono grazie ai fondi di USADF. Se i programmi che stiamo portando avanti non verranno sostenuti, i danni per le comunità locali saranno immensi”. Secondo Gayle Smith, direttore dell’Agenzia di sviluppo americana USAID sotto l’era di Barack Obama, “la domanda di aiuti umanitari non è mai stata così forte, compreso in Africa. Gli annunci di Trump “legheranno in sostanza le nostre mani dietro la schiena in un momento in cui siamo confrontati a grandi sfide”.

Mi viene un dubbio…

Ma i tagli voluti dal nuovo inquilino della Casa Bianca e il suo entourage non creano il panico soltanto nella società civile o nell’amministrazione precedente. Qualche timore ce l’hanno pure i militari. Durante la sessione di apertura del Summit delle forze terrestri africane che si è svolto in Malawi, il generale Harrington ha riconosciuto “che la potenza militare ha dei limiti” e “quanto sia importante appogiarci sulle capacità delle nostre agenzie intergovernative e organizzazioni non governative”.

Invitando gli alti ufficiali presenti a questo Summit a guardarsi in faccia, Alexander Laskaris, un funzionario del Dipartimento di Stato, ha chiesto: “Come possiamo mandare militari in operazioni di mantenimento della pace, se poi non creiamo i presupposti per favorire la pace?”

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